Anche gli interventi CILA-S sono soggetti al rispetto dello Stato Legittimo, pertanto niente immobili abusivi
Alcuni tipi di abusi edilizi non comportano conseguenze sul versante urbanistico
L’art. 34 del Testo Unico individua specifici abusi edilizi rientranti nelle parziali difformità dal permesso di costruire
Esso ha una sola deroga, e riguarda solo gli aspetti attinenti l’urbanistica, senza entrare in merito alle questioni normative settoriali, quali paesaggistica, antisismica, vincoli, eccetera.
L’articolo in questione prevede due specifiche casistiche descritte in precedenti articoli (consulta qui), e che si possono riassumere così:
- parziali difformità non sanabili in quanto prive della doppia conformità urbanistica (comma 1);
- parziali difformità non sanabili e non rimovibili senza pregiudizio della parte eseguita in conformità (comma 2);
Il presupposto che accomuna entrambe le ipotesi è la loro insanabilità, in quanto non rispettose del successivo art. 36 relativo alla procedura di Accertamento di conformità in sanatoria, ammissibile esclusivamente nel rispetto della doppia conformità alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente sia all’epoca di realizzazione dell’abuso che al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Aggiornamento del 7 febbraio 2022: prima di proseguire, ti segnalo che il presente articolo è stato superato dalla nuova normativa D.L. 76/2020, per cui ti segnalo questa versione più aggiornata sulle tolleranze edilizie.
L’unica eccezione alla deroga è prevista nell’articolo 34 stesso, che ammette una tolleranza edilizia in questi casi
Lo prevede espressamente l’art. 34 comma 2/ter, aggiunto con D.L. n. 70 del 13 maggio 2011: esso prevede che
“ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”.
La norma sopra riportata del comma 2/ter non contiene una definizione normativa della parziale difformità, ma prevede una franchigia.
In altre parole, intende stabilire non tanto che ogni violazione superiore al 2% considerato costituisce difformità, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti (Cons. di Stato VI n. 1481/2017).
Si tratta di un argomento letterale: il testo della norma, contenuta nell’articolo dedicato alle conseguenze della “parziale difformità”, stabilisce quando la stessa “non si ha”, e quindi un caso in cui l’abuso esula, cioè non si ha abuso (sul solo profilo edilizio ed urbanistico).
Entro tale limite non sussiste il reato dal punto di vista edilizio
Ripeto: la questione non si applica sugli aspetti settoriali specifici e complementari, come vincolistica, paesaggistica, Genio Civile e quant’altro.
La norma in questione, come si è visto, è stata aggiunta col dichiarato scopo di “liberalizzare le costruzioni private”, per avere un congruo “regime di franchigia”, finalizzato ad alleggerire gli oneri gravanti sul privato i costi della sanzione applicata a qualsiasi a difformità, anche fra le più lievi (sentenza su OmniaVis: Cons. di Stato VI n. 1481/2017).
Il legislatore nazionale ha effettuato una scelta differenziale per evitare inutile quanto eccessiva complicazione dei contenziosi e delle azioni repressive, puntando piuttosto ad una migliore efficacia dell’azione amministrativa.
Oltre i limiti previsti dall’art. 34 comma 2/ter, non può essere presa in considerazione quella che può essere denominata “franchigia” della parziale difformità.
Per i soli casi di parziali difformità non rimovibili in quanto pregiudicanti la parte legittima dell’immobile, la possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria deve essere valutata nella fase esecutiva del procedimento di repressione dell’abuso.
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La cosiddetta “Fiscalizzazione dell’abuso” non legittima, non regolarizza e non condona questo tipo di abusi, e quantifica in soli termini pecuniari la mancata demolizione della parziale difformità tecnicamente non rimovibile.
Essa può avvenire anche in maniera autonoma e perfino successiva all’ordine di demolizione, e l’applicazione della sanzione pecuniaria può essere valutata anche in fase esecutiva del procedimento repressivo dell’abuso, e successivo all’emissione dell’ordine di demolizione (Cons. di Stato VI n. 2001/2013).
Tanto per renderla comprensibile anche ai non addetti ai lavori, questo tipo di possibilità costituisce un’ulteriore (e ultima) possibilità di sanatoria, denominata di solito appunto “fiscalizzazione dell’abuso”, una specie di “Zona Cesarini dell’abusivista” dove gettarsi come ultima spiaggia.
Certamente, la quantificazione della sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione per questi soli casi assume contorni abbastanza rilevanti, in quanto il legislatore vuole colpire il reato permanente di abuso azzerando il possibile vantaggio percepito dal proprietario/costruttore/responsabile che ha compiuto l’abuso.
In tutto questo salta fuori il possibile “guastafeste”, ovvero l’impossibilità di sanatoria sul versante paesaggistico, non ammissibile in nessuna ipotesi in cui vi siano aumenti volumetrici e di superficie degli immobili.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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