Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
Le previsioni funzionali sul patrimonio edilizio esistente non possono espellere le attività insediate
Uno strumento urbanistico può revisionare il piano delle funzioni di un territorio, ma non può comportare l’espulsione e chiusura di quelle già in esercizio.
L’adozione e approvazione di uno strumento urbanistico generale (es. PRG, o PGT) è effettuata da una ampia potestà discrezionale da renderle perfino insindacabili nel merito, fatto salvo errori di fatto, formali, abnormità e irrazionalità (Consiglio di Stato IV n. 3292/2016).
L’attuale ordinamento giuridico consente e conferisce agli strumenti urbanistici generali la piena possibilità di effettuare verifiche e scelte sulla destinazione edificatoria pure riservate al potere discrezionale.
Esse devono raccordarsi alla più generale disciplina urbanistica e rivelarsi altresì satisfattive dell’interesse pubblico al corretto ed armonico sviluppo del territorio, conciliando le diverse esigenze della popolazione insediata (TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 374 del 15 marzo 2017, Consiglio di Stato IV n. 3292/2016).
Lo strumento urbanistico è lo strumento decisionale principe dello sviluppo territoriale
Il cambio di orientamento e di indirizzi politico sullo sviluppo e progresso del territorio fa parte delle politiche di esso, e pertanto rientra nella sfera di ampia discrezionalità tipica della ratio decisionale politica.
Le nuove strategie di trasformazione territoriale, propriamente adottate o approvato con strumento urbanistico generale, in un certo ambito territoriale possono essere migliorative e di sviluppo, ma anche conservative o peggiorative.
Pertanto, sono pienamente legittime anche le innovazioni o revisioni “peggiorative” (reformatio in peius), ed esse non richiedono una motivazione puntuale riferita all’ambito territoriale e neppure al singolo immobile o proprietà.
Ciò vale anche nei casi in cui la proprietà privata subisca riduzioni o cancellazioni delle facoltà edificatorie.
Ovviamente, ciò vale quando le decisioni politiche e pianificatorie non siano arbitrarie e che la nuova disciplina sia ragionevole nel suo complesso.
Quindi, le destinazioni introdotte ex novo dagli strumenti urbanistici non possono avere effetto espulsivo delle attività già insediate, mentre solo la riattivazione di un’attività rimasta sospesa per un lungo periodo di tempo non beneficia delle medesime tutele.
Anche se lo strumento urbanistico proposto può essere improntato a criteri ragionevoli (come l’allontanamento dal centro abitato delle industrie insalubri), l’uso del potere di pianificazione con finalità espulsive è sempre vietato, in quanto contrario ai principi generali della materia TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 374 del 15 marzo 2017).
Sono ammesse solo misure incentivanti, attraverso le quali la delocalizzazione è perseguita individuando soluzioni alternative praticabili, previo coinvolgimento degli interessati. Un esempio classico sono state le politiche di concentrazione delle attività produttive ad alto impatto nelle zone industriale o PIP.
Immobili con funzioni legittimate e difformi alle nuove previsioni resta impregiudicato il diritto al mantenimento
E’ vero che la pianificazione e programmazione urbanistica è caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella prospettiva di uno sviluppo ordinato e funzionale assetto del territorio comunale, ma è pur vero che le scelte pianificatorie devono pur sempre garantire un’imparziale ponderazione degli interessi coinvolti, dovendo l’amministrazione valutare attentamente se l’astratto miglioramento della situazione urbanistica generale si ponga in contrasto con rilevanti sacrifici di interessi, anche privati.
Gli strumenti urbanistici sono essenzialmente rivolti a:
- disciplinare la futura attività di trasformazione e di sviluppo del territorio;
- disciplinare il patrimonio edilizio esistente e le sue funzioni:
Quindi, salvo che non sia diversamente disposto, i nuovi limiti e le condizioni cui subordinano l’attività edilizia non incidono sugli immobili/attività esistenti e in esercizio in conformità alla disciplina previgente.
Gli immobili e attività esistenti conservano la loro destinazione e funziona legittimata dalla previgente disciplina, anche se difformi alle nuove prescrizioni.
Per essi resta assolutamente ferma la possibilità di effettuare gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzionalità (Consiglio di Stato, sez. V – 19/2/97 n. 176).
La programmazione urbanistica non può, in definitiva, introdurre misure espulsive degli insediamenti produttivi esistenti, neanche in via indiretta, in ossequio ai principi di corretta pianificazione che traspaiono dalla normativa di settore e che sono stati più volte evidenziati dalla giurisprudenza amministrativa.
Usando termini impropri, potremmo inquadrare ciò come un diritto acquisito alla sua permanenza.
Chiaramente, un discorso a parte merita il caso di esproprio retto da un nuovo interesse pubblico in grado di sovrastare quello privato del mantenimento di un immobile o insediamento preesistente.
Sono invece ammesse eventuali strategie di delocalizzazione, per non dire “espulsione”, di un attività o insediamento divenuto difforme alle nuove previsioni nel caso vi sia un percorso condiviso, concordato e ancora meglio se convenzionato con la parte titolare dell’interesse privato.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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