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terzo condono 2003 copertina

Regole e condizioni necessarie per accedere al condono edilizio avviato con D.L. 269/2003

L’ultimo provvedimento di sanatoria edilizia straordinaria è avvenuta con decreto-legge 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326/2003, richiamando la disciplina ritenuta utile e già dettata per i precedenti due condoni (anche con progressive modificazioni), da considerarsi ovviamente nel quadro delle ulteriori peculiari condizioni fissate nello stesso decreto per la nuova disciplina. Si è trattato di una riedizione delle disposizioni nazionali sul condono edilizio L. 47/85, nella versione coordinata con le modifiche precedentemente approvate dalla L. 724/94: lo stesso D.L. 269/03 dispose forti limitazioni, alle quali si devono aggiungere quelle ulteriormente previste dalle legislazioni regionali.

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INTRODUZIONE

La nascita e l’applicazione della norma del terzo condono edilizio è stata travagliata, e non è paragonabile alla portata ed effetti sananti dei precedenti provvedimenti delle L. 47/85 e L. 724/94 per i limiti che vedremo a breve. Inizialmente fu emanato il decreto-legge n. 269/2003, convertita con modifiche dalla L. 326/2003, alla quale seguirono provvedimenti correttivi e proroghe; tuttavia il condono edilizio 2003 ebbe un’importante battuta di arresto con la sentenza n. 196 del 28 giugno 2004 emessa dalla Corte Costituzionale, la quale provvide a dichiarare incostituzionali alcune parti, tra le più importanti:

  • comma 26 art. 32 DL 269/2003, nella parte in cui non consentiva alle leggi regionali di determinare le condizioni e le modalità di ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 della stessa legge;
  • comma 32 art. 32 L. DL 269/2003, nella parte in cui non prevedeva che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale; tale termine è stato prorogato mediante recepimento legislativo avvenuto con l’art. 5 comma 1 del D.L. n. 168/2004 (conv. in legge 191/2004).

Per dare esecuzione alla pronuncia di Corte Costituzionale n. 196/2004, fu emanato il D.L. 168 del 12 luglio 2004 (in Gazzetta Ufficiale n.161 del 12-07-2004 – Suppl. Ordinario n. 122), convertito con modificazione dalla L. 191/2004, disponendo che la legge regionale prevista dal comma 26 dell’articolo 32 del decreto-legge n. 269/03 (L. 326/03) potesse essere emanata entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. 168/2004 (cioè il 12 luglio 2004). Tale termine di quattro mesi si applicava anche alle leggi regionali sull’incremento facoltativo dell’oblazione in misura massima del 10 per cento, di cui al comma 33 del citato articolo 32 del D.L. 269/2003. Una volta decorso tale termine, si applica la normativa nazionale contenta del medesimo decreto-legge sul terzo condono.

Leggi regionali sul condono edilizio 2003/2004

In tal senso quasi tutte le regioni hanno provveduto ad emanare norme integrative sull’applicazione del terzo condono, con le quali hanno introdotto anche restrizioni aggiuntive a quelle previste dal provvedimento nazionale:

Regioni a statuto ordinario

  • Abruzzo: nessuna legge
  • Basilicata: L.R. 10/11/2004 n. 18 (Bollettino n. 82 del 12/11/2004)
  • Calabria: nessuna legge
  • Campania: L.R. 18/11/2004 n. 10 (Bollettino 18/11/2004 n.56)
  • Emilia Romagna: L.R. 21/10/2004 n. 23 (Bollettino 22/10/2004 n. 143)
  • Lazio. L.R. 08/11/2004 n. 12 (Bollettino 10/11/2004 n. 31)
  • Liguria: L.R. 29/03/2004 n. 5 (Bollettino 31/03/2004 n. 3) e L.R. 24/09/2004 n. 17 (Bollettino 29/09/2004 n. 8)
  • Lombardia: L.R. 03/11/2004 n. 31 (Bollettino 05/11/2004 n. 45)
  • Marche: L.R. 29/10/2004 n. 23 (Bollettino 04/11/2004 n. 116)
  • Molise: L.R. 11/11/2004 n. 25 (Bollettino 11/11/2004 n. 23)
  • Piemonte: L.R. 10/11/2004 n. 33 (Bollettino 11/11/2004 n. 45)
  • Puglia: L.R. 23/12/2003 n. 28 (Bollettino 29/12/2003 n. 152) e L.R. 03/11/2004 n. 19 (Bollettino 05/11/2004 n. 133)
  • Toscana: L.R. 20/10/2004 n. 53 (Gazzetta reg. 27/10/2004 n. 40)
  • Umbria: L.R. 03/11/2004 n. 21 (Bollettino 08/11/2004 n. 47)
  • Veneto: L.R. 05/11/2004 n. 21 (Bollettino 09/11/2004 n. 113)

