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L’attuale normativa non prevede alcun obbligo per la PA di effettuare verifiche e attestare la conformità, bensì di sanzionare irregolarità edilizie

Se stai pensando di commissionare all’Ufficio Tecnico comunale una verifica dello Stato Legittimo dell’immobile, delle tolleranze edilizie e di ogni altro aspetto normalmente a carico del proprietario, ho una brutta notizia: il Comune non è tenuto minimamente a farlo.

In altre parole, se hai intenzione di vendere o comprare casa, o semplicemente vuoi ottenere un certificato di piena regolarità e rispondenza del tuo immobile da parte del Comune, il nostro ordinamento normativo non lo prevede. E ciò neanche pagando ipotetici diritti e oneri: semplicemente è una attività istruttoria non prevista e tanto meno ammessa dalla normativa.

Inoltre, se posso aggiungere, dubito fortemente che un Tecnico dipendente pubblico possa avere intenzione a fare le verifiche complesse, costose e cariche di responsabilità normalmente poste a carico dei Tecnici abilitati alla libera professione.

Se non conosci la definizione e aspetti relativi allo Stato Legittimo degli immobili, qui troverai moltissimi approfondimenti, e anche diversi video.

Se da una parte la normativa non lo prevede, neanche la (poca) giurisprudenza ammette nessuna ipotesi.

Comune, esonerato dall’obbligo di attestare lo Stato Legittimo

Vediamo ad esempio la sentenza del TAR Lombardia n. 2470/2021, di cui riporto un passaggio. Da esso emerge chiaramente che non esiste un obbligo di procedimento per attestare lo Stato Legittimo dell’edificio o dell’immobile da parte della PA, su istanza del cittadino.

In tal senso non aiuta neppure il recente inserimento della definizione di Stato Legittimo nell’art. 9-bis comma 1-bis del DPR 380/01 (avvenuto con L. 120/2020), in quanto trattasi di onere posto a carico di coloro che la devono attestare nelle pratiche edilizie.

Infatti l’obbligo di verificare lo Stato Legittimo da parte del cittadino privato si desume anche dall’art. 34-bis DPR 380/01 (anch’esso inserito con DL 76/2020, convertito con modifiche in L. 120/20): esso prevede l’obbligo di attestazione di rispondenza delle tolleranze edilizie da effettuarsi in via comparativa allo Stato Legittimo.

Secondo la predetta sentenza, l’ipotetico obbligo di verifica a carico del Comune non è contemplato neanche a prescindere dallo svolgimento di un’attività di verifica dell’immobile. Mi verrebbe a mente un’attività di istruttoria per un Accertamento di conformità, al fine di ottenere il rilascio di permesso di costruire in sanatoria.

Non risulterebbe ammessa neppure tale possibilità ricorrendo alla procedura prevista dall’art. 11 L. 241/90, che permette in certi casi e adeguatamente motivati, la possibilità di concorda accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo (e qui si aprirebbe un altro ambito da approfondire).

Conclusioni e consigli

In definitiva, non spetta al comune effettuare la verifica di Stato Legittimo dell’immobile; piuttosto è il cittadino che deve farsi assistere dal proprio Tecnico abilitato per ricostruire la storia della legittimità urbanistica dell’immobile, sia finalizzata alla compravendita che preordinata alla presentazione di varie pratiche edilizie (CILA, SCIA o Permesso di Costruire).

Ritengo che si applichi in analogia lo stesso criterio di “responsabilizzazione” del cittadino circa l’onere di prova per abusi e illeciti edilizi, lasciando alla PA la valutazione delle risultanze proposte dal cittadino.

Immagino che qualcuno abbia critiche da fare su tale impostazione, e mi aspetto pure che la possa assimilare ad una posizione inerte o passiva della PA: diciamo che la scarsa digitalizzazione del patrimonio edilizio esistente non è di aiuto, forse coi futuri fascicoli di fabbricato potremo pensare di avvicinarci all’idea che sia l’ente pubblico a certificare la conformità urbanistica dell’immobile.

Posso soltanto consigliare di affidarsi da subito a un Tecnico abilitato e ben preparato sulla materia. Di seguito troverai il passaggio estratto dalla sentenza menzionata.

Estratto dalla sentenza TAR Lombardia n. 2470/2021

A quanto evidenziato si può aggiungere, tra l’altro, che l’ordinamento non prevede un procedimento che imponga al Comune di attestare la regolarità edilizia di un bene, visto che la stessa si deve ricavare dai titoli abilitativi che ne hanno consentito la realizzazione (soltanto per i terreni si può ottenere una certificazione di destinazione urbanistica, con valore eminentemente dichiarativo: cfr. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001; T.A.R. Campania, Napoli, II, 29 dicembre 2020, n. 6451; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 21 luglio 2017, n. 434). In presenza di un abuso edilizio si può ricorrere al già richiamato procedimento di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 (accertamento di conformità), al fine di ottenere la regolarizzazione dell’opera realizzata, in presenza del requisito della doppia conformità, ossia del simultaneo rispetto sia della disciplina urbanistica in vigore all’atto della richiesta di sanatoria che di quella in vigore al momento della realizzazione dell’intervento.

Nemmeno sembra imporre degli adempimenti all’Amministrazione comunale l’art. 9-bis, comma 1-bis, del D.P.R. n. 380 del 2001, introdotto dal decreto legge n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020, che individua i presupposti per la verifica dello stato legittimo di un immobile, visto che il successivo art. 34-bis, comma 3, stabilisce che “le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali”. Da ciò si evince che è onere della parte privata che si rivolge all’Amministrazione produrre un’attestazione redatta da un tecnico abilitato comprovante lo stato legittimo dell’immobile, il quale deve essere desunto “dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali” (art. 9-bis, comma 1-bis: cfr. T.A.R. Campania, Salerno, II, 31 maggio 2021, n. 1358).

Da quanto evidenziato non emerge alcun obbligo in capo al Comune di Monza né di concludere con le ricorrenti un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, né di dover “certificare” la regolarità edilizia dell’immobile di proprietà delle predette, addirittura a prescindere dallo svolgimento di un’attività di verifica che, allo stato, non è stata completata.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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