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struttura scheletro in cemento armato

Adunanza plenaria interpreta effetti decadenziali del permesso di costruire per mancato completamento

Il Consiglio di Stato ha affrontato con Adunanza plenaria n. 14/2024 il tema del mancato completamento di un edificio nei termini previsti dal permesso di costruire rilasciato.

Effettivamente si è correttamente posto il problema per quelle situazioni di “scheletri” strutturali di edifici incompleti, che a volte possono restare in questo stato per molti anni. Ed ecco perchè è stato sollevato l’interrogativo se sia legittimo mantenerli in opera in condizioni non ultimate una volta decaduta l’efficacia del permesso di costruire per decorrenza del triennio di validità.

Spoiler: in caso di opere incomplete (sopratutto sostanzialmente) col permesso, si corre il rischio di vedersi contestare l’abuso di totale difformità e di dover fare una sanatoria, ove possibile, per poter riprendere i lavori con un altro permesso.

Nell’articolo 15 D.P.R. 380/01 è prevista espressamente la possibilità di ultimare l’edificio con ulteriore titolo, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. L’efficacia del permesso di costruire decade, infatti, con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche; nondimeno, il comma 4 dell’art. 15 ha introdotto una deroga al principio di decadenza, nel caso dei lavori assentiti dal permesso di costruire, già cominciati e completati entro il termine di tre anni dalla data del loro inizio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 3283/2017).

Il dubbio interpretativo sul mancato completamento entro i termini del P.d.C.

La questione è stata deferita all’Adunanza plenaria dal Consiglio di Stato con sentenza non definitiva 2228/2024, per i dubbi interpretativi circa la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo abilitativo decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio.

Si tratta di casistiche in cui un intervento complessivo, come la realizzazione di un edificio, viene autorizzato con permesso di costruire senza tuttavia giungere al completamento nel termine triennale decorrente dall’inizio dei lavori.

All’Adunanza plenaria è stato sottoposto il seguente quesito:

“quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio”.

Il dubbio riguardante il mancato completamento e il regime giuridico valevole anche per quanto parzialmente compiuto, entro il termine triennale del permesso, oggetto di deferimento, porta a due scenari contrapposti:

  1. opere ancora da completare possono essere autorizzate con nuovo titolo abilitativo, restando legittimate quelle parzialmente compiute; una eventuale decadenza del titolo edilizio per mancata ultimazione dei lavori nel termine triennale non consentirebbe la demolizione del manufatto, operando l’effetto decadenziale ex nunc e lasciando, pertanto, salve le opere a tale data già realizzate: Invero, in una corretta interpretazione dell’articolo 15 del DPR n. 380/2001, la decadenza impedisce solo l’ulteriore corso dei lavori ma non determina illeceità urbanistica di quanto già realizzato nella vigenza del titolo edificatorio.(Cons. di Stato n. 8605/2019);
  2. opere ancora da completare, e illegittima permanenza dell’opera parzialmente incompiuta: la possibilità di abbandonare l’opera incompiuta, soprattutto se funzionalmente non autonoma, comporterebbe un ingiustificato deturpamento del contesto circostante, o perfino in contrasto con la disciplina e strumentazione urbanistica sopravvenuta, portando criticità circa l’applicazione del regime sanzionatorio e repressivo quando all’opera parzialmente eseguita non faccia seguito il completamento dei lavori con nuovo titolo abilitativo. Infatti non è risultato irragionevole qualificare l’opera parzialmente incompiuta come ad opere eseguite senza titolo abilitativo o in difformità da esso, precludendone il mantenimento.

