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Cassazione chiarisce i poteri di estensione dell’attività edilizia libera coerenti al D.P.R. 380/01

A oltre venti anni dall’istituzione del regime di edilizia libera del Testo Unico Edilizia nonché dal federalismo edilizio “all’italiana”, non sono ben chiari i paletti che deve rispettare una regione. Stavolta la fattispecie riguarda il novero dell’edilizia libera, cioè di quelle opere definite in linea generale dall’articolo 6 D.P.R. 380/01, contenente alcune fattispecie in via non esaustiva.

Peraltro, l’elenco delle opere rientranti in attività edilizia libera va sovrapposto anche a quanto dettagliato dal Glossario Edilizia Libera emanato con apposito D.M. nel 2018. A tutto questo dobbiamo aggiungere due importanti dettagli:

  1. le opere in edilizia libera devono risultare comunque conformi alle varie discipline urbanistiche ed edilizie, nonché a tutte le varie normative vincolistiche e di settore, quindi possiamo definirla “edilizia libera condizionata”, vedi comma 1 art. 6 T.U.E:
    1. Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo;
  2. le regioni a statuto ordinario possono disciplinare ulteriori interventi di attività edilizia libera, vedi comma 6 art. 6 T.U.E:
    6. Le regioni a statuto ordinario:
    a) possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1, esclusi gli interventi di cui all’articolo 10, comma 1, soggetti a permesso di costruire e gli interventi di cui all’articolo 23, soggetti a segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire;
    b) disciplinano con legge le modalità per l’effettuazione dei controlli.

Regioni, fin quanto possono regolamentare l’edilizia libera?

Una risposta è stata recentemente fornita dalla sentenza di Cassazione Penale n. 24277/2024, la quale riprende a sua volta principi già trattati dalla sentenza di Corte Costituzionale n. 90/2023 avverso la legge n. 16/2016 della regione siciliana:

5.4. Al contempo, l’art. 6, comma 6, prevede che le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina concernente l’esecuzione di interventi senza alcun titolo abilitativo a «interventi edilizi ulteriori», salvo che non rientrino nelle ipotesi di cui all’art. 10 o all’art. 23. L’art. 6-bis, comma 4, similmente dispone che la disciplina concernente gli interventi edilizi realizzabili previa CILA può essere estesa dalle regioni a statuto ordinario a «interventi edilizi ulteriori».
5.5. Ebbene, la Corte costituzionale ha da tempo rilevato che quella del t.u. edilizia è normativa espressiva dei princìpi fondamentali in materia di «governo del territorio» e che, quindi, «[V]’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Non è perciò pensabile che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei princìpi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo» (sentenza n. 139 del 2013). Ne consegue che «MI limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella possibilità di estendere “i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6” (ancora sentenza C.C. n. 139 del 2013)» (sentenza C.C. n. 282 del 2016)
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Il principio vale anche per quelle regioni/province che, pur avendo competenza esclusiva alla disciplina edilizia e governo del territorio grazie allo statuto speciale o autonomo: questi enti non possono comportarsi come se fossero uno Stato autonomo nello Stato italiano, e al contrario devono rimanere comunque conformi e coerenti ai principi generali stabiliti dal Testo Unico edilizia D.P.R. 380/01:

Infatti è stato ribadito più volte in Corte Costituzionale che anche la potestà legislativa esclusiva nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio «deve essere esercitata “senza pregiudizio” delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria» (così, da ultimo, sentenza n. 252 del 2022). Ebbene, la Corte costituzionale ha già riconosciuto che le norme del testo unico dell’edilizia concernenti i titoli abilitativi sono norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto di queste condividono «le caratteristiche salienti» che vanno individuate «nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 24 del 2022). Esse, d’altro canto, «rispondono complessivamente ad un interesse unitario ed esigono, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 198 del 2018).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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