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Mentre il Senato dibatte sulle modifiche al testo, alcuni giuristi sollevano rischi di incostituzionalità

Prosegue a singhiozzo il percorso legislativo del disegno di legge n. 1309 cosiddetto “Salva Milano” che dovrebbe tentare il salvataggio di cantieri e costruzioni ritenute abusive secondo le inchieste portate avanti dalla Procura. Nel momento in cui scrivo esso è slittato dal 5 marzo al 12 marzo 2025 il termine per presentare emendamenti e degli ordini del giorno, lo ha stabilito la competente Commissione Ambiente del Senato, conseguentemente slitterà anche la discussione per approvarlo nell’aula del Senato; sembrerebbe consolidata la probabilità di presentazione emendamenti e della relativa approvazione, richiedendo perciò il ritorno in terza lettura alla Camera. Tuttavia l’attuale stesura del testo presenta probabili profili di incostituzionalità che potrebbero essere sollevati dalla stessa Procura con ricorso incidentale, secondo anche quanto sostenuto da professori giuristi chiamati ad esprimersi in fase di audizione in Commissione Ambiente al Senato, che sono dettagliati più avanti.

Gli attuali punti rilevanti della proposta di legge si riassumono come segue, impostata come norma di interpretazione autentica per disposizioni già vigenti come il Testo Unico Edilizia D.P.R. 380/01, la L. 1150/42, la legge ponte n. 765/1967 e il relativo decreto attuativo D.M. 1444/68, e in quanto tale porterebbe ad avere effetti retroattivi sufficienti per chiudere le inchieste:

  1. consentire interventi di ristrutturazione edilizia rilevanti anche in assenza di strumenti urbanistici attuativi (esempio piano di recupero, di lottizzazione o particolareggiato);
  2. estendere la portata degli interventi di demolizione e ricostruzione inquadrabili in ristrutturazione edilizia, superando i limiti già allargati in precedenza dai D.L. 69/2013, D.L. 76/2020, D.L. 50/2022;
  3. ammettere la costruzione di edifici con altezze superiori ai 25 metri e/o eccedenti l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, senza obbligo di piano attuativo, ove ciò non contrasti con un interesse pubblico concreto e attuale, al rispetto dei precedenti limiti di altezza, accertato dall’amministrazione con provvedimento motivato;

I sostenitori e difensori meneghini di questa proposta di legge hanno calcato molto una asserita difficoltà interpretativa delle norme, basandosi anche su una polverosa quanto inutile Circolare Ministeriale n. 1501/1969 (pochi sanno che lo stesso Ministero dopo meno di due mesi sospese tale Circolare, mediante proprio telegramma dell’11 giugno 1969, il quale si era reso conto dell’errore commesso, cfr. G. Locati, Riflessioni sul comma sesto dell’art. 17 della legge ponte, in Nuova rassegna, 1970, pp. 2663-2670, e specialmente p. 2665), a giustificare lo sbilanciamento di uffici comunali verso letture più semplificate e favorevoli ai costruttori.

Si sono anche schermati dietro i margini interpretativi della relativa legge regionale sul governo del territorio, tuttavia non mi spiego perchè allora le inchieste risultano circoscritte a Milano e non verso altre realtà lombarde (mi sono sfuggite?). Fin dall’inizio della vicenda ho sempre ritenuto che bisogna “salvare il salvabile” a Milano, cercando di essere sostanzialisti e concreti una volta tanto: anche perchè in gioco c’è l’unico cantiere di rigenerazione urbana filo-europeo, seppur censurato dalla Procura per presunte carenze di dotazioni territoriali, servizi e infrastrutture pubbliche, urbanizzazione e monetizzazione. Inoltre: vogliamo riflettere seriamente se quello che è stato realizzato risulti migliore, peggiore o equivalente a quanto preesistente prima sul lotto? Vediamo cosa salvare, e come salvare ciascuna casistica mediante adeguamento postumo delle stesse e di ciò che risulterebbe contestato perfino come lottizzazione abusiva in alcune inchieste: un’operazione simile, a prescindere dal possibile epilogo legislativo o giudiziario, si profila non come condono edilizio, ma come il primo condono urbanistico che si ricordi.

Intendiamoci: una soluzione andrà trovata perchè non sarebbe gestibile per lo stesso Comune procedere con acquisizione gratuita, la valutazione di interesse pubblico al mantenimento delle costruzioni o la loro demolizione (già è arduo abbattere dopo anni con R.E.S.A. una villetta a due piani, figurarsi un edificio di 25 piani in mezzo a Milano); faccio pure fatica a immaginare un grattacielo derubricato a “casa popolare”, in quanto edifici di notevole complessità costruttiva, impiantistica e gestionale. Qui finiscono le mie lance spezzate a favore di coloro che sono considerati i “cattivi della fiaba di Milano”, per focalizzarsi sui probabili profili di incostituzionalità verso una norma di interpretazione autentica, o forse di natura innovativa.

