La Giunta comunale approva i piani attuativi qualora compatibili con lo strumento urbanistico generale vigente, il Consiglio Comunale quando comporta variante ad esso.
Era uno strumento programmatico di previsione e controllo dettagliato dell’attività edificatoria pianificata
Furono introdotti con l’articolo 13 della legge n. 10/1977 (Bucalossi) quali possibili strumenti di attuazione programmata da disciplinare e utilizzare in base alle norme regionali.
Si deve premettere che non sono strumenti urbanistici veri e propri, e tanto meno strumenti urbanistici attuativi come il Piano Particolareggiato; erano dei programmi operativi aventi durata limitata da tre a cinque anni, con cui il Comune doveva organizzare, coordinare e finanziare le opere di sua competenza e quelli dei soggetti privati interessati (anche con piani di riparto economico-finanziario).
La loro redazione infatti poteva riguardare aree e zone delimitate, incluse o meno in piani particolareggiati o in piani di lottizzazione convenzionata, e la realizzazione delle previsioni poteva perfino avvenire in comparti edificatori.
Lo scopo evidente era di fornire ai Comuni uno strumento che oserei dire “gestionale” e temporizzare la fase attuativa edificatoria privata sia per l’urbanizzazione, in particolare per coordinare e verificare lo stato di avanzamento dello sviluppo insediativo pianificato, dei necessari servizi, infrastrutture e dotazioni territoriali. Infatti avendo carattere programmatico, il pensiero va subito al cronoprogramma e diagramma di Gantt: direi che la similitudine si possa ritenere congrua.
Nella redazione del programma pluriennale di attuazione doveva essere osservata la proporzione tra aree destinate ai P.E.E.P. e quelle riservate all’attività edilizia privata (ai sensi dell’art. 3 L. 167/1962).
Fin dalla prima emanazione dell’art. 13 L. 10/77, l’iniziativa di disciplinare i programmi pluriennali di attuazione fu demandata alle legislazioni regionali da emanarsi entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della stessa legge; inoltre le regioni dovevano individuare:
- I comuni esonerati dall’iniziativa;
- I comuni obbligati alla redazione;
- Le relative forme e gli eventuali poteri sostitutivi da applicare nei confronti dei comuni inadempienti;
Nei comuni esonerati dall’obbligo del P.P.A. si applicavano le normali regole a regime dell’edificabilità dei suoli e della concessione edilizia.
Nei comuni obbligati alla redazione del P.P.A. gli interventi e relativi titoli abilitativi edilizi erano disciplinati così:
- Soltanto nelle aree incluse nei Programmi pluriennali di attuazione era rilasciabile la concessione edilizia onerosa (art. 1 L. 10/77);
- Nelle restanti aree era possibile soltanto la concessione edilizia gratuita (art. 9 L. 10/77) per opere di minore rilevanza o per quelle in zone agricole finalizzate alla conduzione del fondo dall’imprenditore agricolo a titolo principale (in seguito molte di queste categorie di intervento furono trasferite nell’Autorizzazione edilizia ex art. 31 L. 457/78, tramite la L. 94/1982).
Al di fuori dei precedenti casi, in attesa dell’approvazione dei Programmi Pluriennali di attuazione, i comuni obbligati potevano rilasciare Concessione edilizia soltanto su aree dotate di urbanizzazione o di impegno dei concessionari a realizzarle.
Contenuti del programma pluriennale di attuazione
Sulla base anche delle esperienze regionali e relative legislazioni (es. L.R. Abruzzo n. 61/1978), nonchè alle esperienze messe in campo dai comuni, si possono desumere i contenuti (minimi) che dovrebbero avere i programmi pluriennali di attuazione in rapporto anche alle previsioni di bilancio pubblico comunale:
A) una relazione sullo stato di attuazione del vigente strumento urbanistico generale con la valutazione del fabbisogno complessivo da soddisfare nel periodo considerato e della capacita’ insediativa del territorio comunale ivi compresa quella risultante da operazioni di recupero del patrimonio edilizio esistente;
B) una relazione finanziaria con la previsione dei costi e delle spese relative all’attuazione del P.P.A., anche tenendo conto dei proventi di cui all’Art. 12 della legge 28-1-1977, n. 10 e delle altre previsioni del bilancio comunale;
C) un programma per la realizzazione degli standard urbanistici, dotazioni territoriali, infrastrutture, dei servizi e delle attrezzature pubbliche di interesse comunale e sovracomunale con l’indicazione delle aree necessarie da acquisire;
D) l’indicazione delle aree e degli immobili da espropriare per la edilizia economica e popolare (PEEP) di cui ai programmi previsti dalle L. 865/1971, L. 167/1962, e in mancanza di tali piani, per i Comuni obbligati alla loro predisposizione nella misura massima prevista dall’art. 3 L. 167/1962 e successive modificazioni ed integrazioni. Non sono tenuti all’osservanza della predetta proporzione i Comuni che, non obbligati ai sensi dell’art. 1della L. 18-4-1962, n. 167, non siano dotati di P.E.E.P. ai sensi della legge stessa.
