La Giunta comunale approva i piani attuativi qualora compatibili con lo strumento urbanistico generale vigente, il Consiglio Comunale quando comporta variante ad esso.
Il disegno urbanistico rispecchia l’organizzazione edilizia e lo sviluppo socio-economico del territorio.
Sicuramente ti sarai scontrato con scelte gestionali e discrezionali adottate dal Comune, che vanno a limitare gli interessi di altre persone.
Tra i più classici esempi troviamo l’istituzione della Zona a Traffico Limitato (ZTL) oppure un esproprio per realizzare un parcheggio pubblico.
In ogni caso, si parla sempre di scelte effettuate da una Pubblica Amministrazione verso una collettività.
Il fulcro centrale che agita da decenni il dibattito è il seguente:
Quali limiti decisionali può avere un Comune col Piano Regolatore Generale?
La pianificazione territoriale utilizza alcuni strumenti urbanistici, primo tra tutti il P.R.G., e in quanto strumento decisionale deve bilanciare interessi pubblici con quelli privati.
A mio avviso, gli interessi pubblici, possono riassumersi:
- sviluppo di un ordinato assetto del territorio;
- gestione e sviluppo delle infrastrutture e spazi pubblici;
- tutela degli aspetti igienico sanitari;
- qualità della vita insediativa e adeguata dotazione di standard;
- sviluppo socio-economico e attività produttive;
- salvaguardia degli aspetti qualitativi e dei valori come paesaggio, storica, cultura
- eccetera;
Gli interessi privati, invece:
- massimizzare la rendita fondiaria;
- edificare o incrementare il diritto edificatorio;
- tutelarsi nei confronti di altri soggetti privati e verso la P.A.
- contenere la compressione dei propri diritti soggettivi e di proprietà privata;
- effettuare investimenti immobiliari, contenendo i prelievi tributari;
Comparando questi interessi contrapposti, a volte perfino in contrasto, è necessario capire quali siano gli attuali confini entro i quali può muoversi la Pianificazione territoriale del Comune. Per questo, riprendo a piene mani principi e concetti consolidati dalla giurisprudenza, aggiungendo note e commenti.
Le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cons. di Stato n. 8631/2019, n. 6484/2018, n. 6436/2019).
Il Comune possiede quindi ampi margini di scelta, ma ecco apparire un paio di limiti:
- errori di fatto;
- illogicità rilevanti;
In altre parole la disciplina del territorio comunale non ha “carta bianca”, ma deve rispettare comunque alcuni aspetti oggettivi.
La pianificazione territoriale del Comune va considerata come espressione di un ampio potere, connesso al Governo del territorio previsto dall’art. 117 comma 3 della Costituzione.
Tale potere si esplica non solo nella individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale e alla disciplina della edificazione dei suoli (zoning, ndr), ma in tutte le modalità di utilizzo delle aree, nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati. Tali finalità complessive dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, che ha individuato all’art. 1 contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” , non solo nell’assetto ed incremento edilizio dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica“; in definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo (Consiglio di Stato n. 821/2017; n. 3314/2018).
Dalla suddette sentenze traspare un altro interessante principio: le limitazioni urbanistiche avanzate dal Comune devono comunque contemperare esigenze di ordinato assetto ambientale e del territorio (interessi generali imperativi) senza tuttavia comprimere gli aspetti economici e la libera attività d’impresa senza contrastarne l’utilità sociale.
L’urbanistica non gestisce soltanto le volumetrie edificabili
In sostanza, la disciplina urbanistica e l’esercizio del potere di pianificazione non hanno valore minimale di coordinare potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà.
Al contrario, l’urbanistica va intesa come una disciplina complessa dove i vari enti partecipano all’organizzazione e sviluppo armonico del territorio.
Con questo motivo trova giustificazione pure l’integrazione coi diversi vincoli, senza perdere di vista finalità di valorizzazione e protezione del bene tutelato dal vincolo (Cons. Stato n. 7839/2019).
La disciplina urbanistica vorrei definirla come un processo decisionale basato sulla contemperazione di interessi contrapposti pubblico-privato.
Contemperare questi interessi significa valutare entrambi per stabilire un compromesso soddisfacente per entrambe le parti, nel rispetto della scala dei valori costituzionalmente garantiti. Ma ogni scelta pianificatoria consiste nell’individuare una sorta di linea di confine. E questo tipo di scelta non può avvenire in maniera certa e semplice.
L’urbanistica è una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze: esse devono rispondere a criteri di ragionevolezza, il cui sindacato va compiuto dal giudice amministrativo in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, ab externo nei limiti della abnormità. (Cons. di Stato n. 2031/2017, n. 2255/2017).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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