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Il proprietario potrebbe completare l’intervento al rustico senza fare modifiche significative

Facciamo riferimento ai casi di costruzioni abusive che al momento della presentazione dell’istanza del Condono Edilizio L. 47/85, cioè il primo provvedimento straordinario, e tralasciamo quelli successivi.

In particolare prendiamo in considerazione quella possibilità di completare e ultimare certe situazioni abusive che non avessero raggiunto una configurazione definitiva, come previsto dal comma 13 articolo 35 della legge n. 47/1985. Esso prevede che:

13. Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all’articolo 31 non comprese tra quelle indicate dall’articolo 33. A tal fine l’interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. L’avvenuto versamento della prima e della seconda rata, seguito da garanzia fideiussoria per il residuo, abilita gli istituti di credito a concedere mutui fondiari ed edilizi. I lavori per il completamento delle opere di cui all’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni. I lavori per il completamento delle opere di cui al quarto comma dell’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che sia stata dichiarata la disponibilità dell’ente proprietario a concedere l’uso del suolo.

Vediamo se e come sia possibile completare le costruzioni e manufatti realizzati abusivamente, quando rimangano in attesa di ottenere il condono edilizio presentato a suo tempo.

Definizione di edifici al rustico e incompleti

All’epoca del primo Condono Edilizio (1985) furono presentate molte domande relative ad edifici incompleti, o a condizioni di rustico, per questo il legislatore aveva previsto la possibilità di presentare istanze di condono su edifici con “abusi in itinere”.

Chiaramente la possibilità aveva dei limiti applicativi e valeva per gli edifici aventi un certo “stato di avanzamento lavori”, e per questo fu inserita la condizione di completamento a rustico degli edifici.

L’art. 31 comma 2 della L. 47/85 dispone una condizione essenziale per ottenerne il rilascio:

“si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.

La possibilità si suddivide in due categorie di edifici e opere:

  • nuove costruzioni/volumi: eseguito il rustico + copertura;
  • opere interne a edifici esistenti e a quelle non residenziali: complete funzionalmente;

La definizione di realizzazione al rustico non è contemplata precisamente dalla norma, per questo è necessario chiarire meglio ricorrendo ad alcuni riferimenti giurisprudenziali:

Immobili residenziali: l’esecuzione del rustico comporta che si siano costruiti non il solo scheletro, ma anche le pareti perimetrali, murature di tamponamento, ovvero tamponature, che non si possono certo considerare mere rifiniture (Cons. di Stato n. 1515/2018, 5625/2011, n. 1474/2009).

Immobili non residenziali: è ritenuto necessario che esse esistano in termini strutturali, ovvero presentino in modo non equivoco gli elementi tipici della categoria cui appartengono (Cons. di Stato n. 1515/2018, n. 5060/2016).

Il completamento “comunicato” ex art 35 del Condono non garantisce il suo rilascio successivo

In via generale, la normativa sul condono ammette la permanenza dell’immobile da regolarizzare e ammette in pendenza del relativo procedimento, i soli interventi edilizi diretti a garantirne l’integrità e la conservazione, alle condizioni previste dall’art 35 c. 13 L. 47/85.

Da una parte tale disposizione non preclude in assoluto la possibilità di intervenire sugli immobili con istanze di condono pendenti, ma impone che debbano avvenire nei limiti e nel rispetto delle procedure di legge, a pena di assoggettamento della medesima sanzione demolitoria prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono (Cons. di Stato n. 370/2022).

Dall’altra parte, quando avvengono trasformazioni rilevanti o sostanziali dell’edificio/opere oggetto di condono, c’è il serio rischio che la valutazione della Pubblica Amministrazione diventi impossibile da effettuare e comporto il diniego della domanda stessa, anche verso le opere effettuate posteriormente all’istanza. La motivazione principale è l’irriconoscibilità del manufatto originario oggetto di condono.

Infatti la giurisprudenza amministrativa afferma che:

quando l’immobile abusivo non è meramente integrato, ma è radicalmente sostituito da un altro edificio, l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile stante la radicale trasformazione dell’oggetto originario. Conseguentemente, l’Amministrazione deve emanare il provvedimento di demolizione del nuovo immobile, costruito abusivamente in luogo di quello già realizzato sine titulo” (Cons. di Stato n. 370/2022, n. 665/2018).

Quindi si può affermare che il diniego della domanda di condono potrebbe anche coinvolgere anche le opere di completamento comunicate con la procedura dell’art. 35 L. 47/85.

