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A livello nazionale esiste solo il margine del 2% per parziali difformità dal Permesso di costruire.

La tolleranza di cantiere nelle costruzioni edilizie è cosa buona e giusta, meritevole di maggiore estensione applicativa.

In precedenza l’unica norma analoga era l’art. 32, comma 1 della Legge 47/85, e riguardava la sola applicazione[1] ai pareri delle Sovrintendenze per sanare gli abusi edilizi in aree sottoposte a vincolo, poi estesa a tutte le costruzioni a partire dal 2011 introducendo il comma 2-ter all’art. 34 del DPR 380/01.[2]

Esso specifica l’ambito dimensionale oltre il quale scattava o meno la parziale difformità edilizia rispetto al titolo abilitativo ovvero violazione (incremento o riduzione) per singola unità immobiliare del 2% delle misure progettuali:

  • altezza;
  • distacchi;
  • cubatura;
  • superficie coperta;

Sul piano delle tolleranze di costruzione, meglio note agli operatori del settore come “tolleranze da cantiere”, invece non esiste norma nazionale e l’argomento viene trattato a macchia di leopardo a livello regionale o regolamentato a livello comunale.
Sta di fatto che l’introduzione di questo argomento nel T.U. dell’Edilizia sarebbe un’importante innovazione migliorativa e capace di tracciare una precisa linea di confronto tra enti pubblici e professionisti.

SUL PIANO URBANISTICO NAZIONALE
I quattro parametri sono di matrice urbanistica (e non edilizia) perchè riguardano caratteristiche geometriche relative alla sagoma planivolumetrica nella sua complessità e tuttavia sono riferite alla singola unità immobiliare;

sembra una contraddizione perchè si commistionano parametri urbanistici globali con gli aspetti della singola unità, ma facendo attento ragionamento non lo è affatto.

Intanto il Legislatore ha circoscritto espressamente la fattispecie alla singola unità immobiliare perchè sarebbe infattibile applicarlo ad un organismo edilizio articolato in diverse unità.
Resta irrisolto il caso in cui un palazzo nel suo complesso superi tali parametri mentre il singolo appartamento rispetta tali variazioni:
è quindi sufficiente il rispetto delle condizioni relative alla singola unità anche in presenza di gravi difformità relative all’intero organismo edilizio oppure il c.d. “abuso condominiale” viaggia su un binario parallelo ?

Tornando ai parametri citati occorre differenziare le variazioni di matrice urbanistica (quelli tipicamente legate a indice di fabbricabilità, sup. coperta, altezza massima, ecc) da quelle meramente edilizie (sup. lorda, altezze interne, dimensioni, ecc).

Altro aspetto da capire è se tali parametri siano pienamente alternativi o meno tra loro:
i casi di parziali difformità di sagoma e planivolumetria comportano spesso variazioni connesse sia sul piano volumetrico che superficiale;
ad esempio può capitare che l’unità immobiliare presenti variazione di superficie entro il 2% e variazione del 4% del suo cubaggio a causa della maggiore altezza interna. Il rispetto del parametro superficiale esclude anche la verifica dell’altro parametro volumetrico ?
A mio avviso l’elencazione dei parametri va intesa in maniera alternativa tra loro in quanto terminante con la ” o “, atteso che l’intento legislativo fosse l’introduzione di una tolleranza ai fini semplificativi.
Salvo complicazioni “dell’ultimo miglio”, beninteso!

L’aspetto saliente riguarda una contraddittorietà applicativa tra singola unità immobiliare e le violazioni di altezza/distacco:
resta da capire infatti se si intenda l’altezza massima del fabbricato in gronda (tesi condivisibile perchè affiancata da indici parametri fondiari e non edilizi) oppure se trattasi di altezza interna (atteso che la norma si riferisce proprio alla singola unità immobiliare).

Il parametro del distacco invece non presenta margini interpretativi perchè pacificamente definito come “distanza tra costruzioni” e non anche distanza dai confini; il distacco è un requisito che riveste importanza perchè trae origini da esigenze igienico-sanitario e quindi di prevalente interesse pubblico sul privato.

SUL PIANO URBANISTICO REGIONALE TOSCANA
Alcune Regioni hanno provveduto a normare le tolleranze nei rispettivi testi unici di competenza:

Emilia Romagna: LR 23/2004 art. 19/bis
Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro o dimensione delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del due per cento delle misure previste nel titolo abilitativo.

Friuli Venezia Giulia: LR 19/2009 art. 41
L’esecuzione di interventi comportanti variazioni non superiori al 3 per cento rispetto alle misure del progetto con riferimento alla sagoma, alla superficie, alle distanze o distacchi, alla volumetria e all’altezza non costituiscono variante al permesso di costruire, né alla denuncia di inizio attività o segnalazione certificata di inizio attività e, pertanto, non sono sanzionabili anche in deroga ai limiti previsti dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi. (omissis)

Toscana: LR 65/2014 art. 198: (non introduce variazioni rispetto al quadro nazionale!)
Ai fini dell’applicazione della disciplina di cui agli articoli 206 e 209, non si ha parziale difformità dal permesso di costruire oppure dalla SCIA, qualora proposta in conformità con gli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica comunali adottati o approvati e con il vigente regolamento edilizio, in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.

