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distanze tra costruzioni

La disposizione sopravvenuta meno restrittiva si applica ai soli fini civilistici, esclusi invece quelli amministrativi

Sappiamo bene che la normativa edilizia e urbanistica in tema di distanze tra costruzioni ha intrapreso da decenni una impostazione più severa, a partire dall’entrata in vigore del D.M. 1444/1968 e, a cascata, del relativo recepimento nei vari regolamenti edilizi comunali.

Proprio negli strumenti urbanistici (piani regolatori) e regolamenti edilizi comunali sono state confermate le rigide disposizioni del DM 1444/68, le quali potrebbero essere state integrate o affiancate da disposizioni più restrittive.

La distanza minima tra costruzioni più conosciuta è quella dei dieci metri (Guida generale).

Ricordiamoci che le distanze minime regolamentari ai fini amministrativi urbanistici sono integrative della distanza minima stabilita dall’articolo 873 Codice Civile, il cui scopo è regolare i rapporti tra vicini.

Trattiamo la questione che segue rimanendo espressamente confinati nel solo ambito delle distanze ai fini civilistici, lasciando completamente esclusi tutti i profili di conformità urbanistico edilizia “amministrativa”: la giurisprudenza ha costantemente riconosciuto che la possibilità derogatoria favorevole subentrata a posteriori possa trovare applicazione ai soli fini civilistici.

In sostanza è una interpretazione giurisprudenziale che riconosce lo jus superveniens nei rapporti e diritti tra vicini, criterio non applicabile invece nei procedimenti amministrativi che hanno carattere pubblicistico e verso la Pubblica Amministrazione. Questo approccio di “diritto sopravvenuto” in ambito civilistico non è soggetto al criterio di doppia conformità, come analogamente vige nelle procedure amministrative di sanatoria edilizia.

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Sopravvenienza di normative distanze migliorative

L’esempio potrebbe essere la maggiorazione della distanza minima tra costruzioni innalzata a 12 metri anziché a 10 metri ex art. 9 DM 1444/68.

Supponiamo che il costruttore abbia realizzato un edificio a 11 metri da quello antistante con pareti finestrate, durante il periodo di vigenza della disposizione regolamentare dei 12 metri tra edifici (ovviamente in difformità al permesso di costruire, ipotizzando che sia stato rilasciato anch’esso in conformità dei 12 metri prescritti dal Comune).

Ammettiamo tuttavia che il Comune abbia provveduto ad aggiornare lo strumento urbanistico e regolamento edilizio, riducendo la distanza minima ai dieci metri imperativi del DM 1444/68: se consideriamo la situazione al solo momento odierno e a valle delle modifiche regolamentari locali, ai soli fini civilistici l’edificio realizzato in contrasto alla regolamentazione torna ad essere legittimo.

Ripeto: ciò vale ai soli fini civilistici, poi ci sarà da fare i conti (impossibili) sul versante amministrativo, infatti l‘attuale regime di sanatoria edilizia basato sulla doppia conformità in questo caso non lascerebbe scampo, mancando la conformità riferita all’epoca dell’abuso (11 metri inferiore al minimo di 12 metri vigenti al momento di esecuzione).

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La giurisprudenza civile e l’orientamento consolidato

Ritengo opportuno riportare le motivazioni e i principi espressi dalla sola giurisprudenza di Cassazione Civile, riguardante la possibilità di mantenere ai fini civilistici le costruzioni asseritamente ritenute illegittime. Si ribadisce ancora che i titoli edilizi, permessi di costruire e concessioni edilizie esauriscono la loro rilevanza nell’ambito del rapporto e interesse pubblicistico, lasciando impregiudicati i diritti di terzi.

In materia di distanze nelle costruzioni, infatti, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida – salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull’illegittimità della costruzione – il diritto di quest’ultimo a mantenere l’opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia già ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive (tra le tante Cass. Civ. Sez. II n. 12751/2023, n. 12061/2023, n. 802/2022, n. 2640/2021, n. 14707/2019, n. 6917/2019, n. 18119/2013). 

Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, invero, che l’edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non può più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretendere l’abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. Tale effetto deriva dal fatto che, pur rimanendo sussistente l’illecito di chi abbia costruito in violazione di norme giuridiche allora vigenti e la sua responsabilità per i danni subiti dal confinante fino all’entrata in vigore della normativa meno restrittiva, viene però meno l’illegittimità della situazione di fatto determinatasi con la costruzione, essendo questa conforme alla normativa successiva e, quindi, del tutto identica a quella delle costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore (Cass. Civ. Sez. II n. 12751/2023, n. 26713/2020, n. 14707/2019, n. 6917/2019, n. 14446/2010, n. 1368/1996).

Conclusioni e consigli

Diciamo che l’interpretazione giurisprudenziale esaminata offre lo spunto per “risolvere” o stemperare i possibili conflitti tra proprietà confinanti.

Se ci pensiamo bene, sarebbe impossibile risolvere certe rapporti tra privati se fosse