L’attuale consolidata giurisprudenza amministrativa afferma che la decadenza dal titolo edilizio per mancata ultimazione dei lavori nei termini – cioè per fatto imputabile al titolare e relativo alle modalità di utilizzo /inutilizzo del titolo – ha efficacia ex nunc e non ex tunc e quindi non implica l’obbligo di disporre la demolizione delle opere realizzate nel periodo di validità del titolo edilizio (le quali, perciò, non possono essere ritenute abusive) – ove queste risultino conformi al progetto approvato con il permesso di costruire – ma comporta semplicemente la necessità, per il titolare decaduto, di chiedere un nuovo permesso per l’esecuzione delle opere non ancora ultimate; in mancanza di proroga o rinnovo del titolo, gli interventi effettuati successivamente alla decadenza del titolo risultano abusivi, il che comporta la legittimità dell’ordine di demolizione solo per quanto realizzato successivamente all’intervenuta decadenza, ma non per quanto realizzato in precedenza (Consiglio di Stato n. 2228/2024, n. 5258/2022, n. 1377/2021, n. 5588/2019).

Le motivazioni avanzate dall’Adunanza Plenaria 14/2024

L’Adunanza plenaria 14/2024 ha affermato che la ‘totale difformità’ si verifica non solo in caso di ampliamento non autorizzato, ma anche nel caso di mancato completamento della costruzione e vi sia un aliud pro alio.

L’art. 31 del Testo Unico Edilizia sanziona allo stesso modo le ipotesi di edificazione in assenza del permesso di costruire con le ipotesi dell’edificazione in totale difformità o con variazioni essenziali, provvedendo a disciplinare le singole fattispecie, equiparando la carenza del titolo edificatorio con la totale difformità del bene edificato con quello autorizzato.

Ammettere che a seguito della decadenza possano in ogni caso restare in loco le ‘opere incompiute’ significherebbe riconoscere che il titolare del permesso di costruire avrebbe il ‘diritto di non completare l’opera’ e di lasciarla incompiuta e funzionalmente non autonoma, con ingiustificato deturpamento del contesto circostante.

Il permesso di costruire consente di realizzare solo l’opera descritta nel progetto e avente caratteristiche fisiche e funzionali ben determinate: l’abuso per totale difformità sussiste nel caso di realizzazione di “un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche e planivolumetriche”.

Ciò è ravvisabile quando il manufatto sia stato parzialmente edificato con il cd. ‘scheletro’ e anche quando sia oggettivamente diverso rispetto a quello progettato, dovendosi un’opera qualificare abusiva per totale difformità ogni qual volta il risultato finale consista in una struttura che non è riferibile a quella assentita.

Nei casi di ‘divergenza tra consentito e realizzato’ rientra il “non finito architettonico”, il quale è ravvisabile quando le opere realizzate sono incomplete strutturalmente e funzionalmente, tanto da far individuare un manufatto diverso da quello autorizzato, oppure quando vi è stata la modifica dello stato dei luoghi con la realizzazione di un quid che neppure consenta di ravvisare un ‘volume’.

Ne consegue che sussiste il fondamento normativo per disporre la restituzione in pristino – in caso di decadenza del permesso di costruire – qualora siano state eseguite solo opere parziali, non riconducibili al progetto approvato sotto il profilo strutturale e funzionale.

Se non sono completate, e neppure possono esserle, in quanto non può essere rilasciato un nuovo permesso di costruire, il mancato completamento – e cioè la cd opera incompiuta – comporta di per sé un degrado ambientale e paesaggistico.

In altri termini, rileva un principio di simmetria, per il quale, così come l’Amministrazione non può di certo rilasciare un permesso per realizzare uno ‘scheletro’ o parte di esso (titolo che di certo non è consentito dalla legislazione vigente) o una struttura di per sé non abitabile per assenza di solai o tamponature, scale o tetto o di elementi portanti, corrispondentemente l’Amministrazione deve ordinare la rimozione dello ‘scheletro’, che risulti esistente in conseguenza della decadenza del permesso di costruire.

Non tutto quanto è stato lecitamente realizzato può dunque essere mantenuto in loco: va rimosso quanto è stato realizzato, in difformità (anche in minus) da quanto è stato assentito

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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