Onere probatorio spetta al privato, ma Comune deve scongiurare casi di impossibilità per risalenza
L’obbligo autorizzativo poteva risultare esteso all’intero territorio comunale già prima delle leggi n. 765/67 e 1150/42
Torniamo sul tema degli edifici costruiti anteriormente al 1 settembre 1967, data in cui entrò in vigore la legge ponte n. 765/1967. Con tale norma fu modificato il previgente articolo 31 della L. 1150/42 sull’obbligo di licenza edilizia dalla seguente formulazione:
“Chiunque intenda nell’ambito del territorio comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita licenza al sindaco. (omissis)”
Prima dell’entrata in vigore della legge ponte n. 765/1967 vigeva una versione diversa e di minore portata (apparentemente) dell’art. 31 L. 1150/42:
“Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificare la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del Comune. (omissis)”
Dall’analisi comparativa emerge subito la differenza principale, cioè l’estensione dell’obbligo di licenza edilizia che passa dall’applicazione parziale (centri abitati + zone espansione PRG) a quella totale rispetto al territorio del comune.
Sull’argomento della regolarità urbanistica degli immobili costruiti prima del 1 settembre 1967 ti indico tutti gli articoli trattati sul blog, e segnalando in particolare l’approfondimento principale sulla legittimazione e conformità di essi.
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I regolamenti edilizi comunali/locali potevano aver già esteso l’obbligo di licenza edilizia a tutto il territorio comunale
Il Comune poteva aver già disciplinato ed esteso l’obbligo di titolo edilizio a tutto il territorio comunale, o a porzioni più estese dei centri abitati e zone espansione PRG, già in epoca anteriore:
- 1 settembre 1967, legge ponte n. 765/67 (cioè ante ’67);
- 31 ottobre 1942, legge fondamentale n. 1150/42 (cioè ante ’42);
Ormai si è formata consolidata giurisprudenza sul punto, a conferma che i Comuni potevano legittimamente aver previsto una disciplina più severa e restrittiva circa l’obbligo di licenze, autorizzazioni o nulla osta edilizi, potendo estenderla fino all’intero territorio comunale già prima della L. 765/67 e L. 1150/42.
E’ un caso frequente per le grandi città, ma non va escluso che ciò sia avvenuto anche in comuni di piccole dimensioni o poco popolati ancora oggi. La giurisprudenza amministrativa infatti ha rilevato questa possibilità in base al R.D. 297/1911, una norma che delegava espressamente la disciplina edilizia ai Comuni, qui troverai l’approfondimento sul blog.
Posso anticipare che i regolamenti edilizi comunali potevano disciplinare già prima della L. 1150/42 una cogenza di obbligo di licenza edilizia, o titolo autorizzativo comunque denominato, ai sensi dell’art. 111 del regio decreto n. 297/1911 (abrogato con L. 142/1990).
Legge fondamentale n. 1150/42 ha innovato la norma cancellando gli eventuali maggiori obblighi di licenza dei previgenti regolamenti edilizi?
La portata della legge n. 1150/42 è stata notevole, ma non contiene norme che abrogano gli effetti e l’efficacia dei previgenti regolamenti edilizi comunali, in particolare sugli eventuali obblighi di licenza edilizia “maggiori” rispetto a quelli minimi introdotti con l’art. 31 L. 1150/42.
Anche la giurisprudenza amministrativa si è consolidata sul punto, affermando che la L. 1150/42 ha innovato la normativa introducendo un obbligo di licenza edilizia generale, senza tuttavia innovare o azzerare quelle discipline o regolamenti più rigorosi già esistenti.
Ricordo infatti che la principale “fonte” dei problemi in questo ambito sia rinvenibile anche nel vigente articolo 40 L. 47/85.
In altre parole la L. 1150/1942 non va considerata come un “anno zero” dell’urbanistica, perchè non ha avuto alcun effetto abrogativo o caducatorio della disciplina preesistente ad essa.
Possiamo pure dire e ribadire che la legge n. 1150/42 con l’articolo 35 ha riconosciuto continuità e validità ai previgenti regolamenti edilizi comunali, indicando termini e modalità per il loro adeguamento.
Approfitto per riportare un estratto dalla recente sentenza del Consiglio di Stato n. 4686/2022, nella quale viene ribadito il rapporto innovativo limitato della legge n. 1150/42 verso la disciplina e regolamentazione preesistente.
