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Il Comune deve svolgere istruttoria completa per accertare tutti i presupposti per rilasciare il provvedimento

Nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2856/2024 la fattispecie riguarda l’esercizio del potere di annullamento in autotutela verso una concessione edilizia in sanatoria rilasciata col Terzo condono edilizio (L. 326/2003): in merito all’addizione volumetrica effettuata con chiusura di terrazza, rispetto ad altro edificio frontistante, sarebbe avvenuta in violazione della distanza minima di 10 metri (art. 9 D.M. 1444/68). Tale distanza non risultava essere stata riportata nella istanza di Condono edilizio, cioè senza indicare che il proprio edificio fosse situato a distanza inferiore a dieci metri rispetto all’altro edificio.

Il procedimento di annullamento della concessione edilizia in sanatoria è stato avviato ben oltre i diciotto mesi dal rilascio ai sensi dell’articolo 21-nonies c.2-bis L. 241/90, e il T.A.R. Firenze n. 738/2021 aveva ritenuto che sussistessero i presupposti anche temporali per l’annullamento in autotutela del Comune in quanto:

  • anche l’omessa indicazione di un elemento essenziale ai fini della corretta valutazione della domanda di rilascio di un titolo edilizio (segnatamente, il dato della distanza esistente tra gli edifici) può equivalere alla falsa rappresentazione dello stato dei luoghi che consente di prescindere dal rispetto del termine di diciotto mesi per la rimozione in autotutela di un provvedimento viziato;
  • la presentazione di una pratica edilizia incompleta e carente di elementi essenziali esclude che in capo alla società richiedente il condono possa ingenerarsi un legittimo affidamento meritevole di tutela;
  • l’interesse di ordine pubblico sotteso all’art. 9 del D.M. 1444/1968 non può ritenersi soccombente rispetto ad una non meglio precisata esigenza di tutela dell’attività alberghiera e degli interessi collettivi di natura economica.

Al Consiglio di Stato alcuni punti invece vengono ribaltati, portando all’accoglimento parziale del ricorso.

L’omessa rappresentazione è diversa dalla falsa rappresentazione

L’articolo 21-nonies c.2-bis L. 241/90 consente alla P.A. la possibilità di esercitare il proprio potere di annullamento d’ufficio anche dopo i termini fissati (diciotto mesi, poi diventati dodici con D.L. 76/2020), nei confronti di “provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.

Lo scopo della norma è di evitare che si possano consolidare irreversibilmente gli effetti di provvedimenti illegittimi frutto della falsa rappresentazione dei fatti o di mendacio del privato, non essendo sussistente un legittimo affidamento del privato ed essendo prevalente l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata anche a distanza di tempo dall’adozione del provvedimento illegittimo.

Nella fattispecie, si può distinguere che l’omissione di un dato/informazione (distanza legale tra edifici) non equivalga a falsa rappresentazione.

Intanto bisogna premettere che:

Detto ciò, la nozione di “falsa rappresentazione” può anche configurarsi nell’omessa indicazione, da parte del privato, di un elemento essenziale per l’istruttoria che l’amministrazione deve svolgere. Tuttavia, deve trattarsi di una rappresentazione di fatti divergente dalla realtà (quindi falsa, o anche solo parziale) di cui l’amministrazione non possa avvedersi nel corso di un’ordinaria istruttoria e che disveli, pertanto, un intento fraudolento o malizioso del richiedente, come tale insuscettibile di ingenerare un affidamento meritevole di tutela. Il provvedimento, difatti, deve essere stato adottato “sulla base” della falsa rappresentazione dei fatti operata dal privato e, pertanto, occorre che tala falsità abbia un’incidenza determinante nell’adozione del provvedimento.

Tale aspetto non viene rilevato invece nella fattispecie trattata al Consiglio di Stato: nella propria istanza di condono il soggetto richiedente non ha operato una falsa rappresentazione della realtà, dal momento che la circostanza relativa alla distanza inferiore a 10 metri tra i due edifici era chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata.

Il Consiglio di Stato nella sentenza afferma che: A fronte di tale produzione documentale, sarebbe stato onere del comune svolgere un’istruttoria completa al fine di accertare la sussistenza dei presupposti per rilasciare il provvedimento di condono, non potendosi, di contro, addebitare l’eventuale illegittimità dello stesso ad una falsa rappresentazione dei fatti del privato. Di conseguenza, date le peculiarità del caso di specie, non sussistono i presupposti per adottare il provvedimento di annullamento d’ufficio oltre il termine di diciotto mesi fissato dall’art. 21 nonies cit. nella versione ratione temporis vigente.

Pertanto è da considerare interessante questa particolare sfumatura distintiva tra falsa rappresentazione e omessa rappresentazione della realtà.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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