La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Di fronte a continue variazioni normative apportate alle categorie di intervento DPR 380/01, ritengo ancora utile l’analisi fatta dal CdS.
Districarsi tra le categorie di intervento edilizio più rilevanti nel Testo Unico Edilizia DPR 380/01 (TUE) non è mai stato facile, perchè occorre individuare le linee di confine tra loro.
Stiamo parlando delle categorie che comportano modifiche sostanziali agli edifici e al territorio, in particolare quelle previste nel TUE:
- nuove costruzioni (art. 3 c.1 lettera e) e art. 10 c.1 lettera a)
- ristrutturazione edilizia “pesante” (art. 10 c.1 lettera c)
- ristrutturazione edilizia “generale” (art. 3 c.1 lettera d)
Le prime due di queste tipologie di intervento costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e pertanto sono subordinati a permesso di costruire, in base all’art. 10 comma 1 TUE.
Faccio presente che ancora oggi vige una parte del D.Lgs. 222/2016 Allegato A ancora (poco) compatibile col TUE; la vera difficoltà è nello stabilire cosa sia davvero ancora compatibile e cosa non lo è più.
Questo tipo di argomento lo avevo già trattato nel blog in questo approfondimento e in altri, nei quali arrivo alla stessa conclusione di oggi: permangono ancora oggi alcune ambiguità nel distinguere queste categorie rilevanti a causa della scrittura degli articoli 3 e 10 del DPR 380/01.
In principio la categoria di ristrutturazione edilizia era unica e fu introdotta nella L. 457/1978 art. 31, e rimase tale fino all’entrata in vigore del DPR 380/01; da allora vi è stata una sorta di “scissione” o “duplicato” tra ristrutturazione edilizia “normale” e pesante”, in quanto la definizione generale è inserita nelle categorie di intervento (art. 3) mentre la speciale versione “pesante” è inserita nell’art. 10 comma 1 TUE tra le opere soggette a Permesso di Costruire.
Possiamo aggiungere che dall’introduzione del TUE a oggi tutte le modifiche alla categoria di ristrutturazione edilizia “generale” presente nell’art. 3 c.1 lettera d) sono avvenute contemporaneamente a quelle della speciale ristrutturazione pesante in art. 10 comma 1.
Diciamo che viaggiano in parallelo tra loro, con modifiche apportate in maniera altrettanto parallela e coordinata tra loro.
Ma la vera domanda da farsi è quali criteri e logiche bisogna usare per distinguere correttamente tra loro la categoria di intervento e relativa procedura? In fin dei conti sono tipologie di intervento delicate, di notevole rilevanza anche sul profilo penale.
Al netto delle modifiche apportate al TUE dalla L. 34/2022 e dall’imminente conversione in legge del DL Aiuti n. 50/2022, ho trovato un’interessante chiarimento emerso dall’Adunanza n. 378/2022 del Consiglio di Stato (12 gennaio 2022, affare numero 544/2021), che tiene conto della L. 120/2020.
Ritengo utile pubblicarla integralmente perchè, pur consapevole delle modifiche normative successive ad essa, sono molto interessanti i chiarimenti e criteri forniti per individuare le categorie e procedure di intervento.
Trovo interessante un passaggio centrale del chiarimento, anche per profili civilistici sulle distanze legali, è il seguente:
«Da tale norma è dato di ricavare la sostanziale assimilabilità dell’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza. In buona sostanza, quando l’intervento edilizio sulla preesistenza modifichi quest’ultima con riferimento ai parametri urbanistico-edilizi sopra evidenziati, l’opera in relazione a questi ultimi deve essere valutata come una innovazione rilevante in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio ed è soggetta, per le parti di interesse, alle regole generali che presidiano e disciplinano l’edificazione sul territorio comunale. Sicchè la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia “pesante” restano assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire e soggiacciono al regime delle distanze previsto dalla normativa urbanistica.»
Concludo salutando e invitando alla lettura dell’Adunanza riportata integralmente di seguito (fonte: sito giustizia-amministrativa.it)
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 12 gennaio 2022
NUMERO AFFARE 00544/2021
OGGETTO:
Ministero delle infrastrutture e della mobilita’ sostenibili.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor Fulvio Mazzoleni contro il Comune di Manerba del Garda e nei confronti della signora Maria Antonietta Marciano, per l’annullamento dell’ordinanza di sospensione lavori n. 19/2020, pratica edilizia 2020/000091/SCIA, del 19-5-2020, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
LA SEZIONE
Vista la relazione, prot. n. 7767 del 5-5-2021, con la quale il Ministero delle infrastrutture e della mobilita’ sostenibili- Dipartimento per la programmazione, le infrastrutture di trasporto a rete e i sistemi informativi ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
Visto il parere interlocutorio della Sezione n. 1416/2021 del 19-8-2021, reso nell’adunanza del 7-7-2021;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Francesco Mele;
Premesso:
Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato in data 15-9-2020, il signor Fulvio Mazzoleni ha impugnato l’ordinanza n. 19/2020 del 19-5-2020, emessa dal Responsabile dell’Area tecnica del Comune di Manerba del Garda, con la quale è stata ordinata la sospensione dei lavori di cui alla SCIA presentata in data 5-3-2020 prot. n. 2020/0003524 per la realizzazione di lavori di “Ristrutturazione-ampliamento edificio di civile abitazione” da eseguirsi in via Castello n. 36.
