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L’ingiunzione alla rimessa in pristino vale anche verso chi acquista in buona fede

Prendiamo il caso trattato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 655/2024, in cui il Comune ha notificato al proprietario del fabbricato un provvedimento demolitorio, in quanto accertata l’assenza del permesso di costruire. Il proprietario ha fatto ricorso al TAR contro l’ordine di demolizione, motivando anche di aver acquistato l’immobile nel 2007 nello stato di fatto in cui si trovata e confidando nella piena regolarità della costruzione.

Intanto per costante giurisprudenza del Consiglio di Stato l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è supportata da un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (ex multis, Cons. di Stato n. 4319/2021).

Tra l’altro, l’immobile era già stato sottoposto a sequestro nel 2010 ai sensi dell’articolo 321 del Codice di Procedura Penale, onde evitare l’aggravamento e il protrarsi del reato edilizio; e come si sa, il sequestro dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di demolizione.

Quando l’immobile abusivo è sottoposto a sequestro penale, il termine per l’ottemperanza all’ordine di demolizione non decorre fino a che tale misura cautelare non sia venuta meno e il bene ritornato nella disponibilità del privato, di talché, il formale accertamento dell’inottemperanza deve fare riferimento al mancato adempimento dell’ingiunzione demolitoria decorsi novanta giorni dal dissequestro dell’immobile.

Premesso tutto ciò il ricorso al Consiglio di Stato è stato respinto, non cogliendo la motivazione dell’avvenuto acquisto in buona fede, infatti:

L’art. 31, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 380/2001 individua quali destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa ma congiunta, il proprietario e il responsabile dell’abuso; di conseguenza l’ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario dell’immobile anche se egli non è responsabile della realizzazione dell’opera abusiva, in quanto gli abusi edilizi integrano illeciti permanenti sanzionati in via ripristinatoria, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa o dall’eventuale stato di buona fede del proprietario rispetto alla commissione dell’illecito. Né soccorre, al fine di addivenire a differenti conclusioni, la circostanza che l’acquisto della proprietà dell’immobile sia avvenuto in buona fede, dovendosi escludere nella fattispecie l’applicazione dei principi di tutela dell’affidamento e di colpevolezza invocati dagli appellanti. La sopra indicata disposizione del d.P.R. n. 380 del 2001 individua, infatti, chiaramente il proprietario come destinatario dell’ordine di demolizione a prescindere dalla sua responsabilità nella realizzazione dell’abuso, coerentemente con il carattere ripristinatorio e non sanzionatorio dell’ordine di demolizione, che non presuppone un previo accertamento di responsabilità, a differenza della successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale

Né soccorre, al fine di addivenire a differenti conclusioni, la circostanza che l’acquisto della proprietà dell’immobile sia avvenuto in buona fede, dovendosi escludere nella fattispecie l’applicazione dei principi di tutela dell’affidamento e di colpevolezza invocati dagli appellanti.

Sennò per aggirare il problema sarebbe sufficiente la compravendita dell’immobile abusivo, successivamente alla perpetrazione dell’abuso, per eludere le esigenze di tutela dell’ordinato sviluppo urbanistico, del “governo del territorio” e dell’ambiente che sono sottese all’ordine di rimozione.

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La disposizione dell’articolo 31 d.P.R. 380/2001 individua, infatti, chiaramente il proprietario come destinatario dell’ordine di demolizione a prescindere dalla sua responsabilità nella realizzazione dell’abuso, coerentemente con il carattere ripristinatorio e non sanzionatorio dell’ordine di demolizione, che non presuppone un previo accertamento di responsabilità, a differenza della successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale (cfr. Consiglio di Stato sez. VII, 09/01/2023, n. 237: “La demolizione di un abuso edilizio va ingiunta all’attuale proprietario dell’immobile non a titolo di responsabilità effettiva, bensì per il suo rapporto materiale con il manufatto, essendo finalizzata a colpire una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica, nonché a ripristinare l’ordine urbanistico violato. L’abusività, infatti, configura una caratteristica di natura reale, che segue l’immobile anche nei suoi successivi trasferimenti, con la conseguenza che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso edilizio”).

Posso citare, in senso contrario e molto particolare, una isolata e lontana sentenza del Consiglio di Stato n. 3933/2015, ovvero un orientamento di cui non emergono recenti conferme, in cui esclude l’applicazione delle sanzioni amministrative in edilizia adottate nei confronti dei successivi proprietari quando sia pacifico lo stato di buona fede del privato:

  • che l’acquirente ed attuale proprietario del manufatto, destinatario del provvedimento di rimozione non è responsabile dell’abuso;
  • che l’alienazione non sia avvenuta al solo fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi;
  • che tra la realizzazione dell’abuso, il successivo acquisto, e più ancora, l’esercizio da parte dell’autorità dei poteri repressivi sia intercorso un lasso temporale ampio.

Ripeto: tale possibilità è stato un caso isolato, mentre la giurisprudenza amministrativa si è consolidata nell’escludere ogni ipotesi di buona fede e legittimo affidamento.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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