La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Il ripristino di edifici crollati o demoliti presuppone diverse condizioni per qualificarsi ristrutturazione
Rimettere in sesto un edificio crollato in tutto o in parte a causa dell’abbandono nel tempo, non è proprio una cosa semplice. Se da una parte il cittadino ritiene di avere un diritto alla sua ricostruzione, dall’altra è necessario che egli dimostri le sue preesistenti caratteristiche e consistenza; in due parole, lo Stato Legittimo.
Inoltre non è semplice individuare la corretta categoria di intervento relativa alla ricostruzione di edifici ridotti in pessime condizioni, chiamati anche “collabenti” (termine valido ai fini catastali); in verità il Testo Unico Edilizia DPR 380/01 li richiama come edifici, o parti di essi, crollati o demoliti, per i quali si intende effettuarne la ricostruzione.
Possiamo quindi fare riferimento a quelle costruzioni in condizioni dirute o parzialmente crollate, spesso presenti in territorio aperto a causa del loro abbandono (ma in certi contesti si trovano anche in centri storici, purtroppo).
E ciò vale per queste due categorie di immobili degradati:
- Ruderi crollati per abbandono naturale e azione del tempo;
- Manufatti demoliti per volontà (es. ordine demolizione per pregiudizio sicurezza)
Il ripristino di un manufatto edilizio costituisce anche ripristino di un preesistente carico urbanistico sul territorio, e questa operazione in passato ha celato tanti dubbi sull’inquadramento ai fini amministrativi (pratica edilizia, oneri di urbanizzazione, ecc.).
Tale tipologia di intervento si trova menzionata nell’art. 3 comma 1 lettera d) del TUE, mentre non si trova espressamente indicata nell’art. 10 comma 1 DPR 380/01 alla lettera c), cioè la ristrutturazione edilizia “pesante”.
tratto dall’articolo 3 TUE – Definizioni degli interventi edilizi
d) “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria;
Per il ripristino di questi edifici in condizione di rudere si rendono necessari due requisiti essenziali da rispettare:
- accertamento della preesistente consistenza
- rispetto dei limiti di ricostruzione e Categorie di intervento
Quest’ultimo aspetto l’ho suddiviso in base alle tipologie di edifici crollati o demoliti:
- non sottoposti a vincoli o situati nelle zone speciali
- sottoposti ai vincoli del Codice D.Lgs. 42/2004 o situati in zone speciali
Accertamento della preesistente consistenza
La prima cosa da effettuare, è verificare in maniera precisa l’esistenza dei connotati essenziali di un edificio allo stato attuale (pareti, solai e tetto, ecc); in seguito occorre svolgere l’accertamento della preesistente consistenza dell’immobile in base a riscontri documentali, con verifica comparata alle caratteristiche dimensionali del sito e con altri elementi certi e verificabili.
E’ una fase tutt’altro che semplice da svolgere, soprattutto quando si tratta di edifici risalenti e costruiti in epoche anteriori all’obbligo di licenza e accatastamento. La prima categoria che mi viene in mente sono quelli situati in zona agricola e ultimati prima del 1 settembre 1967.
Infatti, come già scritto più volte nel blog, l’effettiva realizzazione del manufatto ante 1° settembre 1967 va dimostrata con un complesso di dati ed elementi rilevanti; si tratta di dimostrare in tutto e per tutto lo Stato Legittimo dell’immobile, mediante elementi inconfutabili e documenti con valenza probante.
Quindi il primo presupposto da soddisfare è la “ricostruzione” dello Stato legittimo dell’edificio, che potrebbe presentarsi perfino quasi totalmente abbattuto.
Rispetto dei limiti di ricostruzione e Categorie di intervento
Nell’art. 3 comma 1 lettera d) DPR 380/01 esistono due distinte previsioni riguardanti il ripristino di edifici crollati o demoliti.
La versione vigente è riferita a quella novellata dal Decreto Semplificazioni DL 76/2020, che ha innovato molto le demolizioni e ricostruzioni per edifici “liberi” da vincoli o zone speciali, e al tempo stesso aggravando per quelli invece sottoposti a vincoli e zone speciali.
Credo che il giro di vite apportato dal DL 76/2020 debba essere rivisto, quanto meno da interrogarsi se l’immobile vincolato debba essere per tale natura penalizzato, a prescindere dal suo effettivo valore o meritevole di tutela.
Penso ad esempio ad un edificio incongruo e degradato che incide negativamente sul paesaggio, e tuttavia debba essere trattato al pari di un edificio di pregio architettonico e culturale.
La prima versione riguarda gli edifici diruti non sottoposti a vincoli o situati nelle zone speciali come al punto successivo.