Ne ha dedotto l’illegittimità e ne ha chiesto, pertanto, l’annullamento.
Il ricorrente ha esposto di essere proprietario di una porzione di immobile ad uso abitativo, catastalmente identificato al foglio 11, part. 13331 e part. 103, sub 3 e 4, in relazione alla quale aveva segnalato, con SCIA del 4-3-2020, l’inizio di lavori di ristrutturazione-ampliamento, prevedenti, tra l’altro l’ampliamento dell’attuale lavanderia (+ mq. 6, 12 – + mc. 22, 93) con formazione di tetto piano, non comportanti aumento di superficie coperta in quanto realizzato all’interno dell’ingombro dell’edificio attuale; evidenziando, altresì, che tale intervento, verso la proprietà confinante Marciano, non subiva alcuna modificazione, sviluppandosi l’ammesso e modesto ampliamento volumetrico in linea orizzontale e non in altezza, senza incremento di superficie coperta in quanto già coperta da corte pavimentata.
Ha, inoltre, evidenziato che, a seguito di richiesta di integrazione documentale da parte del Comune, il quale aveva segnalato la realizzazione di un sopralzo che avrebbe richiesto, in assenza di convenzione con il privato confinante, il rispetto della distanza di metri 5 dal confine, aveva reso chiarimenti, segnalando che l’intervento integrava una ristrutturazione edilizia e non urbanistica, per la quale valeva l’allineamento dell’edificio preesistente.
Ha lamentato che, nonostante i chiarimenti resi, il Comune aveva disposto, con il provvedimento odiernamente impugnato, la sospensione dei lavori, confondendo il concetto di nuova costruzione con quello di ristrutturazione urbanistica ed edilizia.
Con unico ed articolato mezzo di gravame, egli lamenta: Violazione, falsa ed errata applicazione degli articoli 873 c.c., 3, comma 1, lettere d) ed f) del DPR n. 380 del 2001- violazione dell’art. 5, comma 1, lettera B della legge regionale n. 18/2019, degli artt. 27, 36 della legge regionale Lombardia n. 12/2005, degli articoli 3, 9 e 5 (sottocapitolo 5- lettera 2), 21.7 commi 2 e 3 delle NTA del PDR del PGT vigente – eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti- eccesso di potere per carente motivazione e per errata qualificazione dell’intervento quale ristrutturazione urbanistica/nuova costruzione e non ristrutturazione edilizia.
Deduce che il provvedimento impugnato si fonda sull’assunto che sarebbe necessario acquisire il consenso del privato confinante ovvero rispettare la distanza di metri 5 dal confine, trovando applicazione la seconda parte del comma 2, articolo 21.7 NTA PGT vigente, trattandosi di intervento di ristrutturazione urbanistica/nuova costruzione.
La determinazione comunale sarebbe illegittima in quanto l’intervento posto in essere configura mera ristrutturazione edilizia, pienamente corrispondente alla definizione datane sia dalle NTA del PGT (art. 3-9.5) sia dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del TU Edilizia di cui al DPR n. 380/2001.
Non trova, dunque, applicazione la disposizione di cui all’articolo 21.7 comma 2 delle NTA, richiedente il rispetto della distanza di mt. 5 ovvero convenzione derogatoria con il privato confinante, ma la previsione del comma 1, richiamante il rispetto delle distanze degli edifici esistenti.
In proposito, è irrilevante la sopraelevazione eseguita, in quanto, da giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, trova applicazione, in caso di sopraelevazione, il principio di prevenzione.
Il ricorrente evidenzia, altresì, che il modesto ampliamento previsto, tra l’altro urbanisticamente consentito, lascia inalterata la qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia, non potendo lo stesso integrare una nuova costruzione, non effettuandosi una costruzione ex novo né interventi radicali determinanti una diversa collocazione dei volumi edilizi; rilevando, altresì, che la costruzione, a lato della proprietà Marciano, già sormontava quella del vicino di circa 20 cm. e l’incremento di altezza previsto, rispetto alla preesistenza, non supera i 10 cm., con il piano di calpestio della copertura inibito all’uso e non costituente terrazza.
Tra l’altro, la classificazione dell’intervento, costituente ristrutturazione edilizia, va effettuata tenendo conto dei lavori nel loro complesso e non può riguardare solo una parte di essi (nella specie, l’ampliamento).
Il Comune di Manerba sul Garda ha formulato le proprie controdeduzioni al ricorso straordinario, con memoria datata 7-1-2020, deducendone l’infondatezza.
La controinteressata ha formulato anch’essa controdeduzioni al ricorso straordinario, con memoria del 16-11-2020, rilevando la legittimità dell’impugnata ordinanza.
