La Giunta comunale approva i piani attuativi qualora compatibili con lo strumento urbanistico generale vigente, il Consiglio Comunale quando comporta variante ad esso.
Ha natura giuridica di fonte normativa secondaria e subordinato alla coerenza con le fonti primarie.
Il regolamento edilizio comunale compare citato espressamente nell’art. 33 della prima versione della Legge Fondamentale n. 1150/42.
Da allora il suo ruolo si è rafforzato contestualmente all’evoluzione del quadro normativo nazionale prima, e delle relative legislazioni regionali postume.
Prima dell’emanazione della L. 1150/42 i comuni avevano facoltà di applicare specifici regolamenti volti a tutelare lo sviluppo edilizio nel territorio e centri abitati, sicuramente vigenti nei grandi insediamenti urbani all’epoca.
Già dal Medioevo molti comuni erano dotati di statuti e regolamentazione delle “terre murate”, principalmente per governare la città per aspetti di decoro, igiene e salubrità, regimazione acque luride, distanze tra i fronti su spazi pubblici, allineamenti viari, rapporti, sicurezza difensiva e militare.
Principalmente possiamo dire che i regolamenti edilizi comunali fino all’Ottocento avevano una prevalente matrice di regolamentazione igienica e di decoro.
Le prime grandi trasformazioni ed espansioni ottocentesche dei centri urbani portarono al superamento dell’edificazione al di fuori delle ultime cerchie murarie costruite nel Medioevo, per le quali fu necessario provvedere alla regolamentazione degli sviluppi futuri che avrebbero potuto avvenire nei centri abitati preesistenti e nelle nuove zone di espansione.
Anche nel Novecento i fenomeni di espansione dell’edificato attorno ai centri urbani prosegui, certamente in maniera assai ridotta e incomparabile con quanto si è verificato nel periodo postbellico.
Un importante spartiacque normativo fu appunto la Legge Fondamentale n. 1150/42 (art. 33) che istituì l’obbligo di provvedere alla dotazione di regolamenti edilizi, attraverso i quali disciplinare le sottostanti materie in coerenza (“armonia”) con le disposizioni della L. 1150/42, dell’allora testo unico delle leggi sanitaria R.D. 1265/1934 (oggi praticamente abrogato), tra l’altro concedendo facoltà di distinguere i nuclei edilizi esistenti dalle zone di ampliamento e restante territorio comunale:
- la formazione, le attribuzioni e il funzionamento della Commissione edilizia comunale;
- la presentazione delle domande di licenza di costruzione o trasformazione di fabbricati e la richiesta obbligatoria dei punti fissi di linea e di livello per le nuove costruzioni;
- la compilazione dei progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione in armonia con le leggi in vigore;
- l’altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone;
- gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale;
- l’ampiezza e la formazione dei cortili e degli spazi interni;
- le sporgenze sulle vie e piazze pubbliche;
- l’aspetto dei fabbricati e il decorso dei servizi ed impianti che interessano l’estetica dell’edilizia urbana (tabelle stradali, mostre e affissi pubblicitari, impianti igienici di uso pubblico, ecc.);
- le norme igieniche di particolare interesse edilizio;
- le particolari prescrizioni costruttive da osservare in determinati quartieri cittadini o lungo determinate vie o piazze;
- la recinzione o la manutenzione di aree scoperte, di parchi e giardini privati e di zone private interposte tra fabbricati e strade e piazze pubbliche e da queste visibili;
- l’apposizione e la conservazione dei numeri civici;
- le cautele da osservare a garanzia della pubblica incolumità per l’esecuzione delle opere edilizie, per l’occupazione del suolo pubblico, per i lavori nel pubblico sottosuolo, per le ribalte che si aprono nei luoghi di pubblico passaggio, ecc.;
- la vigilanza sull’esecuzione dei lavori per assicurare l’osservanza delle disposizioni delle leggi e dei regolamenti.
Lo stesso articolo disponeva che nei Comuni provvisti del piano regolatore il regolamento edilizio deve altresì disciplinare:
- la lottizzazione delle aree fabbricabili e le caratteristiche dei vari tipi di costruzione previsti dal piano regolatore;
- l’osservanza di determinati caratteri architettonici e la formazione di complessi edilizi di carattere unitario, nei casi in cui ciò sia necessario per dare conveniente attuazione al piano regolatore;
- la costruzione e la manutenzione di strade private non previste nel piano regolatore.
Con i successivi articoli 35 e 36 la L. 1150/42 introduceva termini e procedure per emanare i nuovi regolamenti edilizi comunali e per adeguare/conformare quelli previgenti alle nuove disposizioni della legge.
Gli eventi bellici, la caduta del Fascismo e la nuova Costituzione influirono molto sul previgente impianto normativo della Legge Fondamentale, improntato su un sistema decisionale più veloce e autoritario.
Ciò nonostante, tali articoli hanno avuto vigenza fino alla loro abrogazione, avvenuta col DPR 380/01.
