L'aggiornamento alla Legge regionale 65/2014 consente di tollerare anche le misure minime in materia di distanze e salubrità edilizia
È entrato in vigore da pochi mesi, ma il Piano di indirizzo territoriale (Pit), approvato con delibera regionale il 27 marzo scorso, sta già condizionando pesantemente il lavoro di architetti, ingegneri, geometri e periti, che lanciano un allarme: l’edilizia Toscana, che ancora fatica a riagganciare la ripresa economica, rischia la paralisi.
Pubblicato il 12 Ottobre 2015 su Toscana24 – Il Sole 24 Ore
Con gentile concessione a pubblicare.
di Barbara Gabbrielli
Il malcontento è trasversale ed è stato preannunciato dalle feroci polemiche dei mesi scorsi. Parte ovviamente dagli enti locali e da Anci (che non si sono sentiti sufficientemente coinvolti), passa per le associazioni ambientaliste (che volevano una maggiore tutela del territorio) e per i cavatori delle Apuane (che si ritengono penalizzati dai nuovi vincoli), per arrivare infine alle categorie professionali dei tecnici che lavorano nell’edilizia.
Contro il Pit, si sono moltiplicate le iniziative e le prese di posizione. Sul fronte delle professioni, architetti, geometri e periti industriali di Siena già alla fine dello scorso anno avevano fatto ricorso al Tar della Toscana per contestare alcune misure, tra le quali il regime transitorio che aveva anticipato l’efficacia del Piano. Mentre a livello regionale, la Rete toscana delle professioni tecniche ha appena costituito un gruppo di lavoro dedicato alle tematiche del governo del territorio e impegnato a capire quale sarà il reale impatto che le nuove prescrizioni avranno sul professionista.
L’origine di tanta preoccupazione è la doppia anima di questo atto.
“Il Pit infatti ha valenza anche di Piano paesaggistico.”
Questo significa che detta non solo indirizzi e obiettivi, ma anche prescrizioni vere e proprie, che dovranno essere recepite dai Comuni.
Obiettivo: arginare il consumo del suolo, così come previsto dalla legge regionale 65/2014, poi modificata con la l.r. 49/2015.
D’ora in poi chi avvia una pratica edilizia non si potrà limitare al rispetto dei singoli regolamenti urbanistici, ma dovrà essere in linea anche con quanto stabilito dal Pit. «Questo da un lato pone il problema dell’adeguamento degli strumenti urbanistici da parte dei Comuni, e dall’altro impone a noi professionisti di muoverci con estrema cautela» spiega l’architetto Alessandro Jaff, vicecoordinatore della Rete. «Anche per una semplice Scia si dovranno tenere in conto le prescrizioni regionali. Abbiamo già incontrato numerose situazioni in cui il regolamento urbanistico comunale ci consente di fare certe cose che però non sono più ammesse dal Pit».
I Comuni hanno due anni di tempo per mettersi in linea con le disposizioni regionali, e nel frattempo tutto è demandato alla capacità dei professionisti di leggere e interpretare le nuove regole in termini di procedure edilizie ed urbanistiche.
È questo stato di incertezza che sta frenando molti investimenti. «I Comuni che avevano previsto un’espansione dovranno rivedere il loro piani. E chi poteva avere in mente di comprare un’area per farci un’operazione edilizia adesso teme di avviare un processo di pianificazione attuativa che potrebbe essere considerato illegittimo» spiega Jaff.
Il rischio, insomma, è quello di perdere tempo. E nella confusione generale ne risente anche il rapporto con i clienti. «È estremamente difficile in questa fase transitoria offrire una consulenza sul patrimonio edilizio» ribadisce Michele Mariottini, geometra del Comitato regionale toscano geometri. «Un terreno che è stato considerato finora edificabile, infatti, potrebbe non esserlo più. Nella valutazione e nella progettazione il professionista, insomma, deve passare dalle forche caudine».
Lo sforzo (non da poco) è dunque quello di capire la fattibilità degli interventi. «Ora i professionisti dovranno aggiungere un ulteriore strumento nella loro cassetta degli attrezzi. Dovranno cioè imparare a leggere il linguaggio della pianificazione, con cui è stato scritto il Pit» interviene Carlo Pagliai, ingegnere e urbanista empolese.
“Un’occasione per migliorarsi, certo, ma anche una fonte di maggiori adempimenti e maggiori costi per chi non è attrezzato a farlo”
Anche dal punto di vista esecutivo non mancano le note dolenti. «Alcune cose potevano e dovevano essere fatte con maggiore precisione» sottolinea Pagliai. «Gli uffici tecnici della Regione ci stanno lavorando, ma intanto noi ci troviamo ad affrontare situazioni al limite del paradosso».
L’ingegnere porta un esempio legato al suo territorio: il laghetto artificiale del parco urbano di Serravalle, a Empoli. «Con le nuove norme, l’area circostante, fino a 300 metri dalle sue sponde, è sottoposta a vincolo paesaggistico, come se si trattasse di un’area di pregio naturalistico e non di una piccola area verde cittadina» spiega Pagliai. «ad esempio un’impresa edile stava già lavorando alla trasformazione di un immobile nella fascia di rispetto. Prima del Pit questi lavori erano pienamente legittimi, ma in stato avanzato dei lavori si è reso necessario chiedere una nuova autorizzazione paesaggistica coi lavori in via di completamento. Così, in attesa di capire come muoversi, il cantiere si è fermato».
Verificare, assicurare e certificare la conformità al Pit. Ecco che cosa dovrà fare il professionista che sovrintende a tutto il processo edilizio. «Questo non significa, per fortuna, nuova e ulteriore burocrazia, ma nuove competenze da acquisire per presentare una relazione tecnica esauriente» prosegue Pagliai. «Il rischio che la Toscana sta correndo è il deposito di pratiche edilizie illegittime carenti sul profilo paesaggistico da un lato, e di scoraggiare nuovi investimenti paralizzando così il settore edilizio dall’altro».
La situazione potrebbe essere ulteriormente aggravata se dovesse essere accolta la questione di illegittimità costituzionale, sollevata dal Governo Renzi contro gli articoli della legge urbanistica toscana 65/2014 riguardanti la legittimazione urbanistica degli abusi edilizi realizzati prima del 1967 e che si pongono in contrasto col regime sanzionatorio penale di competenza statale. Mentre quest’ultima non prevede distinzioni per epoca e localizzazione degli abusi, la Toscana adotta un atteggiamento più “morbido” basato su un articolato sistema di sanzioni.
Il 20 ottobre avrà inizio la discussione presso la Corte Costituzionale. «Se, come pare molto probabile, la norma Toscana dovesse essere ritenuta incostituzionale, le conseguenze potrebbero essere dirompenti» ipotizza Pagliai «Perché nel frattempo quegli immobili potrebbero essere stati venduti o trasformati attenendosi a quegli stessi principi».
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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