Mancato o ritardato pagamento degli oneri concessori non impedisce il rilascio del titolo abilitativo
Interventi sul patrimonio esistente con incremento di carico urbanistico sono assoggettati a regime concessorio oneroso
Il pagamento degli oneri di urbanizzazione può diventare un costo notevole quando si fanno certi interventi sul patrimonio edilizio esistente, ed escludiamo da questo post i casi delle nuove costruzioni.
Probabilmente a qualcuno potrebbero sfuggire i principi per cui certe opere su costruzioni esistenti siano sottoposte al pagamento degli oneri concessori.
Solitamente quando si parla di oneri concessori, ci si riferisce a due distinti contributi previsti dall’articolo 16 e seguenti del D.P.R. 380/01, commisurati in base a:
- incidenza degli oneri di urbanizzazione;
- costo di costruzione;
Inutile dire che in base agli interventi e categorie di opere, si possono pagare disgiuntamente e congiuntamente.
Il primo è il contributo relativo all’urbanizzazione, i relativi oneri e la quantificazione della quota di compartecipazione segue la disciplina degli articoli 16, 17, 18, 19 del DPR 380/01, in continuità ai dettami del previgente regime della Legge “Bucalossi” n. 10/1977. Gli oneri di urbanizzazione non sono una tassa, ma un corrispettivo di compartecipazione alla trasformazione del luogo.
Il rapporto tra contributo “concessorio” è connesso all’incidenza dell’urbanizzazione in termini di principio basato su equità e proporzionalità, basandosi sul criterio di compartecipazione del soggetto interessato ai conseguenti costi e benefici dell’urbanizzazione. Ci tengo però a sottolineare che la norma non condiziona o circoscrive tale obbligo ai soli casi di aumento di carico urbanistico.
Tuttavia in seguito a tale legge, e soprattutto alla “ridefinizione mobile” del concetto di ristrutturazione edilizia post DPR 380/01, si sono raffinate anche i presupposti giustificativi dei cosiddetti oneri di urbanizzazione. Li vediamo meglio nella sezione seguente.
Il secondo è il contributo sul costo di costruzione invece consiste in un prelievo paratributario, dovuto in presenza di una “trasformazione edilizia” che indipendentemente dall’esecuzione fisica di opere , si rivela produttiva di vantaggi economici connessi all’utilizzazione (Cons Stato n. 1201/2019, n. 5539/2011, n. 2258/2006). Sì, praticamente una tassa sul conseguente “arricchimento” derivante dall’intervento stesso, come se i costi di costruzione sostenuti dal committente/costruttore non fossero già sufficientemente tassati.
Come quantificare il contributo sul costo di costruzione, è spiegato in questo precedente post.
D’ora in avanti si parlerà solo della prima parte di prelievo, cioè gli oneri di urbanizzazione.
Indice
- Interventi sul patrimonio esistente con incremento di carico urbanistico sono assoggettati a regime concessorio oneroso
- Calcolo oneri di urbanizzazione e incidenza sul carico urbanistico
- Ruoli e limiti dei Comuni nel determinare gli oneri di urbanizzazione
- Tra incidenza e aumento (differenziale) di carico urbanistico
- Conclusioni e consigli
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Calcolo oneri di urbanizzazione e incidenza sul carico urbanistico
Ovviamente dove non arriva la norma a definire i dettagli, ci arriva puntualmente la giurisprudenza, la quale ha elaborato principi relativi al calcolo del contributo concessorio di cui al comma 2 articolo 16 DPR 380/01.
I motivi per cui sono dovuti per legge gli oneri di urbanizzazione sono dettagliati in apposito articolo; in questa sede interessa vedere come la giurisprudenza ha raffinato in particolar modo i recenti criteri relativi ai casi di effettiva incidenza sul cosiddetto carico urbanistico.
Partendo dalla sentenza di Consiglio di Stato n. 148/2022, si estrapola che:
a) il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2021, n. 1586);
b) è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione di un maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta (Cons. Stato, Sez. II, 21 luglio 2021, n. 5494);
c) considerato che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità, nel caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel momento in cui l’intervento va a determinare un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV, 31 luglio 2020, n. 4877), il che può verificarsi anche nel caso in cui la ristrutturazione non interessi globalmente l’edificio, ma, a causa di lavori anche marginali, ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica (Cons. Stato Sez. IV, 31 luglio 2020, n. 4877).
Ruoli e limiti dei Comuni nel determinare gli oneri di urbanizzazione
Gli enti locali coinvolti nella definizione e quantificazione degli oneri sono le Regioni e i Comuni: le prime intervengono sia nella determinazione, ma anche nell’ambito applicativo sconfinando talune volte al di fuori delle competenze di legislazione concorrente.
