Cassazione Penale conferma limiti e condizioni per realizzare pergotenda, vietando creazione di spazi chiusi
La copertura del resede può avvenire in maniera permeabile rispettando gli strumenti urbanistici comunali
Molte costruzioni sono dotate di resedi esclusivi oppure a comune, e per resede si intente una porzione di area circostante all’edificio stesso.
Pensiamo ad esempio al piccolo giardinetto situato di fronte e retro alle villette a schiera. Questi piccoli fazzoletti di terra possono presentare alcune criticità d’utilizzo per gli abitanti, come:
- ristagno di acque piovane, con tutte le conseguenza;
- crescita di erba;
- irregolarità del fondo per allocarvi autovettore;
- esigenza di un area pianeggiante per collocarvi gazebo, pergolato e fare barbecue;
- ecc.
Per questi motivi i proprietari, spesso si “stufano” di utilizzare le pavimentazioni drenanti e finiscono per scegliere di pavimentare queste piccole aree con altre tipologie e materiali.
Esistono svariate modalità per realizzare pavimentazioni esterne sulle aree scoperte, che si possono sintetizzare in questi principali gruppi:
- con sottostante soletta di calcestruzzo o sottofondi rigidi;
- con sottostanti sistemi a materassini o prestampati plastici;
- con sottostanti sistemi drenanti o letti di sabbia e ghiaia;
- semplicemente appoggiando gli elementi al suolo;
Le Regioni da alcuni decenni hanno disciplinato questi interventi per contrastare l’impermeabilizzazione dei suoli
La cosiddetta “cementificazione” delle aree urbane e agricole è un fenomeno che ha creato effetti negativi come l’eccessivo aumento del deflusso acque superficiali. Usando altre parole, l’aumento di aree impermeabilizzate comporta una maggiore quantità di acqua da smaltire per i sistemi fognari, e per il reticolo idrografico.
Per questo da anni le politiche di pianificazione territoriale stanno contrastando gli interventi di impermeabilizzazione dei suoli. Anche quelli apparentemente piccoli.
Le norme regionali hanno introdotto da tempo limiti e indici di permeabilità, in certi casi differenziandoli per zone territoriali; di fatto molti strumenti urbanistici e Piano Regolatori comunali hanno introdotto la possibilità di realizzare pavimentazioni esterne tramite “autobloccanti”, considerati in tutto o in parte permeabili. La condizione per essere considerati tali in genere è la realizzazione su letti di sabbia.
Tuttavia l’esperienza ci insegna che quest’ultimo tipo di pavimentazione esterna non sia proprio soddisfacente, in quanto nel lungo periodo si possono formare:
- avvallamenti e irregolarità di piano;
- erosione o cedimenti delle fughe;
- compattazione delle fughe da polveri sottili (impermeabilizzazione);
- ecc.
Questi inconveniente spingono i committenti a preferire sistemi rigidi e che garantiscano durabilità nel tempo, a fronte di poca manutenzione. Pertanto optano per quelli che comportano impermeabilizzazione del suolo.
Inutile rimarcare che interventi di copertura permanente del suolo costituiscano trasformazione permanente del suolo, e pertanto soggetti a Permesso di Costruire. Per dettagli rinvio a questo approfondimento.
Il Testo Unico per l’Edilizia disciplina le pavimentazioni di spazi esterni.
E ciò avviene alla luce delle modifiche apportate dal D.Lgs. 222/2016, che vanno esaminate con molta attenzione in base ai riferimenti giurisprudenziali che seguono.
L’art. 6 comma 1 del D.P.R. 380/01 prevede ad oggi una apposita categoria di intervento per pavimentazioni esterne, e rientra nell’attività edilizia libera.
Alt! Prima di proseguire ci tengo a ricordare che, come ogni attività libera, è sempre fatta salva ogni prescrizione prevista dagli Strumenti urbanistici e Piani Regolatori comunali, e da tutte le normative aventi incidenza edilizia e urbanistica (es. vedi norme regionali).
Detto questo, la categoria d’intervento di pavimentazione esterna è la seguente:
e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati;
Emerge chiaramente una condizione essenziale: il rispetto dell’indice di permeabilità, qualora previsto dallo strumento urbanistico comunale (Piano Regolatore, per capirsi).