Regioni a statuto speciale e Province autonome

  • Friuli Venezia Giulia: L.R. 29/10/2004 n. 26 (Bollettino 04/11/2004 n. 19)
  • Sardegna: L.R. 26/02/2004 n. 4 (Bollettino 28/02/2004 n. 7)
  • Sicilia: L.R. 05/11/2004 n. 15 (Bollettino 11/11/2004 n. 47)
  • Valle d’Aosta: L.R. 05/02/2004 n. 1 (Bollettino 24/02/2004 n. 8)
  • Provincia di Trento: L.P. 08/03/2004 n. 3 (Bollettino 09/03/2004 n. 10)
  • Provincia di Bolzano: L.P. 19/10/2004 n. 6 (Bollettino 2/11/2004 n. 44)
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Termini di presentazione della istanza di condono.

Inizialmente il Decreto-Legge 269/2003, all’articolo 32, comma 32, indicava il termine del 31 marzo 2004.

32. La domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35.

Poi ci fu una prima proroga del termine per depositare l’istanza al 31 luglio 2004, apportata con l’art. 1 comma 1 lettera a) D.L. 82/2004 (che provvide a prorogare anche i termini del pagamento della seconda e terza rata, rispettivamente dal 30 giugno 2004 al 30 settembre 2004, e dal 30 settembre 2004 al 30 novembre 2004).

Infine, anche per dare esecuzione alla suddetta sentenza di Corte Costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004 (riconoscendo un vizio di costituzionalità per le norme regionali in materia di Terzo Condono), fu emanato il D.L. 168 del 12 luglio 2004 (articolo 5, comma 1) con cui furono riaperti i termini di presentazione dell’istanza entro l’esigua finestra temporale compresa tra l’11 novembre 2004 e 10 dicembre 2004.

Opere oggetto di condono in Edilizia privata

La regola generale stabilisce che le disposizioni generali del terzo condono fanno riferimento alla prima legge sul condono (L. 47/85), nella versione modificata dal secondo (L. 724/94). In verità più che regola general andrebbe qualificata come clausola residuale se la compariamo alle svariate restrizioni espressamente previste dal D.L. 269/03, a cui aggiungere quelle eventualmente regionali. Per questo motivo è assai noto che il terzo condono consiste in una disciplina assai più severa e rigorosa dei precedenti condoni (Cons. di Stato n. 755/2018). Infatti l’articolo 25 del decreto-legge n. 269/2003 riapriva i termini per applicare le disposizioni previste dal primo condono (L. 47/85), come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ponendo:

  • ulteriori limitazioni e condizioni;
  • diversificazione delle tipologie di abuso ammesse, evitando stavolta di reiterare quelle previste dalla Tabella A della L. 47/85, reiterate soltanto in occasione del secondo condono (L. 724/94).

Categorie di intervento ammesse al Terzo Condono edilizio.

Vi sono ulteriori condizioni da rispettare previste dal successivo comma 26 medesimo articolo 32 DL 269/2003, riferito all’allegato 1 della stessa norma:

a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo (cioè immobili dichiarati monumento nazionale o di particolare interesse ex art. 13 e 14 D.Lgs. 42/2004, ndr), nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio.

Dalla lettura combinata di questi due punti emerge una netta distinzione dell’ambito applicativo ammesso a favore delle regioni, nonché una distinzione tra abusi primari/secondari e vincoli di vario tipo secondo la apposita tabella contenuta in allegato al D.L. 269/2003.

