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DL 269/2003 prevede una doppia applicazione del limite su nuove costruzioni e ampliamenti a costruzioni esistenti

Riprendo il delicato tema del cosiddetto Terzo Condono edilizio, cioè quello disposto dal D.L. 269/2003 convertito con modifiche in L. 326/2003, in particolare i severi limiti volumetrici di 750 metri cubi per accedere alla sua sanatoria edilizia straordinaria.

Per quanto riguarda i requisiti e condizioni di ingresso rinvio all’apposito approfondimento sul blog e alla predetta normativa.

Il Terzo Condono edilizio ha avuto una portata minore rispetto all’aspettativa di molti a causa di vari motivi:

  • la sovrapposizione legislativa concorrente alle regioni, fresca di riforma del Titolo V.
  • il “pasticcio” della parziale incostituzionalità proprio per questione relativa al punto precedente;
  • forte limitazione delle volumetrie ammesse al condono, sia per incrementi che per nuove costruzioni;
  • conferma dei limiti relativi a singola istanza;

Focalizziamo proprio questi due fattori limitanti di ingresso alla regolarizzazione straordinaria, e soprattutto sui criteri di valutazione unitaria e complessiva delle domande di condono relative allo stesso edificio.

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Terzo Condono edilizio: il limite dei 750 metri cubi, le applicazioni

Un limite volumetrico di 750 metri cubi era già stato introdotto col Secondo Condono edilizio, cioè con L. 724/1994; nel riattivare i termini del Terzo condono, il D.L. 269/2003 ha reiterato questo limite volumetrico con ulteriori precisioni e modifiche.

Il Terzo Condono era ammissibile per opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, e trovano altresì applicazione alle opere abusive relative i limiti volumetrici in questa modalità:

  • ampliamento del manufatto non superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento non superiore a 750 metri cubi.
    Essendo due ipotesi distinte e disgiunte, è possibile che un ampliamento del 30% possa aver superato l’alternativo limite di 750 metri cubi, oppure al contrario che un ampliamento di 750 metri cubi possa comportare il superamento del 30% della volumetria del manufatto.
  • nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

Da quanto sopra, comparando il terzo condono D.L. 269/2003, rispetto alla L. 724/94, aggiunge un ulteriore limite volumetrico complessivo per la nuove costruzioni, pari a tremila metri cubi; tuttavia la suddetta norma sembra circoscrivere questa previsione alle nuove costruzioni residenziali, senza precisare diverse disposizioni per altre destinazioni d’uso.

I chiarimenti circa l’applicazione del limite volumetrico di 750 mc li possiamo ricavare dalla sentenza di Cass. Penale n. 13946/2022, di cui riporto alcuni passaggi essenziali:

Ai fini della concedibilità della sanatoria straordinaria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso edificatorio, del limite legale di consistenza dell’opera fissato in 750 mc.

Faccio presente che l’art. 32 comma 25 del L. 326/2003 è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza di Corte Costituzionale n. 196 del 2004 nella parte in cui non prevedeva che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli previsti di base (vedi Toscana con LR 53/2004). Per questo la norma fu corretta in fretta e furia, con tanto di proroga dei termini di presentazione istanze.

Frazionamento di istanze multiple relative allo stesso immobile

Di conseguenza non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l’unità immobiliare in plurimi interventi edilizi. Questo per evitare un illecito l’espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, “disarticolandole”, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, si da costituire una costruzione unica.

Il problema degli illeciti “frazionamenti preventivi” delle istanze di condono si pose già prima con la precedente norma di condono L. 724/94, sulla quale si espresse subito la Corte Costituzionale con sentenza n. 302/1996. Secondo essa, la previsione massima di cubatura di “750 metri cubi” costituisce limite assoluto ed inderogabile, che si aggiunge come norma di chiusura al limite di ampliamento per le nuove costruzioni, limite che altrimenti deve essere contenuto nel trenta per cento della volumetria originaria, ad evitare che fabbricati, inizialmente, di cubatura considerevole possano ampliarsi in modo ulteriormente notevole, in tanto ne è consentita la deroga in quanto ci si trovi per gli edifici di nuova costruzione in presenza di una pluralità di domande di sanatoria giustificata dalla suddivisione dell’immobile in singole unità già suddivise fra i vari proprietari, dovendo in tal caso rapportarsi il limite volumetrico di 750 mc a ciascuna domanda presentata, valendo tuttavia tale temperamento solo per i casi di “legittima ed ammissibile scissione della domanda di sanatoria” da parte di più soggetti “aventi titolo al momento della presentazione della domanda di condono.

