La mera rappresentazione di abusi edilizi in precedenti titoli abilitativi rilasciati dal Comune non genera alcun legittimo affidamento.
La ristrutturazione dell’edificio su cui pende la domanda di condono è preclusa a prescindere dalla tipologie di opere
In passato sugli edifici sono state presentate domande di condono edilizio ai sensi delle tre rispettive norme L. 47/85, L. 724/94 e D.L. 269/03, ed esistono ancora migliaia di istanza in attesa di definizione in ogni Comune. Fino all’esito della domanda, l’immobile non può essere modificato o trasformato, l’unica eccezione alla regola potrebbe essere (condizionale d’obbligo) il completamento del rustico o delle finiture a specifiche quanto risicate condizioni.
Resta invece confermato un costante principio: la domanda di condono edilizio non consente di sanare opere effettuate dopo la presentazione, e il termine di scadenza per opere ultimate serve a escludere abusi edilizi non ancora compiuti o ultimati. E rammento come molte domande di condono edilizio sono pendenti a fronte di un sicuro destino di diniego o improcedibilità.
Sul punto è tornato sopra in senso confermativo il TAR Campania n. 1298/2024, che ha respinto il ricorso di annullamento dell’ordinanza di demolizione di ulteriori opere di completamento e ampliamento a fabbricato con domanda di condono in attesa di definizione.
E’ vero che ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia si deve arrestare a fronte della presentazione di una domanda di condono e restare sospeso fino sua alla definizione da parte dell’amministrazione comunale; ma è anche vero che successivamente alla presentazione della domanda di condono edilizio e prima che quest’ultima sia decisa, il proprietario non può effettuare alcun lavoro di completamento o ampliamento dell’immobile abusivo, valendo il principio in forza del quale è la prosecuzione in sé dei lavori ad essere preclusa, a prescindere dal regime edilizio a tali opere applicabile, anche in termini di trattamento sanzionatorio.
L’esecuzione postuma di opere di completamento del condono, in fase di valutazione e istruttoria della domanda, porterebbe a contraddire il presupposto giuridico della ultimazione delle opere ad una data antecedente l’entrata in vigore della rispettiva legge di “speciale” sanatoria edilizia.
Pertanto, le ulteriori opere eseguite dopo la presentazione dell’istanza di condono, ancorché interne o pertinenziali, oppure astrattamente riconducibili alle categorie della manutenzione ordinaria/straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, o della ristrutturazione edilizia, devono dirsi abusive e in prosecuzione dell’indebita attività edilizia pregressa, ripetendo le caratteristiche di illiceità dell’opera principale cui ineriscono strutturalmente, con conseguente obbligo dell’Amministrazione comunale di ordinarne la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001; ciò, peraltro, non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende l’istanza di condono, ma solo affermare che, a pena dell’assoggettamento alla medesima sanzione demolitoria prevista per il manufatto abusivo di riferimento, tale possibilità di intervento deve esplicarsi nel rispetto delle procedure di legge.
E’ legittimo che il Comune emetta il provvedimento repressivo e ordinanza di demolizione relativo alle opere abusive effettuate dopo la presentazione dell’istanza di condono: in questi casi è ammissibile farlo quando nell’istanza di condono risultino elementi probanti lo stato effettivo delle opere anteriori al termine normativo previsto per ciascun condono, e che debba risultare documentato già nella istanza di condono stesso (fotografie datate, elaborati grafici, eccetera). In caso contrario c’è il rischio di “confusione”, cioè l’impossibilità di distinzione e riconoscibilità opere oggetto di condono, lo stato ante opera e gli ulteriori interventi effettuati dopo l’istanza.
Ad esempio: quando l’immobile abusivo non è meramente integrato, ma è radicalmente sostituito da un altro edificio, l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile stante la radicale trasformazione dell’oggetto originario. Conseguentemente, l’Amministrazione deve emanare il provvedimento di demolizione del nuovo immobile, costruito abusivamente in luogo di quello già realizzato sine titulo” (Cons. di Stato n. 370/2022, n. 665/2018).
Inoltre, la ripresa dei lavori su immobili incompleti con istanze pendenti di condono apre un altro profilo problematico in casi di vincoli di varia natura, come quelli paesaggistici e beni culturali. La giurisprudenza amministrativa ha confermato la legittimo il diniego del Comune all’istanza di Condono edilizio per un manufatto incompleto in funzione del parere negativo della competente Soprintendenza, in quanto lo stato attuale dei volumi a grezzo, ampiamente documentato da foto, si presentava in quell’istante in palese incompatibilità paesaggistica e quindi condizione sufficiente per denegare l’istanza dal Comune.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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