Sicilia: LR 37/85 art. 7
Sono da considerare opere eseguite in parziale difformità dalla concessione quelle le cui variazioni siano al di sotto dei limiti fissati alle lettere b, c e d dell’ art. 4 della presente legge. Non sono da considerare difformità parziali le variazioni ai parametri edilizi che non superino, per ciascuno di essi, la tolleranza di cantiere del 3 per cento

SUL PIANO EDILIZIO: Tolleranze di costruzione o di cantiere
Come appena detto, non sono normate a livello nazionale.

Tuttavia il loro inquadramento permetterebbe di capire chiaramente quali siano i margini di errore che avvengono naturalmente nel processo edilizio, e che non siano oggetto di contestazione sul piano edilizio.
Il caso ricorrente su cui vengo chiamato a dare consulto è l’altezza interna minima di 2,70 ml negli alloggi quale requisito per l’Agibilità/Abitabilità.

La necessità di normare le tolleranze di costruzione nasce da due esigenze:
– verifica tra la consistenza del manufatto e le misure progettuali;
– verifica della consistenza del manufatto in assenza di quotature;

La risposta a queste esigenze era stata soddisfatta da una norma efficace ovvero l’ex art. 63 del Regolamento Edilizio di Firenze previgente fino al 20/07/2015 e che nella nuova formulazione ha invece tolto una norma semplificante che statuiva:

Art. 63 – Tolleranze di costruzione
1. Nell’esecuzione di opere edilizie di qualsiasi tipo, salvo quanto diversamente imposto
da leggi o normative specifiche, sono ammesse le seguenti tolleranze di costruzione
rispetto alle misure nominali contenute nel progetto:
– per lunghezze fino a mt. 2,00: ± 5%
– per lunghezze oltre a mt. 2,00 e fino a mt.. 6,00: ± 2%
– per lunghezze oltre a mt. 6,00: ± 1%
– per altezze fino a mt. 5,00: ± 2%
– per altezze oltre a mt. 5,00: ± 1%
2. Per le altezze interne dei singoli vani e per le altre altezze prescritte da norme regolamentari
di carattere locale, è consentita in ogni caso una tolleranza di ± cm. 2,
ferme restando le altezze minime fissate dal D.M. 5 Luglio 1975 che sono per loro
natura inderogabili; parimenti sono inderogabili le disposizioni in materia di distanze
minime dai confini e tra fabbricati stabilite dal D.M. 1444/1968.
3. Per le parti che risultassero prive di esplicita quotatura sul progetto approvato,
sempre che non sia possibile desumere la quota mancante in via analitica, è ammessa
una tolleranza di ± cm. 10 rispetto alla lettura rilevata sul supporto cartaceo
in scala 1/100, nel rispetto degli allineamenti grafici e della congruenza del
disegno.

Altri comuni, soprattutto di grandi città, avevano definito tale aspetto spesso titolandole come “tolleranze di cantiere”, ad esempio Milano, Genova, Verona.

Ad oggi tuttavia l’argomento è una vera giungla a cui si auspica la soluzione proveniente dal Legislatore nazionale.

SUL PIANO DEI BENI CULTURALI (nota aggiuntiva)
Alcuni colleghi mi fanno notare se la tolleranza del 2% prevista dall’Art. 34 comma 2-ter trovi applicazione anche per gli immobili soggetti al Codice dei Beni Culturali D. Lgs. 42/2004.
La risposta è no.
L’articolo 167 comma 4 lettera “a” non perdona nessuno e impietosamente statuisce senza deroghe che:

L’autorita’ amministrativa competente accerta la compatibilita’ paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; (omissis)

Ergo che emerge ancora una volta la contraddizione tra norme, ovvero che la stessa variazione in due ambiti diversi sia contemporaneamente legittima e illegittima; la stessa difformità infatti pur essendo pacificamente regolare sotto il profilo urbanistico non lo è sul piano paesaggistico.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 1946/2016 depositata il 13/05/2016 ha ritenuto di confermare la sentenza che escludeva la sanatoria dell’abuso perché l’immobile era ricadente in ambito vincolato, se ne parla in questo articolo → 

Tra l’altro vi è stato un periodo in cui ai soli fini del condono edilizio l’art. 32 della L. 47/85 prevedeva che per opere abusive eseguite su aree sottoposte a vincolo il parere non fosse richiesto per violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta non eccedenti il 2 per cento delle misure prescritte.


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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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Note e Riferimenti:
[1]
 Art. 32 L. 47/85:

«Fatte salve le fattispecie previste dall’articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo e’ subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente puo’ impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non e’ richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte. (omissis)»
[2] Art. 34 comma 2-ter (introdotto con Legge 106/2011):
« Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali. »

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