Il significato generale di Stato Legittimo viene eccessivamente confuso oltre il concetto di stato di diritto ad esistere

Sanzione pecuniaria sostitutiva a demolizione ex articolo 38 DPR 380/01 resta l’unica deroga all’ordinaria disciplina
Nemmeno a farla apposta, mentre dissertavo online contro coloro che sostengono che “ogni fiscalizzazione pecuniaria edilizia è totalmente sanante” è uscita l’utilissima sentenza di Corte Costituzionale n. 22/2025, con cui hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni in materia di regolarizzazione edilizia della Provincia autonoma di Bolzano, vedasi l’articolo 4 comma 10 L.P. n. 1/2022. In verità, come già sostenuto in precedente post, anche alla luce della legge n. 105/2024 Salva Casa e delle Linee Guida MIT, soltanto la fiscalizzazione ex articolo 38 D.P.R. 380/01 assume duplice natura fiscalizzante la demolizione e di sanatoria edilizia equiparata all’articolo 36.
Si ripete: l’articolo 38 comma 2 TUE è l’unica ipotesi derogatoria di fiscalizzazione, le restanti forme di fiscalizzazione e sanzionamento pecuniario edilizio non assumono valore sanante, neppure implicito, nonostante siano state inserite nel terzo periodo della definizione di Stato Legittimo tra gli elementi che concorrono a determinarlo (appunto, concorrono a giustificare il mantenimento di tali abusi all’interno della storiografia urbanistico-edilizia dell’immobile.
All’interno dell’anzidetta sentenza di Corte Costituzionale, la disposizione provinciale contestata prevedeva «che qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o il ripristino dello stato dei luoghi, «anche in considerazione dell’esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate, l’autorità preposta alla vigilanza applica una sanzione pecuniaria, tenuto conto del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio», di ammontare variabile «da 0,8 a 2,5 volte l’importo del costo di costruzione». Il successivo comma 2 consente poi la riduzione della sanzione pecuniaria per l’ipotesi di modifiche normative sopravvenute che rendano i lavori già eseguiti conformi al quadro normativo urbanistico».
Secondo il ricorso, la disciplina provinciale altererebbe «in modo sostanziale la ratio sottesa all’impianto sanzionatorio» come delineato dagli artt. 36 e 38 t.u. edilizia DPR 380/01. In particolare, l’art. 94, comma 1, sarebbe in contrasto con il citato art. 38, nel prevedere: un ulteriore criterio valutativo – quello riferito alla «esigenza di bilanciamento con i contrapposti interessi di salvaguardia delle attività legittimamente espletate» – che «di fatto amplia le ipotesi in cui è possibile escludere la riduzione in pristino»; una sanzione pecuniaria che, in quanto parametrata al costo di costruzione anziché al valore venale dell’immobile, risulta «molto meno afflittiva» rispetto a quella stabilita a livello nazionale. Inoltre, il comma 2 della medesima disposizione differirebbe dal citato art. 36 nel prevedere la possibilità di un’ulteriore riduzione dell’importo della sanzione nell’ipotesi di sopravvenuta conformità urbanistica dell’opera abusiva.
Viene inoltre sollevato, correttamente, che anche di fronte al riconoscimento della potestà legislativa speciale, la materia della regolarizzazione edilizia incide sulle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, spettante anche agli articoli 36 e 38 del DPR 380/01, e pertanto fuori dalla competenza di regioni e province a statuto speciale come Bolzano. Inoltre viene sollevata anche l’incidenza sui livelli essenziali delle prestazioni nazionali, materia riservata esclusivamente allo Stato in base all’articolo 117 c.2 lettera m) della Costituzione.
Premesse e motivazioni della sentenza sul regime repressivo
La sentenza di Corte Costituzionale riprende principi ormai consolidati, affermando ancora che la materia urbanistica, ancorchè di competenza legislativa primaria della Provincia autonoma, debba essere esercitata in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. A questa competenza primaria va ascritta la disciplina oggetto di contestazione, che delinea due fattispecie di sanatoria di illeciti edilizi, in linea con quanto già più volte affermato dalla Consulta con riguardo ad analoghe normative provinciali (sentenze n. 125/2024, n. 209/2010 e n. 231/1993). La potestà legislativa primaria in materia urbanistica abbraccia anche il tema delle sanzioni amministrative, trattandosi di competenza che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «non costituisce materia a sé stante, ma “accede alle materie sostanziali” […] alle quali le sanzioni si riferiscono, spettando dunque la loro previsione all’ente “nella cui sfera di competenza rientra la disciplina la cui inosservanza costituisce l’atto sanzionabile» (da ultimo, sentenza C.C. n. 19/2024).