Con l’approvazione del suddetto Testo Unico per l’edilizia le precise disposizioni indicate nei previgenti articoli della L. 1150/42 cessano di esistere; per esse i nuovi articoli 2 comma 4 e articolo 4 del TUE demanda ai comuni la disciplina regolamentare edilizia in quanto materia rientrante nella propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
In sostanza l’attuale art. 4 del DPR 380/01 dispone che i regolamenti edilizi comunali debbano disciplinare le «modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilita’ degli immobili e delle pertinenze degli stessi».
Quali sono i limiti e poteri del Regolamento edilizio comunale?
Per rispondere occorre prima qualificare la natura del regolamento comunale e il rapporto con gli strumenti urbanistici.
Si estrapola quanto riportato nella sentenza del Consiglio di Stato IV n. 2598/2017, la quale sottolinea la coerenza con dottrina e giurisprudenza nel ritenere che:
- il regolamento edilizio comunale ha natura di regolamento indipendente ed è altresì ascrivibile nel novero dei regolamenti delegati, ai sensi dell’ art. 871 del codice civile;
- il contenuto di tale regolamento è disciplinato sub art. 4 del dPR n. 380/2001 (in passato: legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 33) il cui comma I prevede che: “ Il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell’articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”;
- in ordine alla natura giuridica di tale atto, la giurisprudenza amministrativa, sin da tempo risalente (tra le tante, per una completa ricostruzione, si veda Consiglio di Stato sez. IV 17/12/2003 n. 8280) è stata concorde dell’affermare che il regolamento edilizio, esprimendo l’autonomia normativa riconosciuta ai comuni dall’ordinamento, ha natura giuridica di fonte normativa secondaria (cfr. Cass. 16 novembre 1983, n. 6817); come tale, esso è subordinato al criterio ermeneutico della coerenza con le fonti primarie (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 1981, n. 363) ed è applicabile ex officio dal giudice in base al principio iura novit curia (cfr. Cass. 28 gennaio 1987, n. 777);
- Coerentemente, in caso di conflitto fra fonti del diritto, dovranno valere i normali criteri di risoluzione sanciti dalle norme e dai principi ritraibili dalle disposizioni preliminari al codice civile: in particolare verranno in rilievo il principio gerarchico (ex art. 3 e 4, disp. prel. c.c.) per cui lex superior derogat inferiori e quello cronologico (ex art. 15 disp. prel. c.c.), secondo cui lex posterior derogat anteriori.
- Da qui l’orientamento ammissivo della disapplicazione (o meglio non applicazione) dei regolamenti, anche non impugnati, in contrasto con norme di rango diverso, nel rispetto del principio gerarchico e di successione delle norme nel tempo (cfr. ex plurimis Cons, Stato, sez. V, 20 maggio 2003, n. 2750; sez. V, 10 gennaio 2003, n. 35; sez. IV, 19 settembre 1995, n. 1332): il corollario che si è fatto discendere da tale affermazione, riposa nella predicabilità del consolidato principio secondo il quale non necessita di autonoma impugnazione il regolamento comunale edilizio contrastante “in parte qua” con la norma legislativa primaria, poiché ha natura giuridica di fonte normativa secondaria e come tale subordinato al criterio ermeneutico della coerenza con le fonti primarie.
Da quanto sopra deriva che le prescrizioni del regolamento edilizio comunale in contrasto con le disposizioni di una legge regionale sono illegittime.
Regolamento edilizio come fonte normativa secondaria e coerente con quelle superiori.
La subordinazione del Regolamento edilizio alle fonti primarie e superiori, come legislazione nazionale e regionale, è principio ermeneutico e non necessita di autonoma impugnazione quando presenti contrasto con esse (Consiglio di Stato IV n. 2598/2017).
In quanto norma secondaria o di grado inferiore, quindi soggiace a due principi:
- gerarchico, in cui la fonte normativa superiore deroga (modifica) quella inferiore;
- cronologico, in cui la fonte posteriore deroga quella anteriore;
Di conseguenza, il rapporto tra Regolamento Edilizio e legislazione regionale (e/o nazionale) è di conformazione, posto che quest’ultima può intervenire sulle stesse materie disciplinate dai regolamenti edilizi.
Il Regolamento edilizio comunale, nei confronti della legislazione sovraordinata, può assumere una posizione di:
- conformazione alla medesima fonte sovraordinata tramite recepimento;
- mancata conformazione, con di prescrizioni contenute nel regolamento edilizio comunale in contrasto con esse sono illegittime, e possono essere disapplicate o annullate, laddove direttamente ed autonomamente impugnate;
- disciplinare dettagliatamente le materie espressamente consentite o prescritte dalla legislazione sovraordinata, adempiendo nei termini e modi previsti;
- disciplinare direttamente materie non oggetto della fonte superiore per carenza o vuoto legislativo;
Rapporto tra Regolamento edilizio e Governo del territorio
Troppo spesso nel parlare comune con i non addetti ai lavori è assai frequente l’errore di confondere il Regolamento edilizio con lo strumento urbanistico, in particolare col PRG.
Il Piano Regolatore comunale è lo strumento di governo del territorio, e la sua formazione, applicazione e disciplina deriva da precise disposizioni normative nazionali e regionali.
