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Il Regolamento edilizio del 1934 pose l’obbligo nelle parte centrale e periferica della città.

PRG di Roma 1873 – WikiCommons – Pubblico dominio


Il Consiglio di Stato avvalora la tesi di retrodatazione dell’obbligo di licenza edilizia in base alle zone territoriali.

Quanto segue è assai rilevante sopratutto quando si deve procedere alla compravendita di immobili situati nel territorio comunale di Roma o alla loro trasformazione con ristrutturazioni e modifiche dirsi voglia.

Si parte da un punto fermo e indiscutibile: per tutti i comuni d’Italia l’obbligo di licenza edilizia fu esteso a tutto il territorio comunale con la legge “Ponte” n. 765/1967 promulgata il 6 agosto 1967 ed entrata in vigore il 31 agosto 1967.

Ergo, dal 1° settembre 1967 in ogni territorio comunale era necessario dotarsi della prescritta licenza edilizia per nuove costruzioni, ampliamenti, sopraelevazioni e modifiche delle strutture, secondo quanto disposto da quella versione dell’articolo 31 della L. 1150/42, appunto modificato dalla Legge Ponte.

Dei limiti e delle condizioni applicativi della Licenza edilizia ne ho già parlato in questo articolo.

La legge “Fondamentale” n. 1150/42 (entrata in vigore il 31 ottobre 1942) è stata quella che per prima ha stabilito l’obbligo di licenza edilizia obbligatorio, circoscrivendolo nei soli centri abitati e nelle zone espansione dei PRG ove previste.

Tanto per cambiare, si torna a rimarcare la questio amletica dell’Ante ’67 nei contratti notarili di compravendita.

I Regolamenti locali potevano estendere tale obbligo anche Ante ’67 ?

Per tutto il restante territorio, dal 31 ottobre 1942 fino al 31 agosto 1967, a meno di diversa disposizione regolamentare locale (Regolamenti Edilizi) non risultava obbligatorio chiedere la licenza edilizia per edificare, salvo alcune eccezioni derivanti da norme e discipline settoriali:

  • antisismiche: obbligo di autorizzazione con deposito strutturale in certi comuni classificato ad alto rischio sismico da precedenti norme;
  • vincoli paesaggistici: obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione, pareri o nulla osta comunque denominati ex L. 1497/39;
  • vincoli “Belle Arti” e storico, artistico, architettonico, ecc: obbligo di dotarsi della preventiva autorizzazione, parere o nulla osta comunque denominati ex L. 1089/39;
  • vincolo idrogeologico: obbligatoria autorizzazione in certe aree classificate tali;
  • ecc;

Molte grandi città d’Italia, già prima della Seconda Guerra Mondiale e quindi prima della L. 1150/42 si erano già dotate di strumenti urbanistici e regolamenti edilizi, proprio per iniziare a governare i fenomeni di crescita urbana e di sviluppo industriale che si era avviato attorno ad esse.

Grandi città come Roma, Napoli, Firenze, Genova, Milano, Torino e tante altre, iniziano a dotarsi di Piani Regolatori a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Molto spesso trattavasi di piani regolatori che indirizzano forme e direzioni di crescita, spesso aventi una natura programmatica e in rari casi aventi perfino lineamenti attuativi.

Il piano regolatore da solo non è uno strumento completo, ecco che quindi cooperava assieme allo strumento regolamentare dell’attività edilizia, meglio noto come Regolamento Edilizio, figlio sostitutivo dei datati regolamenti di igiene, decoro e ornato.

I Regolamenti edilizi concernevano anche gli aspetti procedurali e amministrativi per le pratiche edilizie, disponendo prescrizioni e obblighi nella richiesta di licenza edilizia.

Roma si è dotata di un particolare Regolamento Edilizio nel 1934

Il Regolamento Edilizio comunale fu approvato con delibera 18 agosto 1934 n. 5261, che ovviamente nel corso del tempo si è evoluto con una fitta serie di integrazioni e innovazioni, segnalo questa interessante sintesi pubblicata dall’Architetto Marco Campagna.