In più occasioni, invero, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la disciplina statale inerente ai titoli abilitativi di cui al t.u. edilizia «deve qualificarsi come espressione di norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto tale condizionante la potestà legislativa primaria delle regioni a statuto speciale» (sentenza n. 147/2023), condividendo di queste «“le caratteristiche salienti” che vanno individuate “nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza” (sentenza n. 24/2022). Esse, d’altro canto, “rispondono complessivamente ad un interesse unitario ed esigono, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale” (sentenza n. 198/2018)» (sentenza n. 90/2023). La suddetta qualificazione, tuttavia, «non può essere attribuita, immediatamente ed indistintamente, a tutte le disposizioni di tale decreto legislativo, ma deve essere valutata di volta in volta, alla luce della loro ratio» (sentenza n. 198/2018).
Tale qualificazione è stata già più volte attribuita dalla Corte Costituzionale all’art. 36 t.u. edilizia, che detta il principio della cosiddetta “doppia conformità” (da ultimo, sentenza n. 125/2024).
Esso impone, ai fini della sanatoria delle opere realizzate in assenza del titolo edilizio o in difformità dal medesimo, «l’assoluto rispetto delle relative prescrizioni “durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza” (da ultimo, sentenze n. 24 del 2022, n. 77 del 2021, n. 68 del 2018 e n. 232 del 2017), con la conseguenza che risultano sanabili i soli abusi formali (opere realizzate in difetto di, o in difformità dal, titolo edilizio), che non arrecano danno urbanistico-edilizio (sentenza n. 165 del 2022)» (sentenza n. 93 del 2023; più di recente, nello stesso senso, sentenza n. 125 del 2024).
Proprio in ragione della rilevanza degli interessi tutelati dall’art. 36 t.u. edilizia, la Corte Costituzionale ha ritenuto che tale disposizione «mira ad assicurare sull’intero territorio nazionale l’uniformità dei requisiti e delle condizioni in base alle quali possono essere ricondotti a legittimità gli abusi edilizi: ciò, a tutela dell’effettività della disciplina urbanistica ed edilizia e, quindi, indipendentemente dalla concreta estensione del fenomeno dell’abusivismo nei singoli contesti territoriali. Pertanto, non può assumere alcun rilievo, ai fini della concreta applicazione del requisito della cosiddetta “doppia conformità”, il fatto che, nel territorio provinciale, l’abusivismo edilizio sarebbe di dimensioni “contenute”, soprattutto se comparato con altre realtà regionali» (ancora, sentenza n. 125 del 2024). Si è quindi affermato che il principio della doppia conformità, «“nel delimitare presupposti e limiti della sanatoria, riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia e, in quanto riconducibile alle norme fondamentali di riforma economico-sociale”, vincola anche la potestà legislativa di regioni ad autonomia speciale a cui sia riconosciuta, a livello statutario, una competenza primaria in materia urbanistica (sentenza n. 24 del 2022; nello stesso senso, sentenza n. 232 del 2017)» (ancora, sentenza n. 125 del 2024).
Vorrei aggiungere che tali considerazioni contenute nella pronuncia non hanno interessato le novità introdotte dalla legge n. 105/2024 Salva Casa, relative all’ulteriore modalità di sanatoria edilizia inserita nel TUE all’articolo 36-bis: essa prevede la doppia conformità “asincrona”, cioè una versione pressochè dimezzata rispetto a quella storicamente inserita dalla L. 47/85. Chissà se questa nuova forma di sanatoria edilizia “mista” e intermedia tra quella formale (articolo 36) e sostanziale (condono) rimarrà stabile nel tempo o se qualcuno solleverà profili di incostituzionalità. Si rammenta infatti che il criterio di doppia conformità fu inserito dopo anni di dibattito giurisprudenziale e contrasti, consiglio la lettura di specifico approfondimento.