Il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili- Dipartimento per la programmazione, le infrastrutture di trasporto a rete e i sistemi informativi, con nota prot. n. 8128 del 10-5-2021, ha trasmesso la prescritta relazione, chiedendo a questo Consiglio di Stato l’espressione del parere.
L’autorità riferente ha espresso l’avviso che il ricorso debba essere respinto in quanto infondato.
La controinteressata ha presentato memoria di osservazioni, datata 26-5-2021, nella quale ha evidenziato che il manufatto del ricorrente costituisce, per caratteristiche e consistenza, una nuova costruzione, soggetta al rispetto delle distanze prescritte.
Il ricorrente ha presentato memoria di replica, datata 5-6-2021, con la quale ha contestato le conclusioni della relazione ministeriale ed ha controdedotto ai rilievi svolti dal Comune e dalla signora Marciano, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Con parere interlocutorio n. 1416/2021 del 19-8-2021, reso nell’adunanza del 7-7-2021, la Sezione ha disposto incombenti istruttori, chiedendo relazione di chiarimenti al Comune di Manerba sul Garda.
L’ente locale ha eseguito l’adempimento istruttorio richiesto, trasmettendo relazione datata 19-10-2021.
Il ricorrente, con memoria di replica del 23-11-2021, ha controdedotto alla relazione del Comune, contestandone i contenuti ed insistendo per l’accoglimento del gravame.
Considerato:
Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
E tanto per le considerazioni che di seguito si svolgono.
Il Collegio ritiene, ai fini della decisione, di dover previamente chiarire l’esatta qualificazione giuridica dell’intervento oggetto della SCIA presentata dal ricorrente.
Nella relazione tecnica ad essa allegata si legge quanto segue: “Trattasi di progetto per ampliamento di un edificio di civile abitazione…inserito in zona ‘NAF-art. 21 NTA del PdR’ con ammesso un incremento volumetrico pari al 20% dell’esistente. Nel rispetto delle norme di cui sopra, il progetto prevede: a) l’ampliamento dell’attuale lavanderia (+ mq. 6, 12- +mc.22, 93) con formazione di tetto piano; b) la modifica delle aperture di facciata; c) la rimozione della scala esterna. L’intervento non prevede aumento di superficie coperta in quanto l’intervento è previsto all’interno del perimetro di ingombro del fabbricato…”.
I grafici allegati al progetto (“Dati di progetto”), in uno alla documentazione fotografica in atti, evidenziano che l’originario locale deposito viene ampliato nella sua consistenza in senso orizzontale al lato opposto rispetto alla proprietà della controinteressata e viene poi ampliato anche in altezza per tutto il suo nuovo ingombro.
Vi è, invero, che la originaria altezza media, pari a mt. 2, 38, viene portata a mt. 2, 90 (parte ricorrente, nella propria memoria del 5-6-2021, sostiene in proposito che l’intervento è stato realizzato con un’altezza media di mt. 2, 70 e la presenza in concreto di un’altezza media inferiore a quella di progetto, ma comunque superiore a quella originaria, sembra trovare conferma nella relazione di sopralluogo dell’UTC del Comune del 30-9-2020, laddove, dopo aver chiarito che “si evidenzia la presenza di cassettature che non permettono di rilevare la quota di impostazione del fabbricato e lo spessore del solaio” si precisa che “le quote in oggetto sono presumibilmente inferiori rispetto a quelle riportate negli elaborati grafici di progetto allegati alla SCIA”).
Inoltre, la copertura originaria in eternit, a conformazione inclinata, viene sostituita da un tetto in c.a. piano e sulla parete prospiciente la strada viene prevista l’apertura di due finestre (dalla documentazione fotografica ne risulta realizzata solo una); evidenziandosi, altresì, che due delle originarie pareti del deposito risultano essere state demolite e ricostruite, mentre rimangono non modificate la parete a confine con la proprietà della controinteressata e quella adiacente al fabbricato di proprietà del ricorrente.
Ciò posto, la Sezione ritiene che l’intervento edilizio come sopra descritto rimanga nell’ambito della ristrutturazione edilizia e non può, nel suo complesso, essere considerato quale intervento di nuova costruzione.
Vi è, invero, che l’opera progettata amplia, in lunghezza ed in altezza, il precedente locale ripostiglio.
Va in proposito considerato che l’area di sedime resta, salvo l’ampliamento in orizzontale, la medesima e due delle pareti originarie non risultano oggetto di demolizione e ricostruzione, conservandosi pure l’originaria destinazione a ripostiglio del manufatto.
La modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume della originaria costruzione, peraltro, non consentono di qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria, prevista dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del DPR n. 380 del 2001, rientrando invece lo stesso nella diversa categoria della ristrutturazione edilizia “pesante”, contemplata dall’articolo 10 del testo unico dell’edilizia.
