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Strumento urbanistico non può impedire ristrutturazione su fabbricati oggetto di condono.

Corte Costituzionale e Consiglio di Stato confermano la piena legittimità degli immobili oggetto di condono edilizio.

Conversando con l’Ing. C. Volontè, mi fa notare questo interessante aspetto che emerge talvolta in certi strumenti urbanistici comunali, ed ella mi fornisce gentilmente alcuni riferimenti che vado a riscontrare.

Si tratta di due sentenze della Corte Costituzionale n. 529/1995 e 238/2000, alle quali si aggiungono in coerenza anche le sentenze del Consiglio di Stato n. 5358/2016 e TAR Abruzzo I n. 445/2008.

L’oggetto di illegittimità consiste in alcune norme tecniche attuative di uno strumento urbanistico comunale (Piano Regolatore, PGT, PUC, ecc) che ammettono solo interventi conservativi nei confronti di immobili condonati, escludendo loro la possibilità di effettuare ristrutturazione edilizia, demolizione e ricostruzione o sostituzione edilizia, comunque nel rispetto delle norme e previsioni pianificatorie comunali.

Da esse emerge un principio che ritengo condivisibile: gli immobili oggetto di condono edilizio concluso, cioè per i quali è stata rilasciata la regolare Concessione Edilizia in sanatoria, sono equiparati a tutti gli effetti a quello legittimati con gli ordinari titoli abilitativi edilizi, licenze, concessioni e permessi di costruire.

Attenzione: la trattazione non riguarda gli immobili oggetto invece di sanatoria edilizia ordinaria, che merita un discorso a parte.

Una volta condonato, l’immobile diventa pienamente legittimo a tutti gli effetti sotto ogni profilo.

Il senso è che una “discriminazione” motivata solo sul presupposto di un condono edilizio ai sensi delle Leggi 47/85, 724/94 e 326/03 rilasciato non è sufficiente e comporta illegittima compressione del diritto della proprietà privata.

Le NTA di uno strumento urbanistico comunale, possono sì introdurre norme restrittive su certi immobili ammettendo solo interventi conservativi, se finalizzate alla preservazione di evidenti caratteristiche tipologiche, formali e di valore architettonico del fabbricato.

Sono invece illegittime le norme che dettano una disciplina restrittiva escludente taluni interventi sostanziali soltanto sulla base/criterio della legittimazione tramite condono edilizio.

Secondo la Corte Costituzionale (sentenza. C.C. 238/2000) norme e restrizioni di questo tipo comportano una sorta di sanzionamento permanente surrettizio, una compressione irragionevole della proprietà privata e dell’esercizio dell’iniziativa economica.

La sentenza costituzionale 238/2000 ha dichiarato illegittimo l’art. 8, settimo comma, della L.R. Umbria 2 settembre 1974, n. 53 (Prime norme di politica urbanistica), come modificato dalla legge della Regione Umbria 21 ottobre 1997, n. 31 (Disciplina della pianificazione urbanistica comunale e norme di modificazione delle leggi regionali 2 settembre 1974, n. 53, 18 aprile 1989, n. 26, 17 aprile 1991, n. 6 e 10 aprile 1995, n. 28), nella parte in cui esclude i fabbricati oggetto di condono edilizio dalla ammissibilità di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria o di ristrutturazione che non comportino aumento di volumetria o di superficie o modifiche di sagoma o delle destinazioni d’uso.

Secondo la Corte Costituzionale ciò comporta per il proprietario, ancorché non espropriato della titolarità, uno svuotamento del contenuto del suo diritto nel modo più irrimediabile e definitivo, e cioè con graduale degrado e perimento del bene (costruzione) ed una progressiva inutilizzabilità e distruzione dell’edificio, in rapporto alla destinazione inerente alla sua natura (conforme a licenze, concessioni e autorizzazioni ancorché in sanatoria).

Si tratta in ogni caso di edifici legittimamente esistenti e ovviamente regolarmente assentiti (fin dall’origine o con valido condono in sanatoria non oggetto di successivi interventi repressivi o di annullamento) dal punto di vista urbanistico o sotto il profilo di speciali vincoli (assistiti da specifiche autorizzazioni e pareri ove richiesti); in tal senso cfr  sentenza C.C. 238/2000 e n. 529 del 1995.

Anche se uno strumento urbanistico o piano regolatore generale intendesse imporre limitazioni in tal senso, non è sufficiente la giustificazione che tali immobili condonati potrebbero usufruire di indici edilizi preesistenti maggiori rispetto alle nuove costruzioni future: si tratta di un argomentazione ritenuta suggestiva ma non fondata in quanto proprio gli strumenti urbanistici possono diminuire o aumentare gli indici edificatori sulla base di scelte pianificatorie e politiche (TAR Abruzzo I 445/2008).

Illegittime anche le norme restrittive basate solo sull’epoca di costruzione.

Per lo stesso principio, norme e strumenti urbanistici non possono prevedere esclusioni e restrizioni sul solo criterio temporale e cronologico in maniera indiscriminata, quindi senza tenere conto degli aspetti di pregio paesistico, architettonico e culturale eventualmente presenti.

E’ il caso della sentenza n. 529/1995 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 3, della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell’area sorrentino-amalfitana) nella parte in cui esclude in via generale, per le costruzioni edilizie legittimamente realizzate nella zona territoriale 1/a, ogni intervento edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria, e, per le costruzioni edilizie legittimamente realizzate, in epoca successiva al 1955, nella zona territoriale 1/b, gli interventi di manutenzione straordinaria.

La privazione della possibilità (in via assoluta e generale, senza alcuna valutazione di compatibilità concreta, circa il modo e l’entità degli interventi, con le esigenze di tutela ambientale), per il titolare del diritto di proprietà su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e la conservazione della sua funzionalità senza alterare l’aspetto esteriore dell’edificio, rappresenta certamente una lesione del contenuto minimo della proprietà. Infatti, l’anzidetto divieto, così configurato, incide addirittura sull’essenza stessa e sulle possibilità di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto del diritto, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con conseguente riduzione in cattivo stato e un progressivo abbandono e perimento (strutturale e funzionale).

La tutela e salvaguardia dei profili paesistici, architettonici e culturali possono legittimare norme restrittive.

In tal senso un riferimento deriva dalla sentenza n. 5358/2016 del Consiglio di Stato, la quale ritiene legittima la previsione di un Regolamento urbanistico comunale (Toscana, ndr) che ammette solo opere di manutenzione ordinaria, straordinaria e di risanamento conservativo, se giustificato da profili di protezione e tutela paesistica, storico ambientale e in aree soggetto a vincolo paesaggistico.

Per esse quindi non si concretizza una illegittima compressione del diritto di proprietà perchè la tutela del valore paesaggistico è costituzionalmente garantito e prevalente sul diritto privato.

Uscendo dall’argomento, colgo l’occasione per segnalarti la nuova VIDEO-TRILOGIA sui titoli abilitativi come CILA, SCIA e Permesso di Costruire.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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