Cambiamenti funzionali, sociali e tecnologici hanno svilito gli insediamenti antichi fino al degradoa
Sono diritti esercitati dalla collettività da tempo immemorabile e costituiscono vincoli paesaggistici
Si tratta di diritti perpetui istituiti per consentire alla comunità di trarre vantaggi da alcune terre circostanti.
Ci sono diverse tipologie di diritto circa l’uso civico a favore di una collettività, proprio perchè connotati dalla finalità di utilizzo e sfruttamento di un fondo, terreno o risorsa per soddisfare il fabbisogno.
Secondo l’art. 4 della L. 1766/1927, possono essere suddivisi in due classi, sulle quali mi trovo d’accordo:
- essenziali: per soddisfare i bisogni della vita ad uso personale;
- utili: per soddisfare in prevalenza uno scopo di industria;
Passiamo in rassegna quelli più ricorrenti sul territorio italiano:
- pascolo;
- legnatico;
- erbatico;
- boschivo (raccolta frutti dei boschi);
- seminativo;
- caccia;
- pesca;
- e molti altri più particolari in base ai luoghi ed esigenze locali;
Da questo elenco emerge come questi usi civici siano diritti di godimento promiscuo di alcune terre a favore degli abitanti di un luogo.
In passato questi prassi di utilizzo erano fondamentali per il buon governo del territorio, per il mantenimento dell’uso del suolo agricolo, boschivo e naturale.
Questo tipo di diritto costituiva la base di quell’equilibro, quel patto strutturato tra Uomo e Ambiente circostante ad esso. Resta il fatto che gli usi civici, in quanto diritti perpetui discendenti da epoca medioevale, romana e perfino preromana, oggi appaiono superati dai cambiamenti sociali e possono costituire criticità ai fini edilizi e di compravendita immobiliare.
I fondi gravati da usi civici furono oggetto di riordino nel Fascismo
Nel tentativo di riorganizzare la materia degli usi civici e per avere un quadro ricognitivo a livello nazionale, il Fascismo provvide ad emanare la L. 1766/1927.
Con essa fu avviata una fase di accertamento e liquidazione generale degli usi civici e di qualsiasi altro diritto di godimento promiscuo dei suoli in favore di abitanti locali.
L’accertamento doveva verificare esistenza ed estensione degli usi civici, con o senza prove documentali, purché il loro esercizio non fosse cessato prima dell’anno 1800; la scelta di questo anno non è casuale, in quanto l’avvento di Napoleone in Italia provvide all’abrogazione e riorganizzazione di una lunga serie di diritti feudali e nobiliari.
I fondi gravati da usi civici sono soggetti a principi di indisponibilità, imprescrittibilità e inusucapibilità.
Un suolo soggetto a questo tipo di diritto non può essere compravenduto e alienato al di fuori delle ipotesi tassative disposte dalla legislazione statale (L. 1766/1927 e R.D. 332/1928), in quanto assimilato per natura ad un bene demaniale (Corte Costituzionale n. 113/2018).
L’uso civico, per sua natura giuridica, è un diritto non soggetto a prescrizione né ad usucapione da parte del privato, e tanto meno soggetto a prescrizione.
Il paragone, o l’assimilazione a ruolo demaniale, lo ritengo adeguato proprio perchè ha finalità di soddisfare i bisogni della comunità a cui si riferisce. Se ci pensiamo bene il fondo gravato da uso civico ha la stessa finalità di uso e disponibilità collettiva propria dei beni demaniali.
Oppure, facendo un paragone ardito, immaginiamo che queste aree siano come un “super-condominio” in cui partecipano tutti gli abitanti del luogo in qualità di aventi diritto.
La compravendita di immobili gravati da uso civico è nulla per impossibilità giuridica del bene.
Un suolo gravato da usi civici, e relativi manufatti edilizi soprastanti, a prescindere che sia già stato oggetto di precedenti compravendite, non può essere oggetto di libera commerciabilità fintanto non sia stato “sclassato” attraverso l’apposita procedura prevista dalla suddetta normativa nazionale.
