La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Ripristinare un fabbricato non è un diritto perpetuo e libero come si pensa
Da alcuni anni il Testo Unico Edilizia ha ricompreso in ristrutturazione la fedele ricostruzione e ripristino degli edifici diruti.
Così facendo, tale tipologia di intervento è stata sottratta dal più severo regime di nuova costruzione. O meglio, dovremmo dire di “sostituzione edilizia”, che è parificato ed equipollente a quello della nuova costruzione.
Ho trovato interessante l’articolo pubblicato dall’Avv. Andrea Di Leo dello studio Legal-Team di Roma e che analizza una interessante fattispecie. Facciamo prima una introduzione generale, utile per comprendere meglio la fattispecie.
Esistono due principali regimi edificatori nel settore e nell’ordinamento giuridico italiano, da tenere sempre ben distinti tra loro per le relative implicazioni e applicazioni:
- nuova costruzione: oltre all’edificazione ex novo, vi rientrano tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del suolo inedificato, tra questi ad esempio vi rientra la sostituzione edilizia, la ristrutturazione “pesante” e similari;
- ristrutturazione “non pesante”: diversa da quella “pesante” e in via residuale da questa;
Lo spartiacque tra questi due regimi edificatori è stato rivisitato col Decreto “del Fare” convertito poi in L. 98/2013.
Questa norma ricomprese nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente.
Lo stesso provvedimento si preoccupò anche di ricomprendere nella definizione di ristrutturazione edilizia gli interventi di ripristino degli edifico crollati.
E qui si apre un ampio ventaglio di casistiche che possono presentarsi, tra qui la versione esaminata nell’articolo dell’Avv. Di Leo, relativo alla sentenza TAR Campania, Napoli, 7.11.2017, n. 5234
Il caso riguarda il diniego della richiesta di ricostruzione di un fabbricato gravemente lesionato dall’evento sismico 1980 e successivamente abbattuto per instabilità statica, sul quale poi è stato realizzato un parcheggio regolarmente autorizzato.
Ripristino manufatto crollato, doppio requisito di preesistenza e continuità degli elementi traccianti la consistenza legittima.
L’assenza degli elementi materiali attestanti la preesistenza del manufatto, uniti sopratutto all’effettivo cambio d’uso dell’area di sedime autorizzato, ha comportato un taglio alla continuità del regime e diritto edificatorio della stessa.
Il principio è già emerso anche con la sentenza del Consiglio di Stato V n. 5174/2014, il quale conferma come la preesistenza dell’immobile sia quanto meno riscontrabile dalle strutture essenziali, in grado cioè di conferire un grado affidabile della sua preesistente configurazione.
Al contrario, nel momento in cui risultano del tutto assenti tracce tali da poterne effettuare una ristrutturazione ricostruttiva, si pone il problema di come e quanto legittimarne il suo ripristino, sfociando quindi nel più severo regime della nuova edificazione, con problemi annessi e connessi.
Di maggior rilevanza è il fattore della continuità nel tempo della consistenza e del suo stato legittimo.
In molte regioni d’Italia ci sono edifici nel territorio aperto che sono stati abbandonati, e che nel tempo i successivi crolli hanno portato a ridurne la precedente consistenza ai minimi termini.
Non è raro imbattersi nelle campagne toscane e padane in diversi edifici ex rurali e colonici di cui ormai resta qualche “mozzicone” di parete puntellata, o peggio ancora fatti volutamente crollare per evitare eventuali imposte immobiliari, seguite dalla precisa volontà di certificare in Catasto l’evidente stato diruto.
Questo articolo vuole veicolare un importante messaggio ai proprietari di immobili ovvero che
il diritto edificatorio e alla ricostruzione del precedente manufatto non è perpetuo.
A maggior ragione, questo problema si pone in presenza di vincoli sovraordinati, sul quale ne parlo in questo approfondimento.
Al contrario, il diritto edificatorio non è un diritto assoluto, ma è relativo e condizionato al contesto cronologico.
Significa che il proprietario privato non deve pensare di disporre senza tempo del cubaggio preesistente per lui e propri aventi causa: si consiglia pertanto di mantenere per quanto più possibile in piedi le consistenze legittime.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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