La richiamata lettera d) dell’articolo 3, nel testo vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato (cui è necessario fare riferimento, dovendo la verifica di legittimità dell’atto amministrativo essere effettuata sulla base del dato normativo vigente all’epoca della sua emanazione), dispone che rientrano nella ristrutturazione edilizia “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica…”; precisandosi, altresì, che “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia solo ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
Dalla lettura della disposizione emerge chiaramente come non rientrino nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti quegli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici e, nelle zone vincolate (come quella in esame, per come emerge dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune con atto n. 429/2019 del 18-2-2020), quelli che comportino modifiche della sagoma degli edifici.
L’articolo 10 del Testo unico (nella formulazione vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato) prevede, invece, che “Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: …c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti…nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Da tale norma è dato di ricavare la sostanziale assimilabilità dell’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza.
In buona sostanza, quando l’intervento edilizio sulla preesistenza modifichi quest’ultima con riferimento ai parametri urbanistico-edilizi sopra evidenziati, l’opera in relazione a questi ultimi deve essere valutata come una innovazione rilevante in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio ed è soggetta, per le parti di interesse, alle regole generali che presidiano e disciplinano l’edificazione sul territorio comunale.
Sicchè la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia “pesante” restano assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire e soggiacciono al regime delle distanze previsto dalla normativa urbanistica.
Questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, IV, 2-4-2019, n. 2163; IV, n. 5466/2020) ha, invero, chiarito che, indipendentemente dalla qualificazione di un intervento in termini di ristrutturazione o di nuova costruzione, nell’ipotesi in cui un manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte poiché esso – quanto alla sua collocazione fisica – rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare le norme sulle distanze; precisandosi, altresì, che la distanza preesistente può essere conservata quando ci si contenga nei limiti preesistenti di altezza, volumetria e sagoma dell’edificio, mentre si ha un novum e, dunque, una nuova costruzione per ciò che eccede (cfr. Cons. Stato, IV, 12-10-2017, n. 4728).
Dai principi giurisprudenziali innanzi richiamati, emerge chiaramente che ove l’intervento edilizio di ristrutturazione comporti incrementi volumetrici ovvero modifiche della sagoma, che si realizzino, come nella fattispecie in esame, nell’incremento dell’altezza del preesistente manufatto e nella realizzazione di una copertura piana in luogo di quella originaria inclinata, tali parti, connotate da innegabili profili di novità rispetto alla preesistenza, soggiacciono al limite delle distanze e non possono essere assorbiti dalla regola della mera osservanza delle distanze preesistenti applicabile alla porzione di edificio originaria.
Le considerazioni innanzi svolte evidenziano, pertanto, che il corretto inquadramento dell’intervento edilizio del ricorrente si palesa in termini di ristrutturazione edilizia “pesante”.
D’altra parte, tale qualificazione, al di là dei non condivisibili rilievi sul punto svolti negli atti difensivi del presente affare, era ben conosciuta e condivisa dal signor Mazzoleni, il quale, come emerge dalla SCIA presentata al Comune, ha prodotto una segnalazione certificata di inizio di attività alternativa al permesso di costruire.
Barrando le relative caselle del modulo di domanda predisposto dal Comune, egli, infatti, la indica come “SCIA alternativa al permesso di costruire”; precisandosi nella parte “Relazione tecnica di asseverazione” che “le opere in progetto sono subordinate a Segnalazione Certificata di Inizio Attività Alternativa al Permesso di Costruire in quanto rientrano nella seguente tipologia…interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti….nonchè gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 e successive modificazioni”.
Individuato l’intervento edilizio per cui è controversia come ristrutturazione edilizia “pesante”, occorre a questo punto verificare se per lo stesso sia applicabile, in tema di distanze, la norma invocata dal ricorrente; segnatamente, l’articolo 21.7, comma 2, prima parte delle Norme Tecniche di Attuazione del “Piano delle Regole A01 PdR rev.02” da questi richiamata per sostenere che il manufatto avrebbe potuto essere incrementato nell’altezza e, dunque, nella volumetria originaria in continuità con la collocazione del locale deposito originario costruito a confine con la proprietà della controinteressata.
La Sezione ritiene che tale disposizione non sia applicabile all’intervento edilizio progettato, in quanto, come sopra detto, ristrutturazione edilizia “pesante”.
L’articolo 21.7 delle richiamate Norme Tecniche di Attuazione disciplina, al punto 2, Il “Distacco fra gli edifici, dai confini”.
Esso prevede, nella prima parte, che “per le operazioni di manutenzione straordinaria, restauro, ristrutturazione e risanamento conservativo, le distanze tra gli edifici e dai confini non possono essere inferiori a quelle preesistenti computate senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale”.
Come è ben evidente dalla lettura della disposizione, essa utilizza il termine generico “ristrutturazione”, senza precisare se essa si riferisca alla sola ristrutturazione “ordinaria” senza incremento dei volumi, di altezza, sagoma e prospetti, ovvero sia riferibile anche alla ristrutturazione edilizia “pesante”, connotata, come nella fattispecie in esame, dai suddetti elementi innovativi.
