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Esclusa operatività della distanza minima DM 1444/68 per demolizioni e ricostruzioni previste nell’art. 3 comma 1 lett. d) del TUE

Quando e come trovano applicazione le distanza minime dell’art. 9 DM 1444/68 negli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti? Si premette che la giurisprudenza si è evoluta molto nel corso degli anni, seguendo in parallelo l’evoluzione normativa delle procedure e categorie di intervento del Testo Unico Edilizia DPR 380/01.

Devo fare alcune importanti premesse sulle sentenze menzionate in questo post:

  • riguardano fatti anteriori al D.L. 76/2020, che ha introdotto il comma 1-ter nell’art. 2-bis del DPR 380/01;
  • riguardano fatti avvenuti anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 5 del D.L. n. 32/2019 all’art. 2 bis del TUE;

Pertanto vogliate tenere conto che il quadro normativo a cui fa riferimento il presente articolo non è più vigente, ma spero sia utile per comprendere e gestire fattispecie anteriori alle predette norme innovative (e non retroattive). Ci tengo infatti a ricordare che per le posizioni formatesi anteriormente ad esse debbano essere trattate in modo diverso, cioè secondo quanto segue nel post.

Diciamo che restano da analizzare alcuni aspetti in parte condivisibili, e che appunto hanno portato il legislatore a cambiare la disciplina del mantenimento delle distanze minime preesistenti in caso di ristrutturazioni edilizie (cioè art. 2-bis c.1-ter del DPR 380/01, modificato dal DL 76/2020).

In queto ambito interpretativo si è posto il problema di inviduare i “nuovi edifici” ricadenti nelle zone diverse dalla Zona Omogenea A, perchè potrebbero aprirsi due possibili criteri:

  • oggettivo: qualsiasi modifica esterna alla sagoma legittimamente esistente;
  • amministrativo: collegarsi alla differenza tra nuove costruzioni e ristrutturazione edilizia prevista oggi dall’art. 3 comma 1 del DPR 380/01.

Distanza minima 10 metri per edifici o parti e/o sopraelevazioni di essi “costruiti per la prima volta

Segnalo l’interessante sentenza del TAR Lombardia (BS) sez. II n. 395/2022, la quale applica un consolidato principio in merito alla distanza minima di 10 metri tra costruzioni dell’art. 9 c.1 n.2 del DM 1444/68, tra edifici esistenti situati in aree diverse dalle Zone Omogenee A:

Il presupposto di operatività dell’art. 9, co. 1 n. 2, D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968 è l’essere in presenza di un nuovo edificio, circostanza che non ricorre nel caso di “intervento di ristrutturazione edilizia” ex art. 3, co. 1 lett. d), del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, ricomprendendo tale categoria, per espressa disposizione di legge, anche “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti”. In caso di intervento di demolizione e ricostruzione, non può, pertanto, parlarsi di nuovo edificio giacché, come si evince dall’art. 3, co. 1 lett. e) D.P.R. cit., può discorrersi di “intervento di nuova costruzione” solo per le opere ”di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti” (tra le quali, quindi, anche quelle di cui alla lettera d) sopra richiamata).

Il principio di questo TAR risulta coerente con quanto già consolidatosi in materia di distanze legale e minime tra edifici.

Il Consiglio di Stato in diverse sentenze ha già chiarito l’applicazione del punto n.2 comma 1 dell’art. 9 D.M. 1444/68, in particolare che:

tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. La medesima disposizione tuttavia riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici o parti e/o sopraelevazioni di essi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3522/2016) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse.” (Cons. Stato, sez. IV, n. 3322/2022, n. 5466/2020, n. 6282/2020).

Quindi, emergerebbe una specie di collegamento diretto tra la definizione di nuovi edifici dell’art. 9 c.1 n.2 del DM 1444/68 con le categorie di intervento edilizio previste dall’art. 3 comma 1 lettera d) del DPR 380/01.

Anche in questo caso devo però segnalare la “criticità” applicativa e il rapporto con la definizione collaterale di ristrutturazione “pesante” art. 10 c.1 TUE, che configura comunque intervento rilevante e di trasformazione urbanistico edilizia del territorio.

Anche la Cassazione Civile ha già individuato un limite applicativo per nuovi edifici nelle distanze minime

Anche (e sopratutto) in ambito privatistico si era formato un contenzioso riguardante il rispetto delle distanze minime delle costruzioni, in particolare della distanza minima di 10 metri prevista per nuovo edifici in base all’art. 9 comma 1 numero 2 DM 1444/68:

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

La Cassazione Civile da molto tempo ha un orientamento riconducibile a quello del Consiglio di Stato già esposto al precedente paragrafo; in altre parole ha affermato che:

l’art. 9, primo comma, n. 2), del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 – emanato in forza dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 – in base al quale la distanza tra pareti finestrate di edifici frontisti non deve essere inferiore a dieci metri, si riferisce alle sole nuove edificazioni consentite in zone diverse dal centro storico (zona A), posto che in questo ultimo, dove vige il generale divieto di costruzioni “ex novo”, la norma si limita a prescrivere che la distanza non sia inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti, atteso che la stessa si limita a ben vedere solo ad ad escludere l’applicazione del DM 1444 (Cass. Civ. n. 18216/2020, n. 3488/2019, n. 29732/2017, n. 12767/2008. n. 879/1999).

In particolare nella sentenza n. 3488/2019 di Cass. Civile è ribadito il consolidato principio per cui:

nell’ambito delle opere edilizie – anche alla luce dei criteri di cui all’art. 31, primo comma lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457 – la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura. E’ invece ravvisabile la “ricostruzione” allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima.

E’ ovvio che esso debba essere inquadrato e travasato nel nostro quadro normativo vigente, cercando il corretto riferimento nell’odierno art. 3 comma 1 lettera d) del DPR 380/01.

Da quanto sopra emerge un criterio che ai fini del predetto art. 9 DM 1444/68 sembra individuare i “nuovi edifici” al criterio della categoria di intervento, pertanto rinviando al DPR 380/01.

Conclusioni e consigli

Da quanto sopra si può evincere alcuni aspetti e cercare di ricordare :

  • di mantenere differenziati i regimi di nuova costruzione e ristrutturazione edilizia, anche in ambito di distanze minime tra edifici;
  • che la normativa sulle deroghe delle distanze minime è stata cambiata dal D.L. 76/2020
  • che le categorie di intervento edilizio del DPR 380/01 sono cambiate più volte negli ultimi anni

Per cui è opportuno ricordarsi di inquadrare bene sotto questi aspetti i vari casi che si possono presentare.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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