Tabella Allegato 1 – tipologie opere abusive suscettibili di sanatoria art. 32 c.26 DL 269/2003:

Tipologia 1. Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;

Tipologia 2. Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente decreto;

Tipologia 3. Opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;

Tipologia 4. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;

Tipologia 5. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;

Tipologia 6. Opere di manutenzione straordinaria, come definite all’articolo 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.

Per capire bene se l’opera abusiva fosse ammessa al condono, si devono svolgere analisi secondo i seguenti principali step.

Condizioni generali di accesso al terzo condono edilizio.

Termine e modalità presentazione della domanda Condono edilizio, a pena di decadenza: inizialmente era il 31 marzo 2004, prorogato poi con L. 191/2004 tra l’11 novembre 2004 e 10 dicembre 2004. La presentazione doveva avvenire depositando presso il Comune la domanda sulla base del modello allegato alla norma, e alla documentazione ex comma 35 art. 32 DL 269/2003 (sempre a pena di decadenza):

a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell’articolo 47 c.1 d.P.R. n. 445/2000, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;

b) qualora l’opera abusiva supera i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneità statica delle opere eseguite;

c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale.

Termine ultimazione opere ammissibili

Il D.L. 269/03 ha stabilito la data del 31 marzo 2003 quale termine entro cui l’opera oggetto di istanza dovesse essere ultimata, ad eccezione per le costruzioni effettuate al rustico, per le quali la norma ammetteva la possibilità di effettuare ulteriori opere di completamento a rischio e responsabilità del soggetto istante. La data del 31 marzo non è mai stata differita o modificata, per evitare possibili problematiche di opere abusive realizzate dolosamente dopo aver appreso la notizia del nuovo percorso legislativo sul condono.

Limiti quantitativi e destinazioni d’uso generali

Esistono anche caratteristiche quantitative condizionali stabilite dall’articolo 32, comma 25, del D.L. 269/2003, in particolare imponendo rigidi limiti volumetrici:

25. Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

Premesso che il testo iniziale del predetto comma 25 non conteneva l’ulteriore limite massimo volumetrico di 3.000 metri cubi per nuove costruzioni (aggiunto in conversione di legge), si possono riassumere come segue i due distinti limiti volumetrici:

Escluse nuove costruzioni aventi destinazione non residenziale.

Per nuove costruzioni ad uso residenziale viene riproposto il severo criterio composto da due condizioni consecutive già presente nell’articolo 39 L. 724/94, anche alla luce del notevole contenzioso giudiziario nato sul medesimo punto. Il rispetto congiunto delle condizioni di 750 mc per singola istanza di condono inerente la nuova costruzione abitativa, trova un ferreo limite aggiuntivo di 3.000 mc entro i quali ricomporre le istanze per rilasciare un unica concessione edilizia in sanatoria. Il criterio intende favorire a livello soggettivo la presentazione di più istanze attinenti alla medesima costruzione, con un approccio globale verosimile al Fascicolo di Fabbricato, quasi coordinato alla futura nozione di Stato Legittimo: lo scopo è distinguere correttamente e senza elusioni artificiose l’individuazione di autonomi centri di interessi per ciascun soggetto, affinché si possa individuare le rispettive porzioni costitutive l’intero fabbricato.

Per quanto riguarda le nuove costruzioni, emerge subito l’incertezza se quelle con destinazione diversa dalla residenziale possano accedere ai benefici del terzo condono, anche rispettando il limite di tremila metri cubi. Essendo il condono una normativa speciale e derogatoria, richiede una interpretazione di tipo tassativa e restrittiva, la quale porta ad ammettere nel terzo condono soltanto le nuove costruzioni residenziali, escludendo qualsiasi altra nuova costruzione con destinazione diversa. Tale interpretazione trova conforto dalla giurisprudenza, tra cui Cons. di Stato n. 8594/2023, oppure Cass. Pen. n. 34361/2020, le quali affermano che non è possibile il terzo condono per nuove costruzioni a destinazione non residenziale:

«In tema di condono edilizio, in relazione alla previsioni del c.d. Terzo condono edilizio (D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 25, convertito nella L. n. 326 del 2003), deve essere operata una distinzione tra i meri ampliamenti delle opere preesistenti, quale che ne sia la destinazione d’uso (per i quali vale, in alternativa, il limite del 30% del volume aggiuntivo o dei 750 metri cubi di ampliamento), e le nuove costruzioni, sanabili solo se di tipo residenziale e con il limite massimo dei 750 metri cubi per ogni singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria, con l’ulteriore condizione che la nuova costruzione non superi, complessivamente, i 3.000 metri cubi di volume” (in senso analogo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 4 del 2009 che ha altresì affermato che non sono condonabili le opere abusive realizzate in base a concessione annullata in sede giurisdizionale)».