In caso di sua assenza, ritengo non sia consentito effettuarle in edilizia libera, a maggior ragione in assenza di una apposita disciplina regionale.
Esiste un limite connesso alla localizzazione di queste opere?
Nel contenuto letterale del Testo Unico Edilizia dPR 380/01 non risulta indicata una limitazione, vedasi il predetto art. 6 c.1 lettera e-ter); invece nella versione contenuta nel Glossario Edilizia Libera 2018 (sopravvenuto alle modifiche apportate nel TUE dal D.Lgs. 222/2016) nella relativa categoria della voce n. 40 capeggia il titolo “Pavimentazione di aree pertinenziali”.
Essendo sopravvenuto il Glossario, ritengo si debba considerarlo prevalente rispetto alla omologa versione nel TUE art. 6 c.1 lett. e-ter).
La cosa strana, passatemi il termine, è appunto il riferimento alle aree pertinenziali (di edifici) contenuta nel titolo della norma, e non anche nella descrizione testuale delle voci correlate nella categoria.
Se però vogliamo trovare un senso e una coerenza di validità limitata alle aree pertinenziali (di edifici), potremmo individuarla nel contenimento della cementificazione dei suoli delle aree urbanizzate o edificate. E’ una interpretazione personale, restrittiva ma anche difendibile nella crescente ottica di contrasto al consumo di solo.
Esistono limiti dimensionali nel pavimentare uno spazio esterno?
A quanto pare sì, ma non sono definiti nel dettaglio. La giurisprudenza amministrativa indica un costante orientamento:
gli interventi di pavimentazione esterna, anche ove contenuti entro i limiti di permeabilità del fondo, sono realizzabili in regime di edilizia libera soltanto laddove presentino una entità minima, sia in termini assoluti, che in rapporto al contesto in cui si collocano e all’edificio cui accedono. Solo in presenza di queste condizioni tali opere possono infatti ritenersi realmente irrilevanti dal punto di vista urbanistico ed edilizio, e quindi sottratte al controllo operato dal Comune attraverso il titolo edilizio (T.A.R. Milano n. 2049/2018; T.A.R. Puglia n. 257/2020).
Da questo principio emerge chiaramente come l’intervento di pavimentazione esterna, ancorché compiuto nel rispetto degli indici di permeabilità, occorre svolgere una valutazione in base all’ambito in cui si opera. Ovverosia, occorre valutare caso per caso e in maniera relativa.
Ritengo sia calzante questo passaggio estratto dalla sentenza del T.A.R. Milano n. 2049/2018:
In ogni caso, le previsioni dell’articolo 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 sono da ritenere di stretta interpretazione, in quanto dirette ad affermare l’irrilevanza urbanistica ed edilizia delle opere in essi contemplate, con la conseguente sottrazione alla regola del regime di controllo pubblico sugli interventi edilizi. Ne deriva che le opere indicate possono ritenersi effettivamente rientranti nel perimetro di applicazione della previsione normativa soltanto laddove, per le loro caratteristiche in concreto, siano del tutto inidonee a influire in modo rilevante sullo stato dei luoghi, e quindi non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
In questa prospettiva, deve escludersi che, nell’assoggettare al regime di edilizia libera la realizzazione di interventi di pavimentazione di spazi esterni, entro i prescritti limiti di permeabilità del fondo, il legislatore abbia inteso consentire la facoltà di coprire liberamente e senza alcun titolo qualunque estensione di suolo inedificato, salvo soltanto il rispetto di tali limiti. E ciò in quanto la pavimentazione di aree esterne:
(i) è di per sé idonea a trasformare permanentemente porzioni di suolo inedificato;
(ii) riduce la superficie filtrante, con la conseguenza che – anche se contenuta nei prescritti limiti di permeabilità – incide comunque sul regime del deflusso delle acque dal terreno;
(iii) è percepibile esteriormente, per cui presenta una potenziale rilevanza sotto il profilo dell’inserimento delle opere nel contesto urbano;
(iv) determina la creazione di una superficie utile, benché non di nuova volumetria.
In estrema sintesi, non sono definiti in maniera chiara i confini dimensionali entro i quali sia attività edilizia libera la pavimentazione esterna, ancorché rispettando gli indici di permeabilità.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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