Il Collegio ritiene che la norma, interpretata alla luce delle disposizioni legislative disciplinanti la ristrutturazione edilizia e dei contenuti delle NTA vigenti per l’area di interesse, sia riferibile alla sola ristrutturazione edilizia ordinaria.
Vi è in primo luogo da considerare che l’articolo 3 delle NTA, rubricato “Definizione delle categorie di attività costruttive”, contiene la definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, precisando, al comma 8, che “Per interventi di ristrutturazione edilizia si intende quanto stabilito dalla parte II, titolo I, articolo 27, comma 1, lettera d) della L.R. 11 marzo 2005, n. 12 e dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del DPR n. 380/2001”.
Vi è, dunque, un rinvio alle disposizioni legislative, regionali e nazionali, che disciplinano i contenuti della ristrutturazione edilizia.
Come si è in precedenza visto, l’articolo 3, comma 1, lettera d) del Testo unico dell’edilizia, nella formulazione vigente alla data di emanazione del provvedimento impugnato, contiene la definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia ordinario, il quale si connota per l’assenza di incrementi volumetrici, di altezza, di sagoma e dei prospetti degli edifici preesistenti.
Tra l’altro, questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, II, 12-8-2019, n. 5663; II, 20-5-2019, n. 3208) ha più volte affermato che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non coincidere con una nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente quanto a sagoma, superfici e volumi.
L’articolo 3 delle citate NTA non contiene, invece, alcun riferimento all’articolo 10 del Testo unico e, quindi, alla ristrutturazione edilizia “pesante”, inducendo tanto a ritenere che la norma invocata dal ricorrente non valga a giustificare la mera osservanza delle distanze preesistenti anche nel caso in cui l’opera ristrutturata presenti incrementi volumetrici, di altezza e di sagoma.
Tanto trova conferma nel fatto che il medesimo articolo 3 reca una definizione separata di ampliamento e di sopralzo, evidenziando in tal modo che tali tipologie di interventi sono, nella considerazione del pianificatore comunale, distinti dalla nozione di ristrutturazione pure disciplinata dal medesimo articolo e che, di conseguenza, quest’ultima si riferisca alla sola ristrutturazione ordinaria.
Difatti, l’ampliamento ed il sopralzo, intesi comunque come interventi edilizi su di un manufatto preesistente, risultano disciplinati dai precedenti commi 2 e 3 dell’articolo 3.
Il comma 2 dispone che “Per ampliamento s’intende il complesso dei lavori finalizzati all’ampliamento di un fabbricato esistente che comporti una maggiorazione volumetrica dello stesso. Ai sensi dell’articolo 17, comma 3, lettera b) del DPR 380/01 e s.m.i. gli ampliamenti di edifici residenziali unifamiliari contenuti nella misura del 20% dei parametri preesistenti sono a titolo gratuito”. Il successivo comma 3 definisce, poi, il sopralzo come “un ampliamento della costruzione in senso verticale”.
La non riconducibilità al concetto di ristrutturazione contemplato dalle NTA e, in particolare, a quello contenuto nella prima parte del punto 2 dell’articolo 21.7 invocata dal ricorrente, di interventi su di un fabbricato preesistente che ne comportino ampliamenti volumetrici ed incrementi di altezza risulta evincibile anche dall’articolo 21.8 delle NTA, che qualifica tali interventi innovativi come “nuove costruzioni”.
Ed, invero, tale ultima disposizione, rubricata “Nuove costruzioni” prevede, al comma 1, che all’interno dei NAF “L’edificazione di nuove costruzioni è consentita esclusivamente nei seguenti casi: a) all’interno dei piani attuativi, nei casi previsti dal presente articolo; b) completamento del tessuto edilizio in applicazione delle schede di analisi; c) sostituzione di edifici preesistenti (in applicazione delle previsioni di piano); d) sopralzo/ampliamento degli edifici esistenti secondo le indicazioni contenute nelle schede del NAF…”.
Sulla base di quanto sopra esposto, pertanto, la Sezione ritiene che all’intervento di ristrutturazione “pesante”, come richiesto dal ricorrente, non sia applicabile la previsione della prima parte del richiamato articolo 21.7, comma 2 delle NTA che prevede che per l’intervento di ristrutturazione le distanze tra gli edifici e dai confini non possono essere inferiori a quelle preesistenti. Di conseguenza, egli non può invocare, alla luce della stessa, l’applicazione del principio civilistico della prevenzione, che gli consentirebbe di realizzare l’incremento volumetrico previsto dal progetto in altezza direttamente sul confine, in elevazione al manufatto preesistente, senza necessità di osservare distanze dal confine e dai fabbricati.
Deve a questo punto essere evidenziato che il Comune di Manerba sul Garda ha disposto, con il provvedimento impugnato, la sospensione della SCIA ritenendo nella specie applicabile la seconda parte del richiamato punto 2 dell’articolo 21.7 delle NTA; ha ordinato, pertanto, la sospensione dell’attività edilizia, in quanto, risultando essere stato realizzato il sopralzo a confine con la proprietà della controinteressata (e, dunque, non nel rispetto della distanza di metri 5 dallo stesso), occorreva, per la legittima edificazione, una “convenzione registrata e trascritta tra i privati confinanti”.