Ampliamenti, cumulatività dei limiti volumetrici

Anche il terzo condono non ammette la possibilità di eludere il limite volumetrico per la concedibilità della sanatoria, attraverso la parcellizzazione o frazionamento delle singole porzioni in luogo dell’intera costruzione; viene infatti riproposto lo stesso limite di incremento volumetrico istituito con L. 724/94, parametrato ai 750 mc e 30% della volumetria della costruzione originale.

In definitiva si palesò subito il dubbio applicativo se per gli incrementi volumetrici le due condizioni si dovessero considerare disgiuntamente, a causa della dizione di alternativa contenuta nella’articolo 32, comma 25, del D.L. 269/2003:

«(…)che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi».

Questa formulazione è lievemente diversa da quella omologa contenuta nell’articolo 39 L. 724/94, la quale collegava con “ovvero” i due limiti volumetrici incrementali:

«(…)che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi».

Premesso che per l’ipotesi stabilita dal secondo condono, in giurisprudenza ha prevalso una interpretazione restrittiva, ovvero verifica congiunta dell’incremento percentuale entro 30%, e comunque (doppia condizione) entro e non oltre 750 metri cubi. Ad esempio il nodo fu sciolto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 302 del 23 luglio 1996, affermando che «La previsione massima di cubatura di “750 metri cubi” è un limite assoluto ed inderogabile, che si aggiunge come norma di chiusura al limite di ampliamento che deve essere contenuto nel trenta per cento della volumetria originaria, ad evitare che fabbricati, inizialmente, di cubatura considerevole possano ampliarsi in modo ulteriormente notevole (…)».

Ad esempio, rispetto ad edificio di 2.400 mc, risulterebbe verificato l’ampliamento di 700 mc < 750 mc e del 29%< 30%.
L’interpretazione restrittiva di cui sopra ha inteso evitare situazioni paradossali, ammettendo sull’edificio esistente di 3.000 mc l’ampliamento del 30%, pari a 900 mc che risulterebbero superiori ai 750 alternativi.

Anche nel terzo condono la giurisprudenza ha convalidato il medesimo orientamento restrittivo, nonostante vi fosse una diversa formulazione espressamente “alternativa”. Inizialmente vi fu una prima apertura da parte della Circolare esplicativa Min. LL.PP. 7 dicembre 2005, n. 2699 (G.U. n. 52 del 3 marzo 2006), che ammetteva la tesi della alternatività disgiunta, ritenendo sufficiente ampliamento del 30 per cento oppure ampliamenti non superiori a 750 mc, consentendo al soggetto richiedente di scegliere il parametro più favorevole.

Tuttavia la giurisprudenza amministrativa ha fornito la sua interpretazione restrittiva sull’alternatività dei limiti volumetrici, stabilendo il carattere cumulativo dei requisiti dimensionali, dovendosi ritenere che il terzo condono fosse riconoscibile ad opere di ampliamento che fossero, al contempo, non superiori al 30% della volumetria originaria e non comportanti un ampliamento superiore a 750 metri cubi (Consiglio di Stato n. 1107/2019) nel senso della cumulatività dei requisiti dimensionali, dovendosi ritenere che il condono fosse riconoscibile ad opere che fossero, al contempo, non superiori al 30% della volumetria originaria e non comportanti un ampliamento superiore a 750 metri cubi. L’interpretazione così adottata trovava fondamento nella natura eccezionale e non estensibile della normativa sul condono, oltre che nella ratio di escludere in ogni caso la sanatoria per gli abusi più rilevanti, dal legislatore individuati, indipendentemente dal parametro percentuale.