Chiaramente la situazione diventa sicuramente problematica in presenza o con l’arrivo di nuovi vincoli su questi immobili. Infatti per gli edifici sottoposto a vincolo del D.Lgs. 42/2004 (e quelli analoghi già vigenti prima del Codice), la loro incompletezza apre sicuramente la strada al diniego del condono.

Completamento o trasformazioni postume all’istanza senza la procedura dell’art. 35 del Condono

Riporto anche l’analisi derivante dalla giurisprudenza, relativa alle trasformazioni o completamento effettuato senza attivare la procedura prevista dal comma 13 art. 35 L. 47/85, cioè senza i relativi requisiti e procedura attestante lo stato dei luoghi con perizia giurata.

La regola generale prevede che in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità del manufatto abusivo cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria (Consiglio di Stato n. 496/2022, n. 4473/2021).

APPROFONDIMENTO: Edifici irregolari, divieto di opere ulteriori.

Diciamo pure che esiste una giurisprudenza che concede qualche margine di possibilità di ottenere il condono quando vengono effettuare opere posteriori alla domanda, chiaramente escludendo e scorporando le opere aggiuntive perchè restano comunque assoggettate al regime sanzionatorio vigente del DPR 380/01. In altre parole dovrei dire che forse esiste una remota possibilità di ottenere il rilascio del condono, in funzione della riconoscibilità delle opere del manufatto originario e solo relative ad esso.

Facciamo per esempio riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 496/2022, la quale afferma che:

“qualora, in conseguenza della realizzazione delle opere aggiuntive, l’immobile abbia subito variazioni qualitative e quantitative incidenti sulla tipologia e sulle strutture essenziali dell’opera, tali da dare vita ad un immobile diverso per conformazione, strutturazione o ubicazione, deve ritenersi integrata una soluzione di continuità tra vecchia e nuova costruzione, non potendo l’originario manufatto ritenersi più riconoscibile, attesa la sua sostituzione con un nuovo immobile, interamente abusivo in quanto non legittimato da alcun titolo abilitativo; di conseguenza, da un lato, la domanda di condono dovrebbe ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza dell’oggetto (originario) del provvedere, dall’altro, il nuovo immobile, in quanto non assentito da alcun titolo abilitativo, dovrebbe essere assoggettato alla sanzione demolitoria ex art. 31 DPR n. 380/01.

Qualora, invece, le opere aggiuntive abbiano dato luogo a modificazioni di elementi particolari e non essenziali della costruzione, tali da non influire sull’attuale riconoscibilità del manufatto originario, non può ritenersi cessato l’oggetto della domanda di condono, emergendo un intervento edilizio suscettibile di autonoma considerazione ai fini sanzionatori, che giustifica soltanto un’azione repressiva comunale finalizzata al ripristino dello stato di fatto anteriore, come illustrato nella istanza di sanatoria, su cui l’Amministrazione deve comunque provvedere.

3.4 Tale ricostruzione esegetica, oltre a non risultare incompatibile con il dato positivo, è maggiormente coerente con il dato sistematico e le esigenze di tutela della proprietà sancite a livello costituzionale e sovranazionale.

3.4.1 Difatti, avuto riguardo al dato letterale, lo stesso art. 35 L. n. 47 del 1985 consente all’istante di completare sotto la propria responsabilità le opere oggetto della domanda di condono, al ricorrere dei presupposti sostanziali e procedimentali ivi delineati, ferma rimanendo la necessità per l’Amministrazione di statuire sull’istanza di sanatoria.

Per l’effetto, l’esecuzione di opere successive alla presentazione della domanda di condono non potrebbe, di per sé, determinare un arresto del procedimento di sanatoria, facendosi questione di attività edilizia ammessa (al ricorrere di puntuali presupposti) dalla disciplina positiva, a fronte di un perdurante obbligo di provvedere (sull’istanza di sanatoria) in capo all’Amministrazione richiesta.

Si conferma, dunque, che, a fronte di un intervento edilizio eseguito su un immobile oggetto di domanda di condono non evasa, il Comune è chiamato a ordinare la demolizione delle opere aggiuntive, ma non potrebbe, in assenza di una specifica verifica istruttoria circa la consistenza delle opere eseguite e la loro idoneità ad impedire l’attuale riconoscibilità del manufatto originario, arrestare il procedimento di sanatoria, dichiarando l’improcedibilità della domanda di condono e, all’esito, disponendo la demolizione dell’intera costruzione.

In estrema sintesi, per questa particolare e rara situazione l’ordinamento normativo richiede una valutazione della consistenza delle opere eseguite, precludendo la demolizione integrale dell’immobile ove le difformità o trasformazioni successive riguardino una sua parte non essenziale e suscettibile di autonoma considerazione.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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