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Esistono due orientamenti sulle distanze minime tra costruzioni legittimamente preesistenti e abusivi

Quando si parla di distanze minime tra fabbricati si deve tenere conto di due distinti profili:

  • amministrativo, cioè relativo all’ottenimento dei titoli abilitativi dalla P.A. e di natura pubblicistico;
  • civilistico, cioè relativo alla regolazione dei diritti soggettivi tra privati

E’ opportuno osservare che pur essendo profili autonomi, presentano diversi punti di contatti reciproci. Volendo però rimanere sintetici, si affronta soltanto il profilo amministrativo e come comportarsi quando si intende realizzazione nuove volumetrie o aggiungerle a quelle esistenti, quando sussistono immobili abusivi in vicinanza. Pertanto ciò che segue non tiene conto del profili civilistico nascente dagli articoli 872 e seguenti del Codice Civile, che regola i rapporti tra vicini frontisti (ancorché collegato dinamicamente con le disposizioni integrative regolamentari).

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Profilo amministrativo distanze tra fabbricati, due orientamenti contrapposti

Il problema nasce soprattutto in sede di ricostruzione preliminare dello Stato Legittimo degli immobili, da applicare anche verso il regime delle distanze minime tra costruzioni: il caso più frequente è il rispetto della severa distanza minima dei 10 metri lineari del D.M. 1444/68. Anche in questo ambito si deve ragionare di Stato Legittimo “urbanistico”, e considerare il regime delle distanze per le opere che risultino legittimamente realizzate o meno.

In ambito amministrativo si sono formati due orientamenti:

  • restrittivo: le distanze minime si rispettano sempre perchè la salubrità è interesse primario assoluto
  • possibilista: nel calcolo delle distanze si devono distinguere le parti abusive da quelle legittime

Sempre rimanendo nell’ambito amministrativo e di validazione dei titoli abilitativi ed edilizi, analizziamo allora i due orientamenti e loro limiti applicativi.

Orientamento restrittivo: distanza minime applicate a prescindere

Esiste il consolidato orientamento maggioritario che riconosce priorità assoluta della salubrità collettiva, quale interesse primario inderogabile tassativamente e tale da comprimere qualunque questione privatistica, vincede , e che riporto da Consiglio di Stato n. 163/2023:

“le disposizioni dettate dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 trovano applicazione in relazione alla situazione concreta, a prescindere dalla distanza delle abitazioni già esistenti, dalla loro eventuale abusività o da altre disposizioni in senso contrario contenute negli strumenti urbanistici (C.d.S. n. 2086 del 2017, in motiv.)” (cfr. Cass. civ. Sez. II, 20 gennaio 2022, n. 1764; Cass. civ., Sez. II, 04 febbraio 2021, n. 2637). Infatti, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, “il ristagno di umidità e l’insalubrità di un’intercapedine troppo ristretta non sono certo eliminate dalla illegittimità delle costruzioni, perché esse sono una questione di fatto e non di diritto. Ritiene pertanto il Consiglio di aderire alla giurisprudenza, per la verità maggioritaria, secondo cui l’eventuale illegittimità della costruzione di riferimento non incide sul rispetto delle distanze” (Cons. giust. amm. Sicilia, 12 novembre 2008, n. 930; cfr. altresì ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4307; Cons. Stato, Sez. VI, 11 luglio 2018, n. 4229; Cons. Stato, Sez. IV, 5 febbraio 2018, n. 702; Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2017, n. 2086; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 14 febbraio 2022, n. 499; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 31 agosto 2021, n. 1932; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 25 agosto 2015, n. 860; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 27 agosto 2010, n. 3240). In altri termini, l’interesse pubblico di natura igienico-sanitaria che vieta la formazione di intercapedini malsane vale in qualunque situazione, indipendentemente dalla regolarità della costruzione, in quanto non si colloca soltanto sul piano urbanistico, ma coinvolge anche la tutela della salute (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 27 agosto 2010, n. 3240).

Orientamento possibilista, distinzione tra parti abusive e legittimate

Secondo un preciso orientamento del Consiglio di Stato “il diritto a edificare non può essere sacrificato dagli abusi altrui”. Ciò significa che gli edifici abusivi non possono essere tenuti in considerazione nel calcolo delle distanze, neanche se sono stati realizzati prima degli edifici regolarmente assentiti.

Il criterio di prevenzione temporale non è, quindi, suscettibile di applicazione in considerazione del carattere abusivo delle opere edilizie realizzate sul fondo di pertinenza dell’appellato e tenute in conto ai fini del calcolo delle distanze con il proprietario frontistante (Cons. di Stato n. 4726/2020, n. 3485/2020, n. 3968/2015, n. 1874/2009)

Pertanto si potrebbe applicare le distanze legali come se l’edificio venisse ad “esistere” nel conteggio quando viene formalmente legittimato, che sia con permesso o concessione, oppure condono o sanatoria edilizia. E in questi casi, il riferimento esatto è il rilascio definitivo del titolo, non la presentazione iniziale, rimarcando come in urbanistica è sempre fatto salvo il diritto di terzi, ai fini civilistici.

In questo senso credo che sia andata la modifica normativa effettuata col D.L. 76/2020, verso la demolizione e ricostruzione di edifici situati a distanze inferiori a quelle vigenti, nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti, ai sensi dell’articolo 2-bis comma 1-ter D.P.R. 380/01.

Caso mai, se di fronte a edifici abusivi o presuntivamente abusivi viene meno la distanza minima per edificare, è consigliato fare le dovute segnalazioni e denunce al Comune affinché emetta le relative ordinanza di demolizione e rimessa in pristino, considerando che probabilmente saranno insanabili anch’essi per contrasto alla doppia conformità.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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