A nulla valgono a legittimare la proprietà e la commerciabilità gli eventuali titoli abilitativi edilizi rilasciati per i manufatti edificati, per gli stessi motivi di “demanialità” delle aree gravate dagli usi civici.
E ancora: le regioni non possono emanare provvedimenti per semplificare la “sclassazione” degli usi civici, proprio perchè materia rientrante nell’ambito dell’ordinamento civile soggetta alla esclusiva potestà legislativa statale (Corte Costituzionale n. 113/2018).
L’unica procedura che riconosce la fine degli usi civici è la cosiddetta “affrancazione” del fondo gravato.
Con questa procedura cessa definitivamente l’esistenza del diritto di uso civico a favore della comunità, operando in pratica una sorta di sdemanializzazione in favore del privato cittadino richiedente.
L’affrancazione è una procedura con cui il fondo gravato viene liberato dall’uso civico, con la quale il soggetto interessato ne diventa il pieno proprietario.
Si tratta di una procedura a titolo oneroso, con cui l’interessato deve versare una somma da liquidare (sull’entità e metodi di stima rinvio ad apposite letterature in materia).
Beni gravati di usi civici sono vincolati paesaggisticamente dal 1985.
L’approvazione della Legge 431/1985 “Galasso” ricomprese tra le aree soggette a vincolo paesaggistico quelle soggette agli usi civici, vincolo istituito per legge. Si tratta di un vincolo che è stato confermato e travasato nei successivi provvedimenti normativi del D.Lgs. 490/99 e nell’attuale Codice dei Beni Culturali D.Lgs. 42/2004.
Scopo e principio fondamentale di questa decisa forma di vincolo paesaggistico era la tutela del proprio valore di interesse pubblico a fronte di interventi edilizi.
L’estensione dei vincoli di notevole interesse pubblico, operata per legge n. 431/85, è stata effettuata sia per riconoscere l’effettivo valore di bellezza dei beni tutelati, ma anche per fornire un ulteriore motivazione per scoraggiare e reprimere l’abusivismo edilizio.
Anche se retaggio di un’epoca passata, lo scopo del vincolo è tutelare il valore testimoniale del suo passato e per il valore ambientale, delle stratificazioni socio-culturali succedutesi nel tempo (Cass. Sez. III n. 32925 del 17 luglio 2018).
Ergo, nelle aree soggette a questo tipo di diritto si applicano le stesse norme e gradi di tutela al pari di quelle più conosciute, come le fasce delle zone costiere, lacustri, boschive, eccetera, applicando quindo l’obbligo di dotarsi (o meno) dell’autorizzazione paesaggistica negli interventi edilizi.
Difficoltà applicative e censimento delle aree gravate da usi civici.
Occorre evidenziare che all’atto pratico è assai difficile individuare con esattezza le aree soggette a tali diritti, parlo in senso cartografico e catastale.
Molte regioni hanno avviato da tempo indagini conoscitive per cartografare le aree, cooperando con gli archivi storici comunali e tanti altri enti pubblici, proprio per cercare di individuare puntualmente gli eventuali limiti e confini di esse.
E’ emersa l’oggettiva difficoltà nell’inquadrare con esattezza i perimetri di queste aree e suoli, principalmente perchè (per esperienza professionale diretta) ho potuto constatare che questi diritti si sono tramandati verbalmente di generazione in generazione, e vagamente menzionati negli statuti medioevali dei comuni.
La Regione Toscana, in questo senso, ha operato una approfondita indagine conoscitiva e provveduto ad inserirla correttamente nel proprio Piano di Indirizzo Territoriale con valenza paesaggistica (PIT).
Il consiglio che mi sento di condividere è di consultare gli strumenti urbanistici regionali, infine locali, per accertarsi dell’esistenza di questi usi civici; infine, mi sento di suggerire di far effettuare ricerche da appositi specialisti e archivisti negli statuti e deliberazioni comunali del medioevo, focalizzando quelle del Seicento e Settecento, dove la produzione documentale è più ricca.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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