E) l’indicazione degli interventi da effettuare sul patrimonio edilizio esistente;
F) l’individuazione delle aree residenziali, di completamento e di espansione in aggiunta alla quota di fabbisogno soddisfatta dagli interventi di cui alle precedenti lettere d) ed e) di cui s’intende avviare l’attuazione, con la indicazione degli strumenti attuati o di cui si rende necessaria la preventiva adozione;
G) l’individuazione delle aree destinate ad insediamenti industriali, artigianali, commerciali, turistici, nonche’ di quelli produttivi agricoli, di cui si intende avviare l’attuazione;
H) gli interventi pubblici necessari per garantire la tutela e l’uso sociale dei beni storici, ambientali e del patrimonio naturale.
I) coordinamento e tutela ai fini paesaggistici e vincolistici.
Esperienza dei programmi pluriennali di attuazione
Anche in questo particolare ambito di attuazione dell’assetto del territorio pianificato, c’era il punto debole: l’esproprio delle aree in caso di mancata richiesta di concessione nei tempi indicati dai P.P.A. da parte di tutti i proprietari. Se ci pensiamo bene si reiterava un “bug” della normativa urbanistica e dello strumento espropriativo, tenuto conto che al momento dell’entrata in vigore della L. 10/1977 vigeva già la legge n. 865/1971 (dichiarata parzialmente incostituzionale con sentenza n. 5/1980.
L’istituto dei Programmi Pluriennali di Attuazione, oltre a non essere “decollato” e divenuto strumento attuativo diffuso, ha subito diverse modifiche.
Dopo pochi anni fu rivista la disciplina delegata alle Regioni e verso i Comuni, in base all’articolo 6 D.L. n. 9/1982 convertito in legge con modifiche n. 94/1982, prevedendo che:
- I comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti sono esonerati dall’obbligo di dotarsi di programmi pluriennali di attuazione. Le regioni indicano quali comuni con popolazione al di sotto dei 10.000 abitanti sono tenuti a dotarsi di programmi pluriennali di attuazione. Il provvedimento regionale deve essere motivato indicando le ragioni di carattere ambientale, turistico ed industriale che rendano necessaria la formazione di tale strumento.
- Per la formazione dei programmi pluriennali di attuazione, ai sensi dell’articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, non è richiesta l’approvazione regionale né alcun parere preventivo di altre amministrazioni statali o subregionali. Detti programmi pluriennali devono tuttavia essere inviati in copia alle regioni”;
In seguito vi fu tentativo di abrogazione con alcuni decreti legge non convertiti (D.L. n. 468/1994, n. 551/1994, n. 646/1994) e sospeso con altri decreti legge altrettanto non convertiti (l’ultimo è il D.L. n. 488/1995).
Successivamente l’art. 9 comma 1 D.L. 495 del 24/09/1996 dispose il termine di un anno dall’entrata in vigore della conversione in legge, entro il quale le Regioni avrebbero dovuto aggiornare la propria legislazione relativa ai Programmi Pluriennali di Attuazione; anche tale decreto non fu convertito in legge.
Infine l’ultimo atto legislativo sui Programmi Pluriennali di attuazione è stato siglato dall’art. 20 comma 1 della L. 136/1999: esso concesse il termine di un anno dall’entrata in vigore per aggiornare la legislazione regionale in materia di P.P.A., decorso il quale restavano vigenti le disposizioni nazionali e regionali.
Questo aggiornamento doveva avvenire secondo ulteriori principi integrati proprio con L. 136/1999, che ne circoscrivano la funzione alla programmazione della formazione dei piani attuativi di nuovi insediamenti o di rilevanti ristrutturazioni urbanistiche. Essi devono essere individuati territorialmente in modo univoco, anche in coordinamento con il programma triennale dei lavori pubblici del comune e con lo stato delle urbanizzazioni nel territorio interessato, e riferiscano i criteri di obbligatorietà alle effettive esigenze di sviluppo e di trasformazione degli aggregati urbani. Le opere di urbanizzazione comunali da realizzare in attuazione degli strumenti urbanistici sono inserite nel programma triennale dei lavori pubblici del comune.
Nel momento in cui si è scritto, l’articolo 13 della L. 10/1977 risulta ancora vigente.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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