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La conversione d’ufficio della domanda di sanatoria in altra non è ricavabile dalle norme condonistiche stratificate

Il condono edilizio è una particolare forma di regolarizzazione di natura speciale, straordinaria e transitoria: queste caratteristiche pertanto non ammettono alcun possibilità di convertire una istanza presentata ai sensi della L. 47/85 o L. 724/94 in quella rispettivamente successiva.

Partiamo da un esempio chiarificatore: una istanza di condono è stata presentata ai sensi della L. 47/85, ma in seguito risulta accertato che l’abuso edilizio è stato compiuto nel mese di dicembre 1984, facendo mancare il presupposto fondamentale di ultimazione lavori entro il 1° ottobre 1983. La sua eventuale bocciatura non può essere automaticamente “salvata” o ripescata col successivo Condono L. 724/94, che invece prevede il medesimo termine al 31 dicembre 1993. L’unica eccezione potrebbe essere la riproposizione della istanza sul medesimo immobile e abuso nei termini previsti dall’articolo 39 comma 10-bis L. 724/94, cioè una rideterminazione:

10-bis. Per le domande di concessione o autorizzazione in sanatoria presentate entro il 30 giugno 1987 sulle quali il sindaco abbia espresso provvedimento di diniego successivamente al 31 marzo 1995, sanabili a norma del presente articolo, gli interessati possono chiederne la rideterminazione sulla base delle disposizioni della presente legge.

Infatti, la data di ultimazione opere va dimostrata rispettando gli oneri probatori in materia di condono; in caso contrario, si profila il rischio di domanda di condono dolosamente infedele, suscettibile anche di annullamento posteriore alla conclusione positiva.

Invece il caso della sentenza di Consiglio di Stato n. 5536/2024 riguarda la singola presentazione di domanda di condono ai sensi della L. 724/94, per la quale è stata rigettata l’ipotesi automatica conversione o trasposizione della domanda verso il successivo provvedimento di Terzo condono D.L. 269/03 (convertito in L. 326/03).

La predetta sentenza del Consiglio di Stato ha affermato che, oltre a non essersi formato alcun legittimo affidamento in presenza di una situazione contra jus (per mancanza requisiti normativi essenziali), non è configurabile un obbligo di conversione officiosa di una domanda di sanatoria in un’altra; come già evidenziato dal TAR (Napoli n. 4484/2021), il dato letterale ricavabile dalle normative condonistiche stratificatesi nel tempo a partire dal 1985 (L. 47/1985; legge n. 724/1994; decreto legge n. 269/2003) evidenzia che le stesse hanno sempre previsto che il procedimento di sanatoria fosse attivabile ad istanza di parte e non d’ufficio, proprio per rimarcare la necessaria istanza dell’interessato (che deve anche versare i connessi oneri) e l’eccezionalità dell’istituto del condono, che mal si presta ad applicazioni generalizzate foriere di alterazioni irreversibili all’ordinato sviluppo urbanistico dei territori. Ciò impedisce non solo che le opere abusive possano essere ab origine condonate d’ufficio una volta ultimate entro una determinata data, ma anche che un’istanza di condono, da rigettare per superamento del termine ultimo di completamento delle opere, possa essere rivalutata d’ufficio ai sensi di una sopravvenuta normativa condonistica che sposti in avanti il temine di ultimazione delle stesse. Invero, ogni normativa sul condono edilizio è soggetta e peculiari termini e limiti di applicabilità in ragione della consistenza planivolumetrica delle opere realizzate e della loro destinazione funzionale, oltre che dalla esplicita volontà dell’interessato di versare le somme specificamente previste per quel determinato condono e nei termini relativi, sicché un’istanza di presentata ai sensi della legge n. 724/1994 non è automaticamente “convertibile”, in base ad una riconfigurazione ufficiosa, in un’istanza di condono ex decreto legge n. 269/2003.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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