In definitiva, in base al consolidato indirizzo giurisprudenziale, i due limiti volumetrici per ampliamento, fissati dal comma 25 dell’art. 32 L. 326/03, operano non già disgiuntamente, bensì congiuntamente, sicché gli incrementi consentiti non devono essere superiori al 30% della cubatura della costruzione originaria e non possono in ogni caso eccedere i 750 metri cubi (cfr. Cons. di Stato n. 10506/2023, n. 9805/2022, n. 1107/2019, n. 4322/2017, n. 6042/2013).

Anche la giurisprudenza penale ha fornito una serie di chiarimenti su come applicare le limitazioni volumetriche del terzo condono edilizio, riscontrabili anche dalla sentenza di Cassazione Penale n. 2840/2022:

La citata disposizione, con cui si è approvato il c.d. terzo condono edilizio, dopo quelli approvati con le precedenti discipline, in essa richiamate, contenute nelle leggi n. 47/1985 e 724/1994, ha sotto alcuni profili ristretto il campo di operatività della sanatoria straordinaria. In particolare, per quel che qui rileva, con riguardo all’edificazione di nuove costruzioni, il condono è stato consentito a condizione che: si tratti edificio avente destinazione residenziale; ciascuna richiesta di titolo abilitativo in sanatoria non ecceda i 750 mc.; il nuovo manufatto non superi complessivamente 3.000 mc. Tenendo anche conto dell’interpretazione che era stata data alle disposizioni che regolavano i precedenti condoni – le quali non limitavano la sanatoria alle nuove costruzioni residenziali e, quanto alla cubatura, non prevedevano limiti (il condono del 1985), ovvero consideravano esclusivamente il limite di 750 mc. per singola richiesta indipendentemente dalla complessiva volumetria del manufatto abusivo (il condono del 1994) – deve ritenersi che per le nuove costruzioni il d.l. 269/2003 abbia inteso circoscrivere l’area di applicabilità della sanatoria straordinaria ai soli piccoli abusi finalizzati a soddisfare le esigenze abitative sempre che, nel caso di plurimi soggetti legittimati ad ottenere la sanatoria, ciascuno titolato a sanare una unità residenziale, l’edificio complessivamente realizzato non sia di cubatura esorbitante (vale a dire non ecceda comunque i tremila metri cubi complessivi). La conclusione sopra delineata s’impone tenendo appunto conto di qual è stata la pacifica interpretazione data dal diritto vivente – tanto in sede amministrativa, quanto in sede penale – alla previsione, contenuta nell’art. 39, comma 1, I. 724/1994, che aveva consentito la sanatoria delle «nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria». In particolare, in sede penale si è ripetutamente affermata l’illegittimità della artificiosa parcellizzazione del manufatto in plurime istanze di sanatoria, ciascuna non superiore a 750 metri cubi, al fine di sanare edifici di volumetria maggiore, riconducibili allo stesso soggetto. Dal sistema si ricava che, in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994, n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell’intero complesso (Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005). Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016). È proprio in relazione a tale ultima ipotesi che si spiega la diversa formulazione contenuta nell’art. 32, comma 25, d.l. 269/2003: mentre in precedenza la legittima pluralità di istanze di sanatoria presentate da soggetti legittimati, ciascuna avente ad oggetto singole unità non superiori a 750 metri cubi, non prevedeva alcun tetto massimo di volumetria, il legislatore del terzo condono edilizio ha ritenuto di fissarlo nella misura di 3.000 metri cubi. Va invece respinta la tesi interpretativa del ricorrente, secondo cui la richiamata disposizione andrebbe in sostanza interpretata come legittimante la descritta “parcellizzazione” dell’unico manufatto abusivo, riconducibile al medesimo centro di interessi, in unità ciascuna non superiore a 750 metri cubi purché l’edificio non sia nel complesso superiore a tremila metri cubi. Questa lettura si pone infatti in insanabile contrasto con la chiara ratio che ha sempre connotato le previsioni limitative in discorso e con l’interpretazione che di esse è sempre stata data (v., più di recente, anche per riferimenti al terzo condono edilizio ed alla conforme giurisprudenza amministrativa, Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019).