Prima di esaminare la problematica relativa alla applicabilità della norma richiamata dall’ente locale alla fattispecie in esame è necessario svolgere alcune considerazioni in ordine al principio civilistico della prevenzione, invocato dal ricorrente, ed ai suoi presupposti di operatività.
L’articolo 873 del codice civile dispone che “Le costruzioni sui fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.”.
Secondo il principio della prevenzione temporale, il proprietario che costruisce per primo determina le distanze che devono essere osservate per le costruzioni sui fondi vicini (cfr., ex multis, Cass. civ. SS.UU., 19-5-2016, n.10318).
In particolare, il preveniente è titolare di una triplice facoltà alternativa: egli può in primo luogo edificare rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice; egli può, inoltre, costruire sul confine ovvero edificare ad una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
A fronte della scelta operata dal preveniente, il vicino che costruisce successivamente, nel primo caso, deve costruire anch’esso ad una distanza dal confine pari alla metà di quella prevista, in modo da rispettare il prescritto distacco legale dalla preesistente costruzione. Nel secondo caso, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (art. 874 c.c.) o realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso (art. 877 c.c, comma 1); ove non intenda costruire sul confine, è tenuto ad arretrare il suo edificio in misura pari all’intero distacco legale.
L’articolo 877 c.c., rubricato “Costruzioni in aderenza”, dispone, poi, che “Il vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine, può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente”.
In ragione del carattere integrativo alle disposizioni del codice civile della normativa contenuta nei regolamenti locali e, dunque, negli strumenti urbanistici, la giurisprudenza ritiene concordemente che il principio di prevenzione non opera quando la disciplina regolamentare impone il rispetto di una distanza delle costruzioni dai confini (cfr., ex multis, Cass. civ. n. 23693/2014; n. 23189/2012; n. 18728/2005; n. 627/2003; n. 12561/02; n. 4895/2002; n. 4366/2001; 10600/99; n. 4438/1997; n. 3737/1994).
L’operatività del principio non è, invece, esclusa quando gli strumenti urbanistici, pur prevedendo determinate distanze dal confine, contemplino comunque la possibilità di costruire in aderenza o in appoggio (cfr. Cass. civ. SS.UU. 19-5-2016, n. 10318; II, 11-12-2015, n. 25032) ovvero quando il regolamento locale si limiti a stabilire solo una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile senza peraltro imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine.
Tanto premesso, è necessario verificare se la disposizione delle NTA richiamata dal Comune escluda l’operatività del principio di prevenzione invocato dal ricorrente e se la stessa risulti applicabile alla fattispecie concreta oggetto della presente controversia.
La seconda parte del punto 2 dell’articolo 21.7 delle Norme Tecniche di Attuazione dispone che “Per interventi di ristrutturazione urbanistica si dovranno tenere presenti i seguenti distacchi minimi: – 10,00 m. dagli edifici; -5, 00 m. dai confini; ovvero: aderenza agli edifici preesistenti o edificazione a confine previa convenzione registrata e trascritta tra i privati interessati.”.
Orbene, la norma prevede la costruzione in aderenza o sul confine; tuttavia, non la rimette alla libera ed incondizionata scelta del soggetto che intende realizzare l’intervento, ma la subordina all’esistenza di un accordo con il vicino registrato e trascritto; in tal modo escludendo l’operatività del principio di prevenzione, valendo, in mancanza della citata convenzione, la regola generale del rispetto della distanza minima dal confine di cinque metri.
L’intervento edificatorio sul confine o in aderenza non è, dunque, possibile se manca l’accordo con il privato, ritualmente formalizzato secondo le prescrizioni della richiamata disposizione delle NTA.
Ciò posto, è necessario verificare se la regola contenuta nella seconda parte del punto 2 dell’articolo 21.7 risulti applicabile all’intervento edilizio realizzato dal ricorrente, il quale, come sopra visto, costituisce una ristrutturazione edilizia “pesante”, connotata, rispetto al manufatto preesistente, anche da elementi di evidente novità, consistenti, oltre che nella modifica della sagoma e dei prospetti, nell’incremento volumetrico realizzato sia in senso orizzontale che verticale; quest’ultimo operato attraverso un incremento di altezza (in progetto di circa 50 cm. e, secondo quanto riferito dal ricorrente, concretamente realizzato per la misura inferiore di 30 cm) che interessa l’intero manufatto a partire dal confine con la controinteressata.
In proposito, deve essere osservato che la disposizione di cui alla norma sopra richiamata si riferisce espressamente agli interventi di “ristrutturazione urbanistica”, i quali, come disposto dall’articolo 3, comma 1, lett. f), sono “quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”.
L’intervento di ristrutturazione edilizia “pesante” progettato dal ricorrente non costituisce certamente ristrutturazione urbanistica, risultando lo stesso limitato ad un unico fabbricato, senza incidenza sulla rete stradale ovvero sul disegno dei lotti e degli isolati.