Un ambito invece che appare ancora controverso riguarda la realizzazione di più manufatti all’interno dello stesso lotto.

Limite 750 metri cubi, differenze tra L. 326/2003 e L. 724/94 (Terzo e Secondo condono edilizio)

Il raffronto tra il condono del 2003 e quello del 1994 evidenzia differenze nette sull’operatività della sanatoria:

  • L. 724/1994 distingue gli abusi che tra quelli comportanti:
    – un “ampliamento” di un immobile preesistente fissandovi un divieto di limite pari al 30% della volumetria originaria, ovvero di 750 metri cubi indipendentemente dalla volumetria iniziale;
    – nuova costruzione non superiori a 750 metri cubi per singola istanza di condono, senza prevedere contestualmente alcun limite volumetrico globale di sanabilità per l’opera nel suo complesso;
  • DL 269/03 (L. 326/03) riprende quasi la due categorie ammesse dalla L. 724/94 distinguendole ulteriormente:
    ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi.
    nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

Da una rapida comparazione possiamo notare alcune differenze circa le simili categorie di abusi ammessi al condono.

Per quanto riguarda l’ammissibilità degli ampliamenti si possono ritenere equivalenti le rispettive forme di limitazioni contenute nelle due norme di Condono L. 724/94 e 326/03.

Una notevole differenza la troviamo invece per gli abusi comportanti nuova costruzione, che rimangono riferiti al limite volumetrico di 750 metri cubi per singola istanza, ma col Terzo Condono L. 326/2003 viene ulteriormente aggiunto il limite globale di tremila metri cubi.

Si tratta di una seconda condizione restrittiva da verificare quando sullo stesso edificio costruito abusivamente sia oggetto di più istanze, evidentemente presentate fin da subito da soggetti diversi onde evitare l’elusione dei predetti limiti.

Per dirla meglio riporto un passaggio interessante dalla sentenza di Cassazione Penale n. 13946/2022 (vedi anche Cass. Pen. n. 44596/2016):

La possibilità di ottenere il condono con riferimento ad opere abusive non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi è chiaramente riferita all’ipotesi in cui, per effetto di una suddivisione originaria della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, siano identificabili nell’ambito di un unico edificio distinte unità abitative ognuna nella titolarità di soggetti diversi, ipotesi nella quale soltanto è possibile proporre istanze separate da parte dei singoli legittimati, ognuna per la porzione di appartenenza, relative ad un medesimo immobile: la volumetria di 3000 metri cubi costituisce all’evidenza una norma di sbarramento che in tanto consente la presentazione di singole domande di condono, ognuna delle quali riguardi una porzione non superiore a 750 mc, in quanto la costruzione di cui fanno parte non abbia un’estensione superiore ai 3.000 mc. e ciò all’evidente fine secondo gli obiettivi perseguiti dal legislatore del 2003, di arginare il rischio dello stravolgimento dell’assetto territoriale contenendo la sanatoria nei limiti di abusi di modeste dimensioni.

Conclusioni e consigli

A prima lettura le differenze potrebbero non apparire evidenti da subito, ma rileggendo la norma e la giurisprudenza menzionata si capisce meglio.

Tuttavia è opportuno consigliare di valutare bene l’istanza di condono pendente, cioè in attesa di completamento della procedura: infatti non è opportuno gestirla o considerarla in maniera disgiunta dal fabbricato in cui si trova, sopratutto quando ha per oggetto incrementi volumetrici o realizzazione ex novo di volumetrie.

Altra raccomandazione è verificare la presentazione congiunta delle varie istanze relative all’intero fabbricato, e i relativi soggetti allora intestatari e legittimati alla presentazione: in presenza di più domande riferite alla stessa persona proprietaria, bisogna porvi attenzione.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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