Si deve anche segnalare una pronuncia innovativa e di senso contrario da parte della C.G.A.R.S. con sentenza n. 634 del 2 luglio 2019, che non aderisce a quanto dettato dalla Corte Costituzionale n. 302/1996, e di ritenere corretto applicare i due presupposti volumetrici di ampliamento alternativi tra loro. Se da l’interpretazione costituzionalmente orientata intende evitare il paradosso di ammettere ampliamenti inferiori al 30% ma superiori ai 750 mc, il C.G.A.R.S. per gli stessi principi di uguaglianza ritiene altrettanto irragionevole escludere gli ampliamenti superiori al 30% ma inferiori ai 750 mc.

Personalmente, è da ritenere più congruente con le logiche del sistema l’orientamento restrittivo con doppia verifica congiunta dei parametri volumetrici (ovvero max 30% et max 750mc).

Opere non suscettibili di Condono edilizio

Oltre a tutte le condizioni di ammissibilità previste finora, si devono escludere quelle casistiche per cui si verificano una serie di condizioni e requisiti, come previsti dal comma 27 art. 32 DL 269/2003. Con esso sono individuate sette ipotesi di tipologie di abusi edilizi che non sono comunque suscettibili di sanatoria straordinaria. Tale ipotesi sono da considerare disgiuntamente, pertanto è sufficiente che si avveri soltanto una di esse per l’esclusione dalle ipotesi di condonabilità:

27. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:

a) siano state eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti di cui agli artt. 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale o da terzi per suo conto;

b) non sia possibile effettuare interventi per l’adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste per i comuni secondo quanto indicato dalla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell’8 maggio 2003;

c) non sia data la disponibilità di concessione onerosa dell’area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed al presente decreto;

d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;

e) siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490;

f) fermo restando quanto previsto della legge 21 novembre 2000, n. 353, e indipendentemente dall’approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell’articolo 3 della citata legge n. 353 del 2000, il comune subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria alla verifica che le opere non insistano su aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco. Agli effetti dell’esclusione dalla sanatoria è sufficiente l’acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del Ministero dell’interno, che le aree interessate dall’abuso edilizio siano state, nell’ultimo decennio, percorse da uno o più incendi boschivi;

g) siano state realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché nei terreni gravati da diritti di uso civico”.

Condono edilizio per abusi in aree sottoposte a vincolo

Per prima cosa occorre premettere che l’articolo 32, comma 43, del D.L. 269/03 ha provveduto a sostituire l’intero articolo 32 L. 47/85, confermando il rilascio della concessione in sanatoria subordinato al parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso, e ripristinando il regime generale di silenzio rifiuto alla richiesta di tale parere. Tuttavia ciò non significa che nel terzo condono sia sufficiente ottenere il parere favorevole per condonare abuso su immobili vincolati: si è trattato di una modifica con effetto retroattivo verso le istanze già presentate coi primi due condoni, mentre il terzo condono è trattato da apposita disciplina restrittiva sugli immobili vincolati. Sul punto si trova conferma in Consiglio di Stato n. 324/2025:

La sanatoria non è conseguibile in applicazione del meccanismo di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985 che preclude la sanatoria di opere realizzate su aree sottoposte vincoli di carattere paesaggistico solo in caso di parere negativo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso. La legge n. 326/2003, infatti, pur collocandosi sull’impianto generale della legge n. 47, norma (col cennato art. 27) in maniera più restrittiva le fattispecie di cui si tratta, poiché con riguardo ai vincoli ivi indicati (tra cui quelli a protezione dei beni paesistici) preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell’autorità ad esso preposta, con ciò collocando l’abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria (ex art. 33 l. n. 47/85).

Tra le sette tipologie di opere non suscettibili di (terzo) condono, vi è una casistica che merita una importante riflessione perchè controversa, indicata alla lettera d, comma 27, dell’articolo 32 D.L. 269/03, incentrata anche sulla presenza di vincoli:

d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;

Facendo una lettura combinata dei tre passaggi precedenti, cioè sovrapponendo condizioni di ammissibilità e di esclusione, è possibile definire le tipologie di opere e interventi ammissibili al Terzo Condono edilizio qualora realizzate in aree sottoposte ai suddetti specifici vincoli, richiamati dalla lettera d) comma 27 art. 32 DL 269/2003.