La disposizione, peraltro, a giudizio del Collegio può essere applicata anche all’intervento realizzato dal ricorrente, in quanto espressione di una regola generale, ricavabile dalla complessiva lettura delle NTA, le quali impongono l’osservanza di distanze dal confine e, in alternativa, consentono la costruzione sul confine o in aderenza solo in presenza di una convenzione con il privato, tutte le volte in cui l’intervento edilizio si caratterizzi per la realizzazione di un novum.
L’articolo 11.6 delle NTA, rubricato “Distanza dai confini”, prevede, al punto 3, che “Nel caso di costruzioni a distanza inferiore a quella prevista dalle presenti norme, dovranno essere soddisfatte entrambe le seguenti condizioni: a. mantenimento del distacco tra gli edifici di cui al punto 11.5 del presente articolo; b. stipula d’apposita convenzione registrata e trascritta tra le parti confinanti”.
La disposizione esprime chiaramente la regola generale secondo la quale la deroga alle distanze dal confine prescritte può avvenire solo in presenza di una convenzione tra i soggetti interessati.
L’articolo 21.8, rubricato “Nuove costruzioni” prevede, all’interno dei NAF, la realizzazione di “sopralzo/ampliamento degli edifici preesistenti”, ma subordina tale intervento al rispetto delle “indicazioni contenute nelle schede dei NAF”.
E’, dunque, evidente che, in mancanza di diverse prescrizioni contenute in tali schede, trovino applicazione le disposizioni generali e, dunque, anche l’obbligo della nuova edificazione rispettando le distanze dai confini.
Tanto trova conferma nel punto 7 dell’articolo 21.1 delle NTA, il quale prevede che “Le disposizioni che normano ogni intervento di tipo urbanistico ed edilizio nei Nuclei di Antica formazione sono di tipo sia generale, ovvero fanno riferimento alle disposizioni generali del Piano delle Regole del PGT, che specifico, vale a dire prevedono delle prescrizioni applicabili esclusivamente agli edifici ed agli isolati individuati internamente al perimetro dei nuclei antichi”.
L’obbligo del rispetto della distanza dai confini è, altresì, contemplato dall’articolo 27, recante “Parametri generali per gli interventi negli ambiti del PDR”, laddove l’articolo 27.2, in tema di distanze, prevede che per gli interventi assentibili con permesso di costruire (quale quello in esame, ai sensi dell’articolo 10 del DPR n. 380/2001, trattandosi di ristrutturazione edilizia “pesante”) soggiacciono ad una distanza dai confini mai inferiore ai 5 metri.
L’esame complessivo delle NTA (documento “Piano delle Regole A01 PdR rev 02- Norme Tecniche di Attuazione”) evidenzia, pertanto, in presenza di una disciplina specifica per la ristrutturazione riferita alla sola ristrutturazione edilizia ordinaria, che agli interventi di ristrutturazione urbanistica pesante, connotantisi per incrementi di volumetria, di altezza e modifiche della sagoma e dei prospetti originari, non possono non applicarsi le previsioni che impongono il rispetto della distanza dai confini, risultando questo un principio generale ricavabile dalle stesse NTA per gli interventi che si connotino in termini di novità nella trasformazione edilizia del territorio, il quale impedisce l’applicazione del principio di prevenzione invocato dal ricorrente, potendo l’edificazione sul confine o in aderenza essere realizzata in deroga solo in presenza di una convenzione tra i privati interessati.
La specifica disposizione da applicarsi in caso di ristrutturazione edilizia pesante, espressione del principio generale di cui sopra, viene, pertanto, correttamente individuata in quella relativa alla ristrutturazione urbanistica, giacchè, tra gli interventi sul patrimonio edilizio esistente, questo è quello che si caratterizza per la presenza di elementi di novità nella edificazione, che si aggiungono alla preesistenza e vanno, di conseguenza, ritenuti rilevanti ai fini del rispetto delle distanze.
Né può condivisibilmente sostenersi che il Comune avrebbe dovuto richiamare, quale disposizione ostativa, l’articolo 21.8, relativo alle nuove costruzioni, considerandosi che nella specie l’intervento eseguito, attraverso la parziale demolizione e ricostruzione dell’originario deposito, non costituisce, sotto il profilo urbanistico-edilizio, nuova costruzione nella sua integralità, ma realizzazione di un sopralzo e di un incremento volumetrico posto in essere in una operazione edificatoria unitaria che ha riguardato comunque anche parti della originaria consistenza, che sono state ripristinate.
Può, pertanto, affermarsi che l’articolo 21.7, punto 2, seconda parte, espressamente riferito alla ristrutturazione urbanistica, contempli una situazione connotata da evidente similitudine rispetto a quella della ristrutturazione edilizia “pesante”, risultando in entrambi i casi, nella realizzazione di interventi sul patrimonio edilizio esistente, elementi costruttivi innovativi in tema di trasformazione edilizia del territorio, di cui deve tenersi conto ai fini del rispetto delle distanze dalle proprietà finitime.
