La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Edifici in pessime condizioni richiedono un particolare approccio per ripristinare lo stato anteriore.
Se ci pensiamo bene, la struttura dell’edificio è la componente principale che fornisce una particolare connotazione. E ovviamente, garantisce l’utilizzo nel rispetto della sicurezza e incolumità degli abitanti.
Sul versante urbanistico edilizio invece consiste in una categoria di intervento ad ampio spettro: essa può spaziare dalle modifiche interne strutturalmente rilevanti fino a prevedere demolizione e ricostruzione totale, a certe condizioni.
Più precisamente si deve ricordare che esistono due versioni di ristrutturazione edilizia: “leggera” e “pesante”, come distinti dal D.Lgs. 222/2016.
Rimanendo in ambito puramente amministrativo, il Testo Unico per l’edilizia D.P.R. 380/01 all’art. 3 comma 1 lettera D inizia così definizione di principio di ristrutturazione edilizia:
d) “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza (omissis).
Le ultime modifiche normative a questa definizione hanno cercato di agevolare la ristrutturazione o ricostruzione dei manufatti ridotti in rovina.
Certamente, il legislatore ha comunque posto un freno alle possibile ricostruzioni “falsate” di certi edifici rovinati: infatti negli interventi di ripristino e ricostruzioni dei manufatti crollati o distrutti è necessario provare la precedente configurazione dell’immobile, e il suo stato legittimo.
Con ruderi e unità collabenti è necessario fare attente indagini ricognitive
Le campagne agricole e montane possono presentare edifici in pessimo stato conservativo, in cui a volte è davvero difficile riconoscere o rappresentare lo stato originario.
Intendo lo stato legittimo, quello cioè che autorizzato in passato da chissà quali licenze edilizie o edificato in epoca e zone quando ancora non vi era alcun obbligo di licenza.
E si tratta dei casi in cui stabilire l’esatta volumetria originaria, la sagoma e tutte le restanti caratteristiche strutturali e materiche può diventare un rebus: a volte le fonti documentali e cartografiche possono essere mute e insufficienti.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, la ristrutturazione edilizia presuppone come elemento indispensabile, la preesistenza di un fabbricato ben identificabile nella sua consistenza e nelle sue caratteristiche planivolumetriche e architettoniche (Cons. di Stato n. 7046/2019).
E proprio perché l’intervento possa essere qualificato di ristrutturazione edilizia, occorre verificare con un sufficiente grado di certezza, la sussistenza degli elementi strutturali dell’edificio; in tal modo, anche se diruto o inagibile, con essi è possibile comunque individuare i connotati essenziali, come identità strutturale in relazione anche alla sua destinazione (Cons. di Stato n. 1725/2018, n. 5106/2016; n. 1995/2013).
Nel momento in cui non vi siano sufficienti elementi a testimoniare dimensioni e caratteristiche dell’edificio da recuperare, e quindi se non risulta possibile accertare la preesiste consistenza, l’intervento non può rientrare nella ristrutturazione edilizia. Un caso particolarmente diffuso è il manufatto costituito da alcune rimanenze di muri perimetrali, privo di copertura e strutture orizzontali: in tal modo non si riesce a riconoscere l’edificio preesistente (Cons. di Stato n. 1725/2018, n. 5174/2014).
E in mancanza di elementi strutturali, non è infatti possibile valutare esistente e consistenza dell’edificio da consolidare, ed i ruderi vanno considerati al pari di un’area non edificata (Cons. di Stato n. 1025/2016).
E per questi motivi, in caso di mancato o insufficiente accertamento della precedente consistenza, si rientra in pieno regime di nuova costruzione.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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