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Il rilascio del parere per l’autorizzazione paesaggistica è divenuto vincolante col D.Lgs. 63/2008

Ci sono diverse correnti giurisprudenziali sui pareri rilasciati tardivamente 

Da allora il Codice dei Beni culturali, tenuto conto del contestuale regime transitorio introdotto, attribuisce al parere preventivo della Soprintendenza natura vincolante (art. 146, comma 5).

Dopo tale innovazione la soprintendenza esercita sull’atto autorizzativo non più un operazione di semplice legittimità (come previsto dall’art. 159 del citato D. Lgs. n. 42/04 nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009), con correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo, ma una valutazione di merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico (Consiglio di Stato VI n. 2262/2017, Consiglio di Stato VI 4 giugno 2015 n. 2751).

Tuttavia, se la valutazione discrezionale della soprintendenza attiene al merito amministrativo, i poteri sindacatori attribuiti al giudice amministrativo permangono di mera legittimità, con la conseguenza che il parere vincolante della soprintendenza può essere censurato soltanto nel caso in cui la decisione amministrativa sia stata:

  • incoerente
  • irragionevole
  • frutto di errore tecnico
  • incoerenza
  • irragionevolezza
  • errori tecnici (Consiglio di Stato VI n. 2262/2017, Cons. St., IV, 6 ottobre 2001, n. 5287).

Il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica richiede il parere vincolante della Soprintendenza.

Più dettagliatamente, l’attuale art. 146 del Codice dei beni culturali dispone l’obbligo di ottenere l’autorizzazione paesaggistica per interventi edilizi su beni tutelati dalla terza parte del Codice, quindi prettamente sottoposti ai vincoli di notevole interesse pubblico ex art. 136 e “galassini” ex art. 142 del Codice, inquadrati nel relativo piano paesaggistico regionale.

Ciò avviene oggi anche alla luce della recente riforma di semplificazione procedimentale sull’Autorizzazione Paesaggistica introdotta col DPR 31/2017.

Il soprintendente esprime il parere limitatamente alla compatibilità paesaggistica dell’intervento progettuale nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifica disciplina dei vincoli di notevole interesse pubblico (art. 146 c.8 del Codice).

Dopo tale ricezione, può essere rilasciato il tanto agognato provvedimento, che diviene a sua volta presupposto autonomo rispetto a quello del profilo edilizio.

Parere vincolante negativo dalla soprintendenza entro i termini

In caso di parere negativo emesso dalla soprintendenza entro il termine di legge, ovvero 45 giorni dalla ricezione degli atti su cui esprimersi, tale notizia deve essere comunicata tempestivamente al richiedente interessato. Entro venti giorni dalla ricezione del parere, l’amministrazione provvede in conformità, cioè comunica e ribadisce il parere negativo.

Il parere è volto a tutelare i valori e obbiettivi del vincolo paesaggistica, un vincolo di natura relativa, e non assoluta, in quanto non comporta di per sé l’inedificabilità del fondo, ma semplicemente la sottopone ad un controllo più intenso rispetto al normale regime edilizio (Cons. di Stato VI n. 2968/2017).

Detto ciò, è evidente che il parere della Soprintendenza espresso ai sensi delle norme descritte deve essere congruamente motivato.

Al cittadino deve essere reso un parere adeguatamente motivato per consentire scelte di rinuncia, conformazione o variazione

In particolare il Consiglio di Stato ha ritenuto che, ove l’area interessata non sia inedificabile, il parere negativo non si può limitare ad un giudizio di segno negativo, ma debba rendere esplicite le effettive ragioni di contrasto tra l’intervento progettato ed i valori paesaggistici oggetto della tutela, e in particolare spiegare con quale tipo di accorgimento tecnico o di modifica progettuale l’intervento potrebbe essere invece assentito (Cons. di Stato VI n. 2968/2017, Cons. di Stato VI  n. 1418/2014, n. 6149/2014).

In altre parole, di fronte ad un parere negativo, il privato cittadino deve avere la possibilità di capire cosa, nell’intervento da lui proposto, è accettabile e cosa viceversa è inaccettabile, in modo da poter scegliere se rinunciare alla propria iniziativa, ovvero realizzarla conformandosi al volere dell’amministrazione. Diversamente qualunque vincolo paesaggistico non si differenzierebbe, nei risultati ultimi, da un vincolo di inedificabilità assoluta, imposto oltretutto senza indennizzo (Cons. di Stato VI n. 2968/2017, Cons. di Stato VI  n. 1418/2014, n. 6149/2014).