Fiscalizzazione articolo 38, unico con duale valore sanante e sanzionatorio
Volendo concludere, la sentenza di Corte Costituzionale n. 22/2025 prende in esame anche quella particolare forma di sanzionamento pecuniario sostitutivo alla demolizione, cassandolo proprio sui paletti individuati dal sanzionamento ex articolo 38 D.P.R. 380/2001, affermando che anch’esso partecipa della medesima natura di norma fondamentale di riforma economico-sociale giacché, al pari dell’art. 36, introduce un contenuto riformatore diretto ad incidere nella vita della comunità giuridica nazionale, con riferimento ad un settore – quello della sanatoria
degli abusi edilizi – la cui disciplina mira a proteggere interessi di primaria importanza e di segno complessivamente unitario (in quanto correlati al governo del territorio e alla tutela del paesaggio e dell’ambiente), con conseguente necessità di attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale.
La disposizione provinciale censurata detta infatti il regime sanzionatorio dei cosiddetti “abusi edilizi sopravvenuti” – ossia realizzati in conformità a un titolo edilizio originariamente rilasciato dall’amministrazione (o formatosi ai sensi di legge), ma in seguito annullato –, prevedendo in particolare che, qualora non sia possibile procedere alla «rimozione dei vizi delle procedure» o alla «restituzione in pristino», l’amministrazione, in base a motivata valutazione, applichi, in luogo della demolizione, «una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite» (cosiddetta “fiscalizzazione dell’abuso”).
Questo particolare meccanismo di ripristino della legalità violata, che consente a determinate condizioni di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, risulta ispirato ad una logica di minor rigore anche in considerazione dell’affidamento del privato sulla bontà di un titolo, poi rivelatosi illegittimo e quindi annullato. La peculiarità del trattamento sanzionatorio si giustifica, infatti, prima di tutto in ragione della differenza di tra colui che realizza un’opera conforme a un titolo edilizio rivelatosi animus poi invalido e colui che viola scientemente la disciplina vigente, realizzando fin dall’origine un’opera abusiva.
Attraverso detto meccanismo, il legislatore statale ha quindi individuato un ben preciso punto di equilibrio tra interessi antagonisti: ossia, da una parte, quello del costruttore che abbia legittimamente confidato nella regolarità dell’intervento realizzato in conformità al titolo abilitativo ottenuto; dall’altra, l’interesse pubblico al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio, nonché quello dell’eventuale terzo danneggiato dalla realizzazione dell’opera abusiva. Composizione di opposti interessi che nell’ottica del t.u.
edilizia è realizzata «per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite”» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 7 settembre 2020, n. 17), il cui pagamento integrale produce i medesimi effetti sananti del permesso ex lege di costruire in sanatoria di cui all’art. 36 t.u. edilizia.
«Proprio perché costituente eccezionale deroga al principio di necessaria repressione a mezzo
demolizione degli abusi edilizi» (Cons. Stato, ad. plen., n. 17 del 2020), l’art. 38 t.u. edilizia subordina, però, la fiscalizzazione dell’abuso al ricorrere di determinate condizioni che l’amministrazione deve puntualmente accertare ed esplicitare sulla scorta di una motivata valutazione. In particolare, la disciplina statale, sul presupposto dell’intervenuto annullamento (giudiziale o amministrativo) del titolo edilizio, richiede l’impossibilità di procedere congiuntamente alla:
i) rimozione di vizi delle procedure amministrative;
ii) restituzione in pristino dell’opera abusiva.
Quanto alla prima condizione, consolidata giurisprudenza amministrativa ritiene che i vizi cui fa riferimento l’art. 38 t.u. edilizia siano esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile convalida (in tal senso, ancora Cons. Stato, Adunenza plenaria n. 17/2020 e giurisprudenza successiva).
La Corte Costituzionale ha peraltro già avallato detta interpretazione, giudicando della legittimità costituzionale di una norma provinciale di interpretazione autentica della previgente disposizione di cui all’art. 88 della legge prov. Bolzano n. 13 del 1997, tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali. Nella sentenza n. 209/2010, si è infatti evidenziato come «l’espressione “vizi delle procedure amministrative” non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i “vizi sostanziali”, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest’ultimo potenzialmente contenuto, con la conseguenza di escludere la sanatoria nelle ipotesi di violazioni diverse da quelle formali-procedurali».