Gli elementi di novità sopra rappresentati rispetto alla preesistenza, connotanti l’intervento di ristrutturazione edilizia “pesante”, rendono evidente la possibilità, in assenza di specifica disposizione, di applicare ad essa la previsione relativa alla ristrutturazione urbanistica, sussistendo in entrambe le fattispecie la medesima esigenza di tutela, sottesa all’imposizione di distanze dal confine, del consentire la realizzazione dell’ordinato assetto del territorio attraverso una edificazione che non sia eccessivamente concentrata ed assicuri la presenza di spazi liberi tra le proprietà finitime; garantendo, nel contempo, anche i diritti dei confinanti, ai quali è rimessa, attraverso una convenzione derogatoria, la possibilità di consentire la realizzazione della costruzione sul confine o in aderenza.
Tali esigenze rispondono, inoltre, ad un principio generale di regolazione della trasformazione edilizia del territorio comunale in materia di distanze, il quale, come sopra visto, è ricavabile dalla lettura complessiva delle NTA.
L’applicazione da parte del Comune della previsione della seconda parte del punto 2 dell’articolo 21.7 risulta, pertanto legittima, non potendosi, inoltre, non considerare che la stessa risulta conforme ad altro principio generale consacrato nel testo unico dell’edilizia e, segnatamente nel comma 3 dell’articolo 11.
Questo prevede, infatti, che “Il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”.
Orbene, osserva la Sezione che la salvezza dei diritti dei terzi non determina in via esclusiva la regola della mancata incidenza del permesso di costruire sui diritti spettanti a terzi in base alle norme del diritto civile, ma impone, altresì, al Comune di tenerli presenti nel procedimento di rilascio del titolo edificatorio e, pertanto, di astenersi dall’autorizzare l’edificazione tutte le volte in cui l’abilitazione edilizia possa pregiudicarli.
In tale contesto, dunque, l’applicazione da parte dell’ente locale della seconda parte del richiamato punto 2 dell’articolo 21.7 delle NTA è quella che, nell’equo contemperamento dei contrapposti interessi, maggiormente tutela il privato confinante, il quale si vedrebbe altrimenti costretto, suo malgrado e senza aderirvi, a subire una sopraelevazione sul confine, in presenza di un intervento edilizio che non si limita a conservare la preesistenza, ma vi apporta modificazioni costituenti un novum in una situazione nella quale non può operare il principio di prevenzione.
Deve, d’altra parte, essere sottolineato che la possibilità di sopraelevare invocando il principio di prevenzione in relazione alla circostanza che l’addizione viene realizzata su di un manufatto originario già costruito sul confine è chiaramente esclusa dalla giurisprudenza.
Questa, infatti, con orientamento costante, ha avuto modo di sottolineare che il diritto di prevenzione riconosciuto a chi edifica per primo si esaurisce con il completamento, dal punto di vista strutturale e funzionale, della costruzione e non può, quindi, giovare automaticamente per la successiva sopraelevazione , che a tutti gli effetti deve essere considerata come nuova costruzione e che può essere conseguentemente eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali operante al momento di realizzazione di questa (cfr., ex multis, Cass.civ., II, 5-3-2018, n. 5049; II, 11-5-2018, n. 9646; II, 21-5-2001, n. 6926; II, 17-6-1992, n. 7456).
La qualificazione, ai fini del rispetto delle distanze, della sopraelevazione, anche di modeste dimensioni, in termini di nuova costruzione trova, invero, giustificazione nel fatto che essa comporta sempre un incremento di volumetria e della superficie di ingombro (cfr., ex multis, Cass. civ., II, 12-2-2021, n. 3684; III, 15-6-2018, n. 15732; II, 24-5-2000, n. 6809).
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte deve, dunque, ritenersi l’infondatezza del ricorso; ulteriormente ribadendosi che non possono trovare favorevole ingresso nel presente contenzioso, ai fini di un diverso esito della controversia, le considerazioni spese dal ricorrente nei propri scritti difensivi in ordine alle modifiche alla normativa del testo unico dell’edilizia introdotte dal decreto semplificazioni del 2020 (DL 16-7-2020, n. 76, convertito dalla legge 11-9-2020, n. 120).
Va in proposito evidenziato che trattasi di interventi normativi successivi all’adozione del provvedimento impugnato, emesso il 19-5-.2020.
Essendo la illegittimità vizio genetico del provvedimento amministrativo, la verifica in proposito richiesta al giudicante va effettuata tenendo conto della normativa vigente al momento della sua emanazione, risultando ininfluenti modifiche legislative intervenute in epoca successiva.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., ex multis, Cass. civ., V, 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
In conclusione, la Sezione esprime il parere che il ricorso straordinario debba essere rigettato.
P.Q.M.
La Sezione esprime il parere che il ricorso deve essere rigettato.
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE F/F | |
Francesco Mele | Vincenzo Neri | |
IL SEGRETARIO
Maria Grazia Salamone