Legge di Bilancio riduce molto i bonus sulle ristrutturazioni edilizie
Alcune disposizioni per tutelare salubrità e igiene degli edifici sembrano porsi in contrasto
Le discipline urbanistiche ed edilizie sono nate principalmente per salvaguardare gli aspetti legati all’igiene e alla salubrità delle abitazioni: la progettazione ottocentesca delle città e del tessuto urbano fu stimolata dall’ingegneria sanitaria ambientale, con l’obiettivo di migliorare l’aerazione e l’illuminazione in spazi ristretti e abitazioni precarie.
Anche ai giorni nostri si è ripresentato lo stesso problema in forme diverse: l’eccessiva urbanizzazione e le speculazioni edilizie incrementano la densificazione umana negli insediamenti urbani, e il legislatore ha risposto imponendo normative restrittive per contrastare questi fenomeni.
Tra quelle più conosciute in tema di salubrità pubblica abbiamo il D.M. 1444/68 e la famosa distanza minima di dieci metri tra costruzioni; tra quelle private abbiamo il D.M. 5 luglio 1975 sui requisiti nelle abitazioni, tra cui i parametri minimi di aero-illuminazione, altezze interne e superfici delle stanze.
E arriviamo alle contraddizioni: distanze minime tra costruzioni D.M. 1444/68
Tra le normative più conosciute in tema di salute pubblica, abbiamo il D.M. 1444/68 e la famosa distanza minima di dieci metri tra costruzioni; per quanto riguarda le abitazioni private, abbiamo il D.M. del 5 luglio 1975 sui requisiti abitativi, che include i parametri minimi di aerazione e illuminazione, le altezze interne e le superfici delle stanze.
- portici/porticati
- loggie/loggiati
- tettoie adiacenti
Mi spiego meglio: se l’intercapedine areata “cielo-terra” di dieci metri è il confine del pericolo igienico, perchè a maggior ragione non lo sono i porticati e logge rientranti negli edifici? Buttandola sulla fluidodinamica e illuminotecnica, quelle logge di due metri, aperte su un solo lato e con parapetto, ricevono molta meno luce e aria, è dimostrabile con semplici calcoli parametrici. Se la distanza minima di dieci metri è ampiamente condivisibile per evitare assembramenti urbanistici tra costruzioni alte, produce discreti problemi applicativi per edifici frontistanti con altezze inferiori agli stessi dieci metri. Butto una proposta costruttiva: non sarebbe giunta l’ora di rivedere anche il D.M. 1444/68, in particolare la distanza minima di 10 metri quando gli edifici prospicienti hanno altezze inferiori a tale misura? Non era cattiva la vecchia regola prevista per Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o programma di fabbricazione (art. 17 L. 765/67):
l’altezza di ogni edificio non puo’ essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non puo’ essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.
Anche gli spazi interni abitativi presentano contrasti normativi
E’ vero, le dimensioni minime imposte per legge sono assolutamente necessarie per tutelare un livello generale di salubrità e qualità dell’aria all’interno delle abitazioni: per questo è stato disposto il D.M. 5 luglio 1975, con una serie di parametri e prescrizioni severe; peraltro sembrerebbe pronto un altro decreto ministeriale a sostituirlo.
Esso impone ad esempio l’altezza minima di 2,70 metri nelle abitazioni, non ammettendo alcuna deroga; tale deroga non è stata scalfita neppure dal rilascio di concessioni in sanatoria per condono edilizio L. 47/85, in quanto perfino la Corte Costituzionale con sentenza n. 256/1996 ha escluso l’Abitabilità in deroga per appartamenti condonati in cantine, sottotetti o altri spazi per altezze inferiori a 2,70 metri. Praticamente immobile urbanisticamente condonato, ma igienicamente non agibile.
E allora, come è possibile che alcune legislazioni regionali ammettano deroghe per recupero ai fini abitativi dei sottotetti? Non vorrei che prima o poi qualcuno faccia dichiarare incostituzionale queste disposizioni, oppure che possano limitarsi ai soli fini urbanistico edilizi senza incidere sulle norme igienico sanitarie. E come sopra, si possano configurarsi mansarde abitative urbanisticamente regolari, ma non agibili o abitabili. E dire che sono state dichiarate incostituzionali alcune disposizioni regionali che consentivano la conversione di cantine e seminterrati in abitazioni.
Sto seguendo alcune situazioni di appartamenti di notevoli dimensioni e ampiamente finestrati, con un’altezza interna di 2,60 metri per i quali non si trova una soluzione adeguata, nonostante alcune normative regionali consentano di abitare in mansarde di 50 metri quadrati con altezze interne variabili e con un minimo di 1,80 metri. C’è qualcosa che non torna, e per questo motivo è necessario rivedere in modo organico tutta la normativa igienico-sanitaria, coordinandola con quella tanto sospirata riforma del Testo Unico DPR 380/01.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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