Precisazione importante: quanto segue riguarda sia le aree che gli immobili sottoposti a vincolo, non esistendo una distinzione in questo senso (Cass. Pen. n. 26524/2020).

Esiste una costante giurisprudenza ed univoca del Consiglio di Stato (es. sentenza n. 2671/2025, n. 9627/2024, n. 6182/2019 e n. 2518/2015) affermante testualmente che «ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d.l. n. 269/2003, convertito dalla L. 326/2003 (c.d. terzo condono), le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo;
b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, le opere siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
c) si tratti di opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);
d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo».

Di conseguenza, il mancato rispetto anche di una sola condizione è sufficiente per escludere la possibilità di ottenere il terzo condono edilizio. Contro la sanabilità delle opere si registrano inoltre i seguenti orientamenti giurisprudenziali:

– “l’art. 32, comma 27, lett. D) del D.L. 269/2003 (convertito in L. 326/2003), il quale, comunque, esclude dalla sanatoria le opere realizzate su immobili soggetti a vincoli istituiti anche prima dell’esecuzione delle opere ma che non siano conformi alle norme urbanistiche ed alle disposizioni prescritte dagli strumenti urbanistici” (Cons. di Stato n. 5701/2013, n. 4396/2007);

– “l’art. 32 L. n. 47/1985, quale risulta dalle modificazioni contenute nell’art. 32 comma 43 D.L. n. 269/2003, per le opere costruite su aree sottoposte a vincolo, al comma 3 prevede che, ove non si verifichino le condizioni di cui al comma 2 si applicano le disposizioni di cui all’art. 33 della stessa legge, prevedendo, tale ultima disposizione, fra le opere non suscettibili di sanatoria, quelle in contrasto con i vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse” (Cons. di Stato, sent. n. 4020/2009).

In definitiva, gli illeciti “primari” compiuti su immobili o aree già sottoposte ai relativi vincoli, sono automaticamente esclusi.

Ad esempio un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta (inedificabile o meno), non può essere condonato in quanto non rientrante nella fattispecie di abusi “minori” individuati nelle tipologie 4, 5, 6 della predetta Tabella A (Cons. di Stato n. 6182/2019). Di converso il terzo condono edilizio, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, si potrebbe applicare su immobili già esistenti alle sole opere di restauro o risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, a condizione che siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cons. di Stato n. 6182/2019, Cass. pen. 29 aprile 2011 n. 16707).

Opere sanabili in aree sottoposte a specifici vincoli col terzo condono

Volendo fornire una chiave di lettura positiva sulle cause ostative al condono previsto dall’art. 32, comma 27, lett. d), della L. 326/2003, si può affermare di converso che sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli (tra cui quello idrogeologico, ambientale e paesistico), purché ricorrano congiuntamente determinate condizioni (Cons. di Stato n. 9504/2022:

a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo, a prescindere che comportino inedificabilità assoluta o relativa (e non necessariamente che comporti l’inedificabilità assoluta);

b) che pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche (sul punto ci sarebbe da chiarire se la conformità debba sussistere al momento dell’ultimazione lavori, dell’istanza o all’istruttoria per rilascio).

c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illeciti di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al D. L. 269/2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) senza quindi aumento di superficie;

d) che vi sia il parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo.

Da quanto sopra emerge che nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, risulta consentita la sanatoria dei soli “abusi formali” (Consiglio di Stato n. 1270/2025, n. 7590/2023).

Silenzio assenso con D.L. 269/03

La formazione del silenzio assenso nel condono edilizio non è stata istituita con D.L. 269/2003, in quanto fu prevista fin dal primo condono edilizio, con l’art. 35 L. 47/85.