(omissis) La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, nel prescrivere la licenza comunale per le costruzioni da eseguirsi nei centri urbani, ha inteso uniformare la previgente disciplina della materia affidata in precedenza ai regolamenti comunali, stabilendo uno standard minimo uniforme per tutto il territorio nazionale, sicché detta disciplina ha innovato le normative più liberali ma non ha per ciò stesso innovato quelle più rigorose, ove ad es. imponessero la licenza anche in altri casi, in particolare per le costruzioni da eseguirsi fuori dei centri abitati (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2008 n. 5141). La circostanza, quindi, che il regolamento edilizio del Comune di Cervia del 1928 richiedesse un titolo abilitativo per le costruzioni riguardanti l’intero territorio comunale (v. art. 9 e segg.) fa sì che detta normativa sia sopravvissuta in parte qua alla sopraggiunta disciplina statale (fino alla novella del 1967), determinando il carattere abusivo delle costruzioni in esame, tutte incontestatamente risalenti agli anni Cinquanta e realizzate senza rispettare la procedura ivi prevista.
Quanto, invece, alle opere abusive relative al fabbricato principale, è prematura in questa sede la verifica della praticabilità della riduzione in pristino senza pregiudizio per la parte regolare dell’edificio. La norma regionale invocata (art. 14 legge reg. n. 23/2004), invero, richiede un’istanza motivata dell’interessato all’Amministrazione comunale, la quale in ogni caso, se chiamata alla rimozione d’ufficio delle opere abusive, avrà modo di appurare in quella sede (e solo in quella sede) la presenza di eventuali ostacoli materiali all’eliminazione delle parti abusive.
Le restanti doglianze riguardano il diniego di «accertamento di conformità» ex art. 17 della legge reg. n. 23 del 2004 (ricorso n. 253/2012). Il ricorrente, da un lato, si duole del rilievo ostativo assegnato alla presunta carenza dell’originario titolo abilitativo per i fabbricati secondari – laddove non sarebbe appropriato il richiamo ad un regolamento edilizio del 1928 per più motivi non applicabile al caso di specie e neppure menzionato nel preavviso di diniego, e comunque si tratterebbe di abusi così lontani nel tempo da sottrarsi a tanto tardivi accertamenti – e, dall’altro alto, lamenta la genericità di indicazioni circa il vincolo ambientale che osterebbe alla regolarizzazione degli interventi effettuati sine titulo.
Orbene, quanto al regolamento edilizio del 1928, si è già detto come nessun effetto abrogativo/caducatorio possa essere potuto in particolare derivare dalla sopraggiunta disciplina statale di cui all’art. 31 della legge n. 1150 del 1942. Né emergono preclusioni di carattere procedimentale all’operatività di detta normativa comunale, visto che dalla documentazione esibita dall’Amministrazione si evince che la Prefettura di Ravenna trasmise a suo tempo il regolamento al Ministero dell’Economia nazionale, che lo approvò con prescrizioni, così completando l’iter di cui all’art. 217 del r.d. n. 148 del 1915. Né, ancora, si presenta significativo che l’art. 111 del r.d. n. 297 del 1911 («Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge comunale e provinciale») affidasse ai regolamenti edilizi la “…determinazione del perimetro dell’abitato a cui si devono intendere circoscritte le prescrizioni dei regolamenti stessi …”, in quanto – come è stato rilevato (v. Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 13) – la normativa del 1911 non conteneva una elencazione tassativa di materie e non poneva quindi una limitazione esplicita alla potestà regolamentare dei comuni in materia edilizia, sicché l’autonomia loro riconosciuta dava in realtà luogo ad una libera scelta dell’ambito territoriale interessato e dell’eventuale titolo abilitativo necessario, fino a potervi ricomprendere qualsiasi area suscettibile di occupazione da costruzioni ad uso della popolazione, così come la giurisprudenza – già richiamata – ha ripetutamente ammesso possibile prima della disciplina del 1942.
Quanto, poi, al lungo tempo trascorso dalla realizzazione di quelle costruzioni e all’affidamento medio tempo ingeneratosi nel cittadino circa la regolarità delle corrispondenti opere, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi ammettere l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione abusiva che il tempo non può legittimare, perché in questi casi vale il principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità dell’infrazione e il lasso temporale trascorso, salve le ipotesi di dolosa preordinazione o di abuso (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2012 n. 2592; da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 13).
Conclusioni e consigli
Al momento c’è poco da dire, se non consigliare l’estensione delle ricerche verso i regolamenti edilizi comunali e locali per capire con certezza se contenessero obblighi di licenze, nulla osta o autorizzazioni comunque denominate.
Dopo tale passaggio è possibile effettuare una valutazione comparata sulla regolarità urbanistica del manufatto esistente, e individuare i vari momenti di trasformazione nelle rispettive epoche di ultimazione. E questo finchè il legislatore non si deciderà di fare un “colpo di spugna” e scrivere davvero il nuovo anno zero dell’urbanistica.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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