Faccio riferimento al passaggio dell’art. 3 c.1 lettera d) TUE che dice:
(Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza).
Se non ho interpretato male, questa modalità di intervento è similare alla demolizione e ricostruzione dello stesso tipo di edifici, rappresentando cioè un limite massimo consentito. Tale modalità di ripristino ricostruttivo non è obbligata a rispettare certi parametri, piuttosto ritengo si possa leggerla in termini paralleli.
Mi spiego meglio: credo che quel passaggio normativo sottintenda che, una volta dimostrato e accertato la sua preesistente consistenza (oggi tramite lo Stato Legittimo), si possa ricostruire l’immobile come se facessimo una demolizione e ricostruzione di edificio non soggetto a vincoli o situato in zone speciali.
Quindi per essi esisterebbe la possibilità di ricostruirli modificando sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento potrebbe anche prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.
Aggiungo con molte riserve che tale intervento, nei casi di incremento volumetrico diversi da quelli elencati prima, possa rientrare nella ristrutturazione edilizia pesante di cui all’art. 10 c.1 lettera c) DPR 380/01, perchè tale intervento non ammetterebbe la demolizione totale (vedasi Allegato A del Decreto “SCIA 2” D.Lgs. 222/2016 alla voce n. 8). Ritengo infatti che questo criterio possa applicarsi anche al ripristino ricostruttivo degli immobili diruti, sempre per il criterio di analogia tra demo-ricostruzione e ripristino di edifici già demolito o crollati. Come se fossero due versioni “gemelle” tra loro.
Inoltre bisogna tenere a mente che superando il modesto incremento volumetrico (modesto quanto? Boh), si potrebbe uscire dalla ristrutturazione e trovarsi in nuova costruzione, come più volte stabilito dalla Cassazione.
Pertanto, in tutte le restanti ipotesi, tra cui la mancata dimostrazione della preesistente consistenza, l’intervento andrà a qualificarsi come nuova costruzione e assoggettata a Permesso di Costruire.
La seconda versione riguarda immobili sottoposti ai vincoli del Codice o situati in zone speciali
Premetto che restano valide anche qui le considerazioni relative agli incrementi volumetrici precisate nel finale del precedente paragrafo.
Estratto dall’art. 3 comma 1 lettera d) DPR 380/01, periodo finale:
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria
In base ad esso prendiamo in esame altri tipi di immobili crollati o demoliti, in tutto o in parte, che siano:
- sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio D.Lgs. 42/2004;
- fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, quelli ubicati:
– nelle zone omogenee A di cui al D.M. 1444/68, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali;
– nei centri e nuclei storici consolidati;
– negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico;
A quanto si legge, risulta che l’unica ipotesi di ripristino ricostruttivo di questi edifici sottoposti a vincoli o situati in zone speciali, debba concretizzarsi in un ripristino “fedelissimo”, in quanto devono mantenere congiuntamente le preesistenti caratteristiche e consistenza accertate (Stato Legittimo):
- sagoma
- prospetti
- sedime
- caratteristiche planivolumetriche e tipologiche
- non sia previsto incremento volumetrico
Si ripete anche quanto detto al paragrafo precedente in riferimento o “sconfinamento” nella ristrutturazione edilizia pesante art. 10; infatti ritengo che per questa particolare categoria di immobili crollato o demoliti integralmente o parzialmente, il loro ripristino con caratteristiche diverse sfugga dalla ristrutturazione e finisca per configurare nuova costruzione.
Ricostruzione del rudere, una fattispecie dalla Cassazione
Riporto la massima desumibile dalla sentenza di Cassazione penale n. 3763/2022, la quale tiene conto anche della normativa novellata dal D.L. 76/2020 e statuisce che:
Integra i reati di cui agli artt. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del d.Lgs. n. 42 del 2004 la ricostruzione di un “rudere” senza il preventivo rilascio del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica, sia perché trattasi di intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione di un edificio preesistente, dovendo intendersi per quest’ultimo un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia perchè non è applicabile l’art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013), che, per assoggettare gli interventi di ripristino o di ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, al regime semplificato della S.C.I.A. richiede, nelle zone vincolate, l’esistenza dei connotati essenziali di un edificio (pareti, solai e tetto), o, in alternativa, l’accertamento della preesistente consistenza dell’immobile in base a riscontri documentali, alla verifica dimensionale del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonché, in ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente struttura.
Inutile concludere e riflettere quanto sia complesso operare in queste condizioni, in quanto il corretto inquadramento della categoria di intervento e della relativa procedura (SCIA o Permesso di Costruire) diventa un vero labirinto, e lascia spazio a pochi margini.
Anzi, non è proprio concesso sbagliare.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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