Per quanto attiene invece il Terzo condono DL 269/2003 facciamo rifermento all’art. 32 comma 37, il quale contiene le condizioni essenziali affinché si possa considerare la domanda di condono come equivalente a titolo abilitativo edilizio ottenuto in sanatoria:

  • presentazione istanza nei termini di scadenza su modello allegato di legge;
  • attestazione di pagamento oblazione;
  • attestazione di avvenuto pagamento degli oneri di concessione (cioè oneri urbanizzazione e costo di costruzione), ove previsti;
  • presentazione documenti di cui al comma 35 entro la data del 31 ottobre 2005:
    a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
    b) qualora l’opera abusiva supera i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneita’ statica delle opere eseguite;
    c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale.
  • denuncia in catasto (accampionamento o variazione);
  • denuncia ai fini ICI (oggi IMU);
  • denuncia tassa smaltimenti rifiuti soli urbani e occupazione suolo pubblico;
  • decorrenza termine di ventiquattro mesi dalla data del 31 ottobre 2005 (espressamente così).

Senza entrare troppo nel merito di molti dettagli relativi a ciascun punto, si passi ad osservare alcuni aspetti relativi e limitanti la formazione del “silenzio assenso” nel terzo condono edilizio.

Condizioni e requisiti del Silenzio assenso previsti per DL 269/2003

In materia generale di edilizia la formazione del silenzio assenso può avvenire sulla base di severe condizioni e presupposti, in quanto costituisce strumento di semplificazione procedimentale, a tutela del cittadino, titolare di un interesse legittimo pretensivo.

In materia di condono edilizio, la formazione del silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi, postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità.
Non può determinarsi per legge la regolarizzazione dell’abuso (in applicazione dell’istituto del silenzio assenso) ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, quando la documentazione allegata all’istanza non risulti completa ovvero quando la domanda si presenti dolosamente infedele (Cons. di Stato n. 7543/2003, n. 209/2021).

Sul punto esiste un pacifico orientamento (Consiglio di Stato n. 181/2022), che precisa:

  • affinché possa formarsi il silenzio assenso sulle istanze di condono edilizio, il termine di 24 mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, purché risulti completa in ogni sua parte, non essendo peraltro l’amministrazione tenuta a chiedere l’integrazione della documentazione incompleta nel predetto termine biennale (Cons. di Stato n. 1474/2021);
  • in materia di condono edilizio, quindi, il termine legale per la formazione del silenzio-assenso presuppone che la relativa istanza sia stata corredata dalla prescritta documentazione, non sia infedele, sia stata interamente pagata l’oblazione e, inoltre, che l’opera non sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità (Cons. di Stato n. 7382/2020).

In altre parole, affinchè possa formarsi il silenzio-assenso sulla domanda di condono edilizio (criterio valido trasversalmente per tutti e tre le norma di Condono), il termine biennale non decorre nel caso in cui la domanda sia carente dei documenti necessari ad identificare compiutamente le opere oggetto della richiesta sanatoria.

Di conseguenza quando manca la prova della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, il termine di ventiquattro mesi decorre, in caso di incompletezza della domanda o della documentazione inoltrata a suo corredo, dal momento in cui tali carenze siano state eliminate ad opera della parte interessata.

Tra l’altro si ritengono validi e tempestivi i provvedimenti di diniego adottati dal Comune entro il termine di mesi ventiquattro decorrenti dal 31 ottobre 2005, in quanto espressamente previsto dal comma 37 art. 32 DL 269/2003 (Cons. di Stato n. 883/2022). Quindi la formazione “teorica” del silenzio assenso nel Terzo Condono si potrebbe conclamare dopo la data del 31 ottobre 2007.

Il termine biennale pertanto può assumere decorrenza dalla data del 31 ottobre 2005, e non dalla data di presentazione dell’istanza di condono, o da eventuali integrazioni presentate prima di tale data.

A tutto questo però potrebbe sovrapporsi quanto eventualmente previsto dalle norme regionali; insomma, il puzzle è destinato a complicarsi ancora.

Conclusioni sul terzo condono

Per verificare la sanabilità di un opera all’interno del terzo condono edilizio (D.L. 269/03), occorre superare una complessa serie di setacci e vagli normativi; il legislatore aveva a cuore la tutela prioritaria dei beni vincolati, e di evitare ancora un condono tombale, nell’ottica demarcare bene una linea di legalità per futura deterrenza. Nel fare ciò, ha comunque creato un condono edilizio con un impianto molto restrittivo, che richiede verifiche sequenziali a step dei vari presupposti.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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