Profili di incostituzionalità e norma interpretativa NON autentica

Nelle audizioni svolte in Commissione Ambiente del Senato nella seduta datata 28 gennaio 2025 ci sono stati interventi interessanti da parte di tutti i soggetti, e trovo utile dare risalto ai rischi di possibile incostituzionali di una norma (poco) autentica e casomai innovativa, e che tenta di interpretare a decenni di distanza (una vera ammissione di colpa legislativa). Mi permetto di menzionare i passaggi salienti e condivisibili circa questi possibili profili di incostituzionalità, l‘intervento del Prof. Roccella è significativo:

L’art. 1, comma 1, primo periodo, del ddl n. 1309 reca interpretazione autentica dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica del 1942, introdotto dall’art. 17 della l. 6 agosto 1967, n. 765. La disposizione verrebbe approvata a distanza di oltre 57 anni dall’entrata in vigore della disposizione interpretata, un intervallo di tempo molto maggiore di quello di nove anni che ha indotto la Corte costituzionale, con la citata sentenza 4 del 2024, a dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione di interpretazione autentica sottoposta al suo giudizio. In una precedente audizione il prof. Travi ha chiarito che la legge urbanistica reca due obblighi di pianificazione attuativa che devono essere tenuti distinti. Aggiungo soltanto che le conseguenze dei due obblighi sono diverse. Per gli ambiti non urbanizzati o carenti di opere di urbanizzazione la mancanza di piano attuativo comporta il divieto di qualsiasi nuova edificazione privata. Invece per le zone in cui la pianificazione generale consenta edifici di altezza superiore a 25 metri o di densità superiore a 3 mc/mq la mancanza di piano attuativo comporta non un divieto totale, ma soltanto la riduzione dell’edificazione a limiti inferiori a quelli di legge, limiti che possono essere superati soltanto previo piano particolareggiato il quale valuti le esternalità negative di costruzioni di cosi elevato impatto sulla zona circostante. La differenza nelle conseguenze conferma che i due obblighi sono distinti e diversi tra loro.

Peraltro viene ricordato che sull’articolo 41-quinques L. 1150/42 non vi siano contrasti interpretativi da decenni. L’intevento prosegue e, dopo aver accennato all’irrilevanza della Circolare Ministeriale n. 1501/1969, afferma a ragion veduta che il testo del Salva Milano, ancorchè autoqualificato come interpretazione autentica, sia invece di tipo innovativo con efficacia retroattiva.

    L’art. 1, comma 1, secondo periodo, del disegno di legge 1309 reca interpretazione autentica non di una precedente disposizione legislativa ma di una disposizione posta da un decreto interministeriale, il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444.
    La disposizione interpretata non è stata mai oggetto di orientamenti interpretativi controversi o difformi e verrebbe interpretata autenticamente dopo quasi 57 anni, con l’aggiunta di una prescrizione nuova (ove ciò non contrasti con un interesse pubblico concreto e attuale al rispetto dei predetti limiti di altezza, accertato dall’amministrazione competente con provvedimento motivato, o comunque ove ciò sia previsto dagli strumenti urbanistici). La disposizione del ddl pertanto, nonostante la sua autoqualificazione come di interpretazione autentica, è in realtà innovativa con efficacia retroattiva poiché attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario.
    Anche l’art. 1, comma 3, sulla definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, nonostante la sua autoqualificazione come disposizione di interpretazione autentica, è in realtà innovativa con efficacia retroattiva poiché modifica il testo della disposizione interpretata, introducendovi elementi che originariamente non vi comparivano. Non vi sono incertezze sulla portata della disposizione interpretata perché, come ricordato dal prof. Travi, la giurisprudenza amministrativa e quella della Corte di Cassazione* (III sezione penale) concordano nel ritenere che la demolizione e ricostruzione possa essere qualificata come ristrutturazione edilizia solo quando vi sia continuità tra l’edificio demolito e quello di nuova realizzazione. Diversamente si ha sostituzione edilizia, equiparata a nuova costruzione, come sostenuto dal prof. Civitarese Matteucci nella sua audizione. Per tutte e tre le disposizioni di interpretazione autentica non sono emerse finora ragionevoli giustificazioni, consistenti nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, con la conseguenza che risulta inverato anche questo elemento sintomatico dell’uso distorto del potere legislativo. Inoltre tutte e tre le disposizioni interpretative incidono su giudizi in corso e quindi inducono un controllo di costituzionalità ancora più stringente. Gli elementi esposti portano a ritenere che il disegno di legge 1309 si presti a essere censurato in relazione ai principi finora affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di leggi di interpretazione autentica. (*Cfr. anche Cass. Pen. 18044/2024.)

    Conclusioni

    Dubito che allo stato attuale convenga fare un gioco di forza perchè nulla è scontato: premesso che gli interessi in ballo sono tanti e sostanziosi, sarebbe più opportuno rivedere la norma affinchè possa superare il vaglio di costituzionalità, tramutandola in una forma “condonatoria” vera e propria.

    Ma così facendo si risolverebbe una disparità per aprirne una più grossa verso l’intera Italia: troppe volte nei miei video ho letto commenti inferociti di persone che hanno ringhiato verso il “salvataggio” di grattacieli sotto inchiesta per presunti abusi edilizi, quando costoro non riescono a risolvere piccoli illeciti edilizi presenti da decenni. Si tratterebbe di una nuova disparità ben peggiore da affrontare: gli italiani vogliono il condono edilizio, e allora chiuderebbero un occhio anche su Milano.

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    CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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