Illeciti edilizi possono ridurre i requisiti di Agibilità e Abitabilità, giustificando lo sgombero con ordinanza demolitoria
La tolleranza per l’altezza minima abitabile non è stata definita, in soccorso arriva un TAR
Un caso ricorrente riguarda la possibile contestazione mossa verso le altezze interne dei vani abitabili di un appartamento ove è generalmente prevista permanenza umana
Tipicamente è noto anche ai non addetti ai lavori che i vani principali come camere, cucina, soggiorno, ecc devono avere un altezza minima regolamentare di mt. 2,70, prescritta per questi locali abitabili dal D.M. 5 luglio 1975 e in genere riportati anche nelle Norme Tecniche di Attuazione (n.t.a.) di un Piano Regolatore comunale e/o nei regolamenti edilizi comunali.
Ciò vale sia per le nuove costruzioni posteriori all’entrata in vigore sia per gli interventi cosiddetti “sostanziali” o rilevanti, come ristrutturazioni edilizie con opere interessanti l’interpiano dei solai e le quote dei pavimenti. Per quanto riguarda invece interventi relativi al patrimonio edilizio esistente e al suo recupero il discorso è un pò diverso.
Spesso (purtroppo) i regolamenti edilizi non prevedono alcun tipo di tolleranza esecutiva o di cantiere rispetto alle misure indicate sul progetto approvato, con conseguente violazione delle altezze minime nel caso in cui vi manchino pochissimi centimetri per rispettare il minimo famigerato di 2,70 metri lineari.
Dal 2011 il nostro ordinamento normativo ha visto l’introduzione delle tolleranze sulle misure progettuali relativamente all’aspetto urbanistico, cioè quelle sulle quali scatta o meno il reato edilizio di parziali difformità, ex art. 34 comma 2-ter del DPR 380/01.
La normativa sottace invece sulle tolleranze relative agli aspetti igienico sanitari, soprattutto per l’agibilità/abitabilità degli immobili, come ad esempio l’altezza minima abitabile di 2,70 ml.
Il suddetto articolo interviene su quattro parametri o definizioni di tipo urbanistico, la cui tipologia sembrerebbe rientrare più nell’ambito urbanistico piuttosto di quello meramente edilizio (APPROFONDIMENTO).
I parametri indicati nella norma sono quattro, e sono riferiti alle misure progettuali:
- distacchi: distanza tra due edifici fronteggianti, ed è espressamente distinta nelle norme delle distanze legali;
- cubatura: termine desueto, significa la volumetria espressa in mc
- superficie coperta: proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto
- altezza: riferita all’unità o esterna all’edificio?
Soprattutto quest’ultima è oggetto di ambiguità, non essendo chiaro se riguardi l’altezza all’interno degli alloggi, in particolare i famigerati 2,70 ml tra pavimento e soffitto necessari come altezza minima abitabile.
Già in precedenza si è scritto in un precedente articolo sulle fattispecie in cui vengono a mancare pochissimi centimetri dai 2,70 ml.
Oggi si ritiene integrare l’argomento con una nuova sentenza del TAR del Piemonte sez. II n. 1061/2015, che si basa sulla questione delle tolleranze già affrontato dal Cons. Stato, sez. IV n. 2253 del 2007.
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Questo pronunciamento del TAR è incentrato sul principio della c.d. tollerabilità di cantiere.
Esso sostiene che anche prima dell’introduzione del nuovo comma 2-ter dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 (avvenuta con il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011), la giurisprudenza amministrativa aveva già ritenuto che lievi scostamenti rispetto alle misurazioni previste in progetto, i quali si presentino plausibili nell’ambito della tecnica costruttiva utilizzata, non possono considerarsi come difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato (Cons. Stato, sez. IV, dec. n. 2253 del 2007).
La sentenza del TAR piemontese prosegue l’argomentazione e considera la mancanza «di alcuni centimetri» nell’altezza interna come un margine di tollerabilità consueto, legato sia alla difficoltà di perfetta realizzazione delle previsioni di progetto sia ai limiti degli strumenti di misurazione (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. n. 4469 del 2009).
Nel caso di specie, peraltro, è risultato pacifico che il contestato abbassamento delle altezze dei locali interni sia dipeso dalla realizzazione degli impianti di riscaldamento e quindi – anche a prescindere dalla normativa sul risparmio energetico – il TAR piemontese ha ritenuto che il lieve scostamento contestato fosse ampiamente giustificato nell’ambito della funzionalità della complessiva opera realizzata, comparando le sue caratteristiche e finalità dell’opera nel suo insieme.
Il TAR preferisce adottare una linea di buon senso generale rispetto alla perentorietà
Del resto, anche nell’ipotesi in cui le Norme Tecniche attuattive del PRG non prevedono espressamente alcuna tolleranza in materia di altezze dei vani interni, secondo il TAR ciò non costituisce un valido argomento del Comune, in quanto il silenzio della norma urbanistica non può che essere interpretato in conformità all’orientamento giurisprudenziale, di assoluto buon senso, appena richiamato.
Il citato orientamento giurisprudenziale è stato di fatto assorbito dalla legge per effetto del richiamato art. 34, comma 2-ter, del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma del quale “non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”: misura che, nel caso di specie, è stata pacificamente rispettata. Cosi si è espresso il TAR piemontese.
In materia di tolleranza edilizie suggerisco questo video clip sul mio canale:
La mia opinione condivide pienamente questa linea di semplice buon senso a favore del cittadino ed eccessivamente pedissequa dal lato amministrativo, anche per ridurre il carico di contenzioso nei tribunali amministrativi e civili.
Occorrerebbe semplicemente integrare o specificare meglio la questione con una semplice aggiunta all’interno dello stesso articolo 34 del TUE.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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