Niente prescrizione amministrativa per illeciti edilizi datati e raffigurati in precedenti pratiche edilizie
Presupposto fondamentale della DIA è la rappresentazione certificata dello stato dei luoghi, vincoli e opere da compiere
La Denuncia di Inizio Attività è stata una tipologia di pratica edilizia utilizzata molto e fondata sul principio dell’autoasseverazione rilasciata dal tecnico professionista
In passato l’avvento della DIA è stato caratterizzato da un crescente allargamento della platea di interventi fattibili con essa, arrivando fino ai giorni nostri a consentire perfino nuove costruzioni in certi (rari) casi previsti da specifiche previsioni attuative comunali.
Pochi mesi fa la DIA è stata ufficialmente mandata in pensione col Decreto ‘Scia 2’, e al suo posto adesso vige l’applicazione della SCIA; a partire dal 1993, ovvero dalla prima introduzione della denuncia di inizio attività e fino al 2016, le DIA sono state depositate unitamente ad una relazione accompagnatoria firmata dal professionista abilitato (geometra, architetto, perito e ingegnere).
Assieme ad essa il professionista doveva dichiarare e attestare sotto forma di asseverazione il rispetto dei requisiti e la conformità del progetto da effettuare, quali ad esempio:
- descrizione e rappresentazione dello stato dei luoghi, dell’immobile e/o dell’area;
- conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici vigenti;
- conformità dell’intervento alla disciplina e normativa urbanistica;
- possesso dei requisiti per il deposito di essa;
La dichiarazione aveva natura certificativa, rendere certi e inoppugnabili certi requisiti, fatti e condizioni era il presupposto fondamentale affinché la DIA potesse assumere da subito piena efficacia di titolo abilitativo legittimante l’intervento. In sostanza, dal nome stesso, la formula di asseverazione aveva il compito di rendere “severo” il contenuto di essa.
L’asseverazione assegna un valore di certezza e verità al contenuto della relazione accompagnatora
La sentenza di Cassazione Penale sez. III n. 3067 del 23 gennaio 2017 torna sul tema per ribadire che le false attestazioni contenute nella relazione di accompagnamento alla dichiarazione di inizio di attività edilizia integrano il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.), in quanto detta relazione ha natura di certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, alla rappresentazione delle opere che si intende realizzare e all’attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio (Cass. Pen. III n. 50621 del 18/06/2014, n. 35795 del 17/04/2012, Sez. 5 n. 35615 del 14/05/2010).
La Cassazione ha ribadito che il professionista tecnico nella DIA assume qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde del reato di falsità ideologica in certificati.
Nel caso in cui il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento ex art. 23 comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001 (non più vigente in quella forma, ndr), renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici.
Ergo, nel caso in cui essa abbia contenuto mendace, si configura il reato di cui all’art. 483 Codice Penale, in quanto la natura certificativa della relazione tecnica accompagnata dall’apposita asseverazione, è rilasciata dal professionista in base all’art. 29 comma 3 D.P.R. n. 380 del 2001, col quale assume la qualità di persona esercente servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del codice penale.
In caso di falsità del reato di cui all’art. 481 Codice Penale il professionista è punito con pena fino ad un anno di reclusione o con sanzione pecuniaria da 51 a 516 euro.
Ciò non vale anche per la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest’ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato (Cass. Pen. III sentenza n. 27699 del 20/05/2010).
Tale principio in cui emerge la falsa attestazione riguarda lo stato dei luoghi di partenza e non l’intenzione del committente di realizzare alcune tipologie di opere o l’eventuali future difformità di quanto realizzato rispetto a quanto progettato.
La questione infatti non va confusa con gli eventuali abusi effettuati in corso d’opera, per il quale la problematica si sposta sulla direzione lavori.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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