Con riguardo alla seconda condizione, per giurisprudenza amministrativa maggioritaria (ex multis, di recente, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 novembre 2024, n. 9004) l’impossibilità di riduzione in pristino è da intendere in una accezione squisitamente tecnico-costruttiva, dovendo quindi risultare impraticabile «alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco, fra cui l’affidamento del privato nella legittimità delle opere» (Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta-ter, sentenza 16 aprile 2024, n. 7506).
Nella trama dell’art. 38 t.u. edilizia, quindi, entrambe le condizioni che presidiano la possibilità di compensazione monetaria, così come l’individuazione dell’oggetto di tale compensazione nel valore venale dell’opera abusiva altrimenti da demolire, costituiscono elementi determinanti di quel punto di equilibrio tra opposti interessi, che il legislatore statale ha ritenuto essenziale per un ordinato governo del territorio.
Nell’impianto sanzionatorio del t.u. edilizia, gli artt. 36 e 38 devono dunque essere letti congiuntamente, non solo perché, per volontà del legislatore, il pagamento integrale della sanzione pecuniaria prevista dalla seconda disposizione ha la medesima efficacia sanante del permesso in sanatoria di cui alla prima, ma soprattutto in quanto espressivi dei medesimi principi.
Entrambe le norme invero, laddove derogano all’ordinaria disciplina di governo del territorio introducendo ipotesi di sanatoria, realizzano un contemperamento di contrapposti interessi incidenti sul territorio, idoneo a garantire la tutela del paesaggio e dell’ambiente, di primaria importanza per la vita sociale ed economica. Esse presentano perciò una dimensione nazionale che non può subire differenziazioni regionali, meritando di essere qualificate alla stregua di norme fondamentali di riforma economico-sociale in quanto tali idonee a vincolare la potestà legislativa primaria regionale e provinciale (in senso analogo, sentenza n. 118 del 2019).
Fiscalizioni edilizie articoli 33-34 e 37 TUE non comportano sanatoria
Dalle quanto sopra emerge chiaramente e senza margini interpretativi che l’unica forma di fiscalizzazione pecuniaria edilizia dotata con effetto anche sostanzialmente sanante sia quella contenuta nell’articolo 38 comma 2 D.P.R. 380/01, essendo stabilito espressamente un rinvio dinamico all’articolo 36:
2. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36.
Invece questo unico rinvio dinamico di effetto sanante risulta assente nelle altre restanti forme di fiscalizzazione edilizia degli articoli 33, 34 e 37 TUE: il motivo è già stato ampiamento sviscerato nei passaggi descritti sopra.
E a nulla serve insinuare oggi che le fiscalizzazioni edilizie diverse dall’articolo 38 abbiano magicamente assunto all’improvviso un esplicito o implicito effetto di sanatoria edilizia, per il solo fatto di essere state menzionate nel terzo periodo dello Stato Legittimo articolo 9-bis c.1-bis (tramite L. 105/2024); tale menzione intanto è perimetrata ad un aspetto puramente formale, esse infatti “concorrono” soltanto a determinare lo Stato Legittimo sul piano storico-descrittivo, e non a essere ricompresi tra i titoli abilitativi “propri” e pienamente legittimanti l’opera. Se il legislatore voleva attribuire un valore sanante a tutte le fiscalizzazioni diverse dall’articolo 38, cioè articoli 33-34 e 37, poteva tranquillamente inserirle tutte nel secondo periodo dello Stato Legittimo a fianco ai titoli abilitativi in sanatoria.
Invece, proprio per evidenziare la demarcazione tra fiscalizzazioni sananti e puramente pecuniarie, il legislatore con la legge n. 105/2024 Salva Casa ha operato una netta distinzione di esse spartendole tra secondo e terzo periodo dello Stato Legittimo, e per coerenza ha inserito doppiamente soltanto la fiscalizzazione articolo 38 in entrambi i due periodi dello Stato Legittimo, proprio perchè dotata di duplice funzione pecuniaria e sanante:
Sono ricompresi tra i titoli di cui al primo periodo i titoli rilasciati o formati in applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 34-ter, 36, 36-bis e 38, previo pagamento delle relative sanzioni o oblazioni. Alla determinazione dello stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare concorrono altresì il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34, 37, commi 1, 3, 5 e 6 e 38, e la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis.
Comunque sia non resta che aspettare le prime pronunce di Consiglio di Stato sull’argomento.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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