La competenza comunale a determinare gli oneri di urbanizzazione deve avvenire comunque nell’ambito dei principi tracciati dal T.U.E. DPR 380/01 e dalle leggi regionali (quest’ultime necessariamente coerenti col TUE).
La Corte costituzionale, con la sentenza 10 aprile 2020, n. 64, ha affermato la natura di norma statale di principio nella materia “governo del territorio” di quella sancita dall’art. 16, comma 9, del DPR 380/01, in quanto concernente l’onerosità del titolo abilitativo; invero, tale previsione “nel fissare una cornice entro la quale le singole Regioni possono determinare il contributo per il costo di costruzione, persegue un obiettivo di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale”, in quanto “solo con la previsione di una quota minima ed inderogabile il principio di onerosità del titolo edilizio acquisisce un connotato di effettività; e ciò in quanto, ove tale previsione mancasse, il legislatore regionale sarebbe libero di prevedere interventi edilizi che non comportano alcun costo, o comportano un esborso talmente irrisorio da eludere ogni profilo di corrispettività del contributo rispetto al titolo edilizio rilasciato”.
Quindi anche la disciplina degli oneri di urbanizzazione la possiamo depennare da quegli errati margini di ampia libertà regolamentare regionale, assottigliando ancora di più quei risicati margini di legislazione concorrente regionale.
Occorre però sottolineare che l’articolo 16, comma 10 D.P.R. 380/01 consente la facoltà e non obbliga i Comuni a mitigare i costi di costruzione per le ipotesi di ristrutturazione edilizia:
“al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”
Ci tengo a sottolineare un dettagli non trascurabile: il soprastante riferimento normativo agli interventi di ristrutturazione edilizia non va inteso a qualsiasi opera su edifici esistenti, bensì alla specifica categoria di intervento di ristrutturazione edilizia. E siccome nel corso degli ultimi dieci anni questa categoria di opere si allargata molto sottraendone diverse dall’ambito delle nuove costruzioni, si capisce il crescente livello di attenzione anche sugli oneri di urbanizzazione.
Il caso limite oggetto di discussione riguarda l’assoggettamento o meno a oneri di urbanizzazione in caso di demolizione e ricostruzione “fedele” di edifici esistenti, senza neppure fare cambi di destinazione d’uso. Si parla di ristrutturazione ricostruttiva con invarianza dei carichi urbanistici.
Tra incidenza e aumento (differenziale) di carico urbanistico
Per aumento di carico urbanistico si deve intendere tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti (Cons. di Stato n. 5791/2023, n. 5297/2022, n. 7119/2019, n. 2694/2018, n. 2294/2015).
E’ banale ricordare che gli aumenti di superficie utile e/o volumetria in molti casi qualificano un incremento “fisico” del carico urbanistico.
Non è invece banale la questione relativi ai cambi d’uso urbanisticamente rilevanti, cioè quelle modifiche funzionali degli edifici che possono incidere e influenzare l’uso delle urbanizzazioni circostanti.
Per fare un esempio, non è normato a livello nazionale un criterio “differenziale” delle destinazione d’uso cioè una specie di classifica di intensità delle urbanizzazioni esistenti; è impraticabile perchè troppo legata a fattori strettamente locali in termini di costi e urbanistici.
A parte il fatto che un cambio d’uso può essere più o meno urbanisticamente rilevante in base alla zona ove avviene, e alla relativa dotazione di standard urbanistici e urbanizzazioni varie; ma è importante sottolineare che il cambio funzionale di un edificio in una data zona renda inutili certe urbanizzazioni circostanti (magari costruite anche con gli oneri di questo edificio) e richieda diverse urbanizzazioni da realizzare.
In pratica queste casistiche rendono necessario (o costringono?) un approccio più simile alla nuova costruzione che alla ristrutturazione; lo so, può apparire controintuitivo, ma è sufficiente mettersi nei panni dei Comuni che si trovano a pianificare e gestire le urbanizzazioni esistenti.
Conclusioni e consigli
Quello della determinazione degli oneri di urbanizzazione è un campo difficile da affrontare, fin dall’entrata in vigore della Legge n. 10/1977, la loro istituzione si è dimostrata controversa.
Corretta sul versante dei principi da applicare, complessa da tradurre nei casi pratici e in una situazione urbanisticamente complessa come quella italiana.
Per cui la quantificazione degli oneri di urbanizzazione richiede profonda conoscenza, da utilizzare soprattutto in certi contesti e verso quella P.A. che non applicano correttamente i principi consolidati dalla giurisprudenza.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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