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villetta edificio unifamiliare

Quali criteri stabiliscono l’esonero dal pagamenti di oneri di urbanizzazione e sul costo di costruzione per villette

Tra le poche ipotesi escluse dalla debenza del contributo di costruzione, il Testo Unico Edilizia compare quella riservata ad una particolare tipologia di immobile: l’edificio unifamiliare. Oggi è ammessa dall’articolo 17 c.3 lettera b) del T.U.E, ma riprende sostanzialmente la medesima agevolazione introdotta dalla L. 10/77, per cui si riportano affiancate:

Comparando le due disposizioni si evince una comune linea adottata dal legislatore, con cui esentare dal pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione (i cosiddetti oneri “Bucalossi”).

Le due versioni differiscono per tipologie di intervento: in prima stesura nella L. 10/77 anche gli interventi di restauro e risanamento conservativo erano assoggettati alla Concessione edilizia, sempre onerosa salvo alcune esplicite eccezioni; per questa categoria di intervento il problema fu risolto con l’art. 7 del D.L. n. 9/1982, convertito in legge n. 94/1982, attraverso il quale fu sottoposta all’autorizzazione edilizia gratuita. In comune queste due versioni normative hanno per oggetto l’esenzione dall’onerosità di oneri e contributo sul costo di costruzione gli interventi di ristrutturazione e ampliamento in misura massima del 20%. Il contributo di costruzione si articola in due parti disgiunte, ciascuna delle quale ha come presupposto:

  1. Per oneri di urbanizzazione, la compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall’intervento genera;
  2. Per contributo sul costo di costruzione, è correlato all’aumento di valore che consegue all’intervento.

La deroga all’onerosità della concessione prevista dal citato art. 9 della legge n. 10/1977 (ora art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001) ha “un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale, ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie”. Pertanto, si giustifica la sottrazione all’imposizione dell’aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le suddette finalità di ordine sociale individuate.

Per l’ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo concessorio occorre considerare che, secondo la costante giurisprudenza (Cons. di Stato n. 302/2024, n. 3405/2020, n. 3422/2018, n. 2467/2013), in materia di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge.

Quali edifici rientrano davvero nell’esclusione dal contributo di costruzione?

Anche questa disposizione normativa lascia qualche piccolo margine di interpretazione applicativa, tuttavia la giurisprudenza è utile per trovare riferimenti dettagliati, tra cui la sentenza del Consiglio di Stato n. 3405/2020. Questa fattispecie fa riferimento alla versione normativa prevista dal previgente articolo 9 c.1 lettera d) L. 10/1977, oggi trasfusa praticamente nel T.U.E. all’articolo 17 c.3 lettera b), pertanto trova medesima applicazione.

Al riguardo, si osserva che l’art. 9, comma 1, lettera d), della legge n. 10/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari, si pone l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all’abitazione di un solo nucleo familiare. Il legislatore, pertanto, individua – quali beneficiari dell’esenzione – i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi. In seguito è stata definita la nozione di edificio unifamiliare all’interno del Regolamento Edilizio Tipo nazionale, emanano nel 2016 (definizione nell’Allegato A).

Conforme alla ratio legis è quindi l’interpretazione volta a considerare come parametro, ai fini del calcolo della percentuale di ampliamento ammissibile per l’esenzione, il solo volume e la sola superficie lorda effettivamente destinati a residenza. Invero, essendo l’ampliamento finalizzato a migliorare l’abitabilità dell’edificio sono esclusivamente le parti abitabili a dover essere prese a riferimento per l’applicazione della percentuale del 20%.

Tuttavia non è accettabile l’interpretazione alternativa, che condurrebbe ad applicare, ai fini del rispetto del limite di legge, il rapporto tra il volume (o la superficie piana) esistente (inteso nella sua interezza e, quindi con riferimento alla fattispecie in esame, inclusivo di locali come il loggiato al primo piano, i vani accessori, la soffitta e la cantina al piano terra) e il risultante. Seguendo tale impostazione, invero, si addiverrebbe ad una non consentita applicazione analogica della disposizione e ci si porrebbe in contrasto con la funzione dell’esenzione, finendo per incentivare la realizzazione di ampliamenti di carattere esclusivamente lucrativo. In altre parole nel conteggio di questo incremento percentuale 20% deve tenere conto anche del passaggio delle superfici accessorie a superficie utile abitabile (esempio da cantina a salotto, da garage a camera, e da sottotetto in mansarda abitabile).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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