Natura giuridica SCIA non prevede l'avvio del procedimento o preavviso di rigetto art. 10-bis
Il Comune può esercitare poteri inibitori e/o di autotutela anche dopo diciotto mesi dal deposito a certe condizioni
Una segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A) deve contenere una rappresentazione grafica di partenza o stato ante opera; con l’entrata in vigore del D.L. 76/2020 è stato inserito nell’articolo 34-bis DPR 380/01 l’obbligo di attestare il rispetto delle tolleranze edilizie rispetto allo Stato legittimo dell’immobile e soprattutto all’unità immobiliare, nelle compravendite e nelle pratiche edilizie.
Infatti il comma 3 dell’articolo 34-bis TUE dispone espressamente tale obbligo per le segnalazioni edilizie, inutile dire che vi rientra la più nota: la SCIA. Ma la necessità (e direi anche l’obbligo) di effettuare una pratica edilizia partendo da una situazione di piena legittimità era previgente anche al D.L. 76/2020, lo ha confermato proprio di recente il Consiglio di Stato.
Quindi, ante e post D.L. 76/2020 la SCIA deve partire da una situazione di conformità con lo Stato Legittimo dell’immobile, come meglio rappresentata all’interno della stessa pratica. Significa che una SCIA dovrà contenere idonei contenuti, elaborati e relazioni descrittive per rappresentare generalmente:
- la situazione ante opera, comprovante anche lo Stato Legittimo e rispetto delle tolleranze edilizie;
- la situazione post opera, illustrante lo stato finale dell’immobile successivo all’intervento;
- lo stato sovrapposto, in cui viene evidenziata la rappresentazione dei cambiamenti e delle trasformazioni;
Si capisce bene come una rappresentazione (grafica e/o descrittiva) errata o non veritiera possa provocare conseguenze sull’efficacia della stessa SCIA.
Vediamo cosa dice la giurisprudenza al riguardo. Lo stesso ragionamento vale anche per le vecchie pratiche di Denuncia Inizio Attività (DIA), già affrontato in apposito approfondimento.
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Il termine di inefficacia o autotutela di 18 mesi (ridotto a 12) verso le SCIA
Anche per la SCIA vale il termine ragionevole di diciotto mesi per esercitare i poteri inibitori e di autotutela previsti dall’articolo 21-nonies L. 241/90, termine ridotto a dodici mesi con D.L. 76/2020.
Quello che invece non è cambiato è il meccanismo che comporta l’inefficacia/annullamento degli effetti della SCIA, anche a mesi o anni di distanza dal deposito e ultimazione opere. Per questo, anche la presentazione di una SCIA fondata su una rappresentazione difforme dello Stato Legittimo espone la stessa pratica a futuro invalidamento.
Anche le richieste di integrazioni potrebbero inaspettatamente avvenire anche a mesi di distanza dal deposito, per i medesimi motivi: l’incompletezza documentale può rafforzare anche una rappresentazione non veritiera.
In nessuna ipotesi è possibile riconoscere al soggetto privato il mantenimento dei vantaggi e legittimità delle opere compiute sulla base di una “SCIA infedele”, ma vediamo meglio i passaggi essenziali della consolidata giurisprudenza.
E’ pacifico che il superamento del termine per l’esercizio dell’autotutela/poteri inibitori possa avvenire nei casi:
- di falsità penalmente rilevante delle dichiarazioni rese dalla parte privata;
- in cui la parte privata per dolo o colpa grave abbia indotto in errore l’amministrazione (Cons. di Stato n. 3422/2020).
Più dettagliatamente, il Consiglio di Stato – principiando dalla ratio sottesa alla riforma introdotta dalla legge n. 124/2015 che è quella di assicurare una astratta e generale prevalutazione ex lege degli interessi in conflitto – ha chiarito che il superamento del rigido termine di 18 mesi è consentito:
a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale;
b) nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione ma esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.
In entrambe le ipotesi, il potere inibitorio o di autotutela del Comune non può essere paralizzato dalla mancanza di un giudicato penale, rilevante per il solo caso di dichiarazioni sostitutive o atti di notorietà mendaci o falsi (ex art. 21 nonies, comma 2 bis, l.n. 241/1990), come ha ribadito la sentenza di Consiglio di Stato n. 6387/2023.
Tra l’altro, la sentenza del 17 ottobre 2017 n. 8 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ribadito tra i vari principi che:
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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