Fin dalla prima stesura il Regolamento statuiva l’obbligo di ottenere l’autorizzazione del sindaco per una vasta categoria di interventi edilizi da effettuarsi nella parte centrale e parte periferica della città.

Tale obbligo derivava infatti dall’art. 1 che disponeva tra tale obbligo per le opere (urbane) così descritte “1. costruzione, restauro, riattamento, trasformazione in genere, demolizioni anche parziali, sia interne che esterne, di edifici e di mura di cinta”.

La zonizzazione applicativa invece derivava dal successivo art. 17, che si riferisce alla zonizzazione della “parte centrale e parte periferica” della città.

Tale assunto è stato esattamente confermato e condiviso dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5264/2013, la quale per queste fattispecie ha stabilito che l’anteriorità dell’obbligo di licenza edilizia al 1° settembre 1967 in certe zone di Roma (parte centrale e periferica) poiché il Regolamento Edilizio del Comune di Roma, vigente sin dal 1934, imponeva già all’epoca il rilascio di autorizzazione sindacale per le trasformazioni su tali zone.

Sulla stessa linea, sempre su Roma, anche la sentenza di Consiglio di Stato n. 5283/2017 in regime di jus aedificandi, rimarcando la legittimità dell’obbligo di autorizzazione/licenza del Regolamento Edilizio del Comune di Roma vigente dal 1934, fattispecie nella quale emerge che la preesistenza di legittimità non è sufficiente se dimostrata al 1942, bensì ancor più risalente al 1934.

Per quanto attiene invece le aree esterne ed esentate da tale obbligo di licenza a Roma, si rinvia ad uno specifico articolo, clicca qui.

A Napoli succede qualcosa di simile, con la prevenienza al 1935, ne parlo in questo articolo.

Ritengo costruttivo e interessante la pregevole analisi suggerita dall’avvocato Andrea Di Leo, che mi segnala una tesi “opposta” formulata dal TAR Toscana, sent. n. 899/2014 (non espressamente considerata dal Consiglio di Stato nella recente decisione su Napoli), secondo il quale per il periodo “ante 1942” (entrata in vigore della legge urbanistica) , i regolamenti edilizi non potevano, in assenza di una norma di legge statale, imporre la licenza edilizia per la costruzione di fabbricati.

E, si badi, secondo questa tesi, considerato che la legge del ’42 si riferiva all’obbligo di licenza solo nei centri abitati, fino al 1967 ogni eventuale contrastante previsione non avrebbe in realtà alcuna portata («una volta sancito da parte del legislatore che l’esercizio dello jus aedificandi è subordinato al rilascio del permesso edilizio solo nell’ambito dei centri abitati non è in facoltà dei comuni estendere tale limitazioni oltre i confini sanciti dalla legge e i regolamenti che ciò prevedano devono intendersi abrogati in quanto contrastanti con la disposizione legislativa»)

Magari, aggiungo in maniera acritica, sarebbe interessante stabilire il confine di demarcazione tra queste due zone e il restante territorio, che dovrebbe scaturire possibilmente (e probabilmente) da apposita cartografia, tanto è che l‘art. 34 della L. 1150/42 pose l’obbligo di produrre un Programma di Fabbricazione nei comuni sprovvisti di PRG, obbligo molto spesso disatteso anche oltre la Legge Ponte n. 765/67.

Come è possibile individuare con certezza quali fossero le zone centrali e periferica di Roma, in assenza di cartografia?

Si dovrà procedere ad investigare incrociando aerofotogrammetrie, mappe catastali, e tutte le varianti degli strumenti urbanistici intervenute in quel periodo.

Ciò avrà inevitabili conseguenze sulla commerciabilità degli immobili, che ho accennato in questo video: scrivi un commento iscrivendoti sul canale, sarò lieto di risponderti.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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