E’ poi di tutta evidenza che un sindacato di questo tipo non rappresenta affatto un’invasione da parte del Giudice della sfera del merito riservata all’amministrazione, ma semplicemente l’applicazione alla materia dei principi pacifici in tema di eccesso di potere, secondo i quali l’atto deve essere motivato in modo da rendere ricostruibile il percorso logico da esso seguito e deve basarsi su un corretto e completo apprezzamento della realtà di fatto sulla quale dispone (Cons. di Stato VI n. 2968/2017, Cons. di Stato VI  n. 1418/2014, n. 6149/2014).

Parere negativo tardivo oltre il termine di 45 giorni, come comportarsi

Molto controversa la questione del parere della Soprintendenza emesso dopo il termine procedimentale scaduto, sopratutto se negativo nei confronti della richiesta di trasformazione edilizia.

Si arriva infatti ad un contrasto o vuoto normativo, che come al solito spetta alla giurisprudenza provvederne a colmare.

Si presentano tre diverse correnti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 2015, n. 4927) relative all’intervenuta decorrenza del termine che ritengono:

  1. concluso l’iter generale per intervenuta consumazione il potere di esprimere un qualunque parere di qualsiasi carattere;
  2. conclusa la sola possibilità di far emanare qualunque tipo di parere alla soprintendenza, diventando praticamente un silenzio assenso;
  3. aperta la possibilità di far rendere un parere della soprintendenza senza carattere vincolante, diventando esso un atto da valutarsi autonomamente dalla PA deputata ad emanare l’autorizzazione paesaggistica (Regione o enti delegati).

Tra i tre orientamenti sembra prevalere il terzo (prudenza, attenzione!), convalidando la tesi che il parere reso tardivamente dalla soprintendenza è liberamente valutabile dal Comune e perde, insieme con la propria efficacia vincolante, valenza di arresto procedimentale, assumendo connotazione strumentale rispetto al provvedimento comunale conclusivo del procedimento.

Tale impostazione, se comparata alla normativa sopravvenuta in regime amministrativo tra enti pubblici (art. 3 L. 124/2015), risulterebbe coerente con quanto disciplinato dall’art. 146 del Codice e sulla procedura inerente il parere vincolante, tenuto conto del nuovo principio di “silenzio assenso tra PA” e di certezza nei procedimenti, volta ad evitare disagi verso il cittadino per inadempimento dell’attività amministrativa pubblica.

Depone in tal senso il primo periodo del comma 9 del richiamato articolo 146 secondo cui “decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto”.

Sussiste, quindi, un univoco indice normativo secondo cui, a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l’espressione del parere vincolante (rectius: conforme) da parte della Soprintendenza, l’Organo statale non resti in assoluto privato della possibilità di rendere un parere; tuttavia il parere in tal modo espresso perderà il proprio valore vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo (Cons. Stato IV 9 febbraio 2016 n. 517, Cons. di Stato n. 2136 del 2015, n. 04927/2015).

Del resto, una lettura in senso sistematico del combinato disposto dei commi 8, 9 e 10 rende piuttosto evidente l’esistenza di un ordito normativo volto a configurare, in tema di rilascio dell’autorizzazione ai fini paesaggistici, una sorta di atteggiamento inverso per ciò che riguarda la possibilità per l’Organo statale di incidere attraverso l’espressione del proprio parere sugli esiti della vicenda autorizzatoria (Cons. di Stato n. 04927/2015).

In tale ipotesi si verrebbe a concretizzare la seguente scaletta temporale:

  • prima fase: si esaurisce con il decorso del termine di quarantacinque giorni, l’Organo statale può, nella pienezza dei suoi poteri di cogestione del vincolo, emanare un parere vincolante dal quale l’amministrazione deputata all’adozione dell’autorizzazione finale non potrà discostarsi (comma 8);
  • seconda fase: una volta decorso inutilmente il suddetto termine senza che la Soprintendenza abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione procedente (Regione o PA delegata) può indire una conferenza di servizi nel cui ambito – per le ragioni dinanzi esposte – l’Organo statale, pur se non privato in assoluto del potere di esprimersi, potrà soltanto emanare un parere che l’amministrazione procedente avrà l’onere di valutare in modo autonomo;
  • terza fase: laddove poi l’inerzia della Soprintendenza si protragga ulteriormente oltre il termine di sessanta giorni da quello della ricezione della documentazione completa, “l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione” (comma 9, terzo periodo). In tal modo il Legislatore rende chiaro che l’ulteriore, ingiustificabile decorso del tempo legittima l’amministrazione competente all’adozione dell’autorizzazione prescindendo in radice dal parere della Soprintendenza (il quale, evidentemente, viene così a perdere il proprio carattere di obbligatorietà e vincolatività).

Questi i termini impostati nella giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato IV 9 febbraio 2016 n. 517, Cons. di Stato n. 2136 del 2015, n. 04927/2015).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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