E’ doveroso sottolineare che, per quanto abbiano simili finalità di un ordinato sviluppo dell’assetto dell’edificato e del territorio, tra Regolamento edilizio e Piano Regolatore esiste una sottile differenza.
Di converso, pur essendovi lievi differenze, tali strumenti devono essere tra loro complementari, congruenti e conformi onde evitare possibili contrasti applicativi in grado di ingenerare confusione tra cittadini, professionisti e la PA chiamata a verificare.
Tra l’altro, il regolamento edilizio comunale non va confuso tra gli strumenti “in generis”, ma come (appunto) regolamento.
Sovrapposizione tra Regolamento Edilizio e PRG?
Il comune deve disciplinare lo sviluppo dell’abitato e del territorio, pertanto partecipa all’intero ciclo del Governo del territorio attraverso i propri poteri costituzionalmente e normativamente assegnati come ente locale.
Estrapolando quanto più volte affermato dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 22/02/2017, n. 821, Consiglio di Stato IV n. 2598/2017), emerge che
“il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita ex art. 117 comma 3, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune, potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni ed il cui esercizio è normalmente attribuito – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse; al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli -e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti-, ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati; tali finalità, più complessive dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” -art. 1-, non solo nell’assetto ed incremento edilizio dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”);
In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non può essere intesa sul piano giuridico solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo).
La nozione ampia di “governo del territorio”, comportando la potestà legislativa concorrente delle Regioni, ridonda a cascata sulla potestà amministrativa dei comuni in questa materia (Consiglio di Stato IV n. 2598/2017).
Nell’ambito di del testo unico sull’ordinamento degli enti locali ex D.Lgs. 267/2000, i regolamenti comunali non sono più classificati in base all’oggetto disciplinato, ma sono orientati per “funzioni” in cui la “materia” oggetto di disamina coinvolge anche il versante di “tutela della salute”.
Nel sistema giuridico italiano all’Ente comune è tradizionalmente affidata la funzione amministrativa urbanistica (pacificamente riconducibile alla nozione “governo del territorio” di cui all’art. 117 comma III della Costituzione) che esso esercita, di regola attraverso una duplice direttrice:
- regolamentazione dell’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi contenuta nel relativo PRG, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, tra le quali la zonizzazione, la destinazione di aree destinate a soddisfare gli standard urbanistici, localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo, ecc;
- regolamentazione e disciplina dettagliata dell’attività edificatoria, di solito contenute nelle norme tecniche di attuazione (NTA) del piano regolatore o nel regolamento edilizio e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze, la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati usi, l’assolvimento di oneri procedimentali e documentali, ecc;
Tuttavia, si ripete, che PRG e Regolamento edilizio comunali derivano da discipline e norme diverse.
La difficoltà applicativa nasce dal fatto che PRG e Regolamento edilizio afferiscono allo stesso ambito, che è appunto l’attività edilizia.
Gli enti comunali, e soprattutto i soggetti incaricati a redigere tali documenti devono porre molta attenzione proprio per evitare la nascita di contrasti o contraddizioni reciproche, o per evitare perfino ripetizioni/duplicazioni dei contenuti.
Il Regolamento edilizio, tra l’altro, contiene o dovrebbe contenere, le specifiche procedure amministrative che negli ultimi anni sono state oggetto di crescente “pendolarismo” normativo, pertanto è molto facile imbattersi in regolamenti edilizi comunali che riportano procedure e termini ormai sostituito nelle norme sovraordinate.
A mio avviso, il Regolamento edilizio dovrebbe confluire nel processo di redazione e approvazione del PRG, onde evitare un doppio lavoro disgiunto tra i due rispettivi procedimenti; ebbene si, il regolamento dovrebbe diventare parte integrante di un PRG.
Il Regolamento edilizio, essendo appunto un regolamento, non è soggetto allo stesso procedimento di adozione, partecipazione e approvazione tipica degli strumenti urbanistici e PRG.
L’occasione è stata è persa quando negli ultimi tre anni non si è giunti al cosiddetto Regolamento Edilizio Unico,bensì al Regolamento Edilizio Tipo emanato con DPCM del 20 ottobre 2016.
Quest’ultimo dispone principi uniformatori sul territorio nazionale circa i principali contenuti e disposizioni che dovranno esservi riportati, che possono riassumersi per sommi capi:
- Disposizioni organizzative e procedurali, adempimenti edilizi;
- Norme procedimentali e tecniche sull’esecuzione dei lavori;
- Disposizioni per la qualità urbana, prescrizioni costruttive e funzionali;
- Vigilanza e sistemi di controllo;
- Norme transitorie e di aggiornamento;
Da qui emerge subito che gli enti locali avranno un ulteriore lavoro da compiere per adeguare, e sopratutto coordinare, i propri strumenti urbanistici e regolamenti alle nuove discipline normative sopravvenute, prime tra tutti il Decreto ‘Scia 2’ D.Lgs. 222/2016 e il DPR 31/2017 di semplificazione paesaggistica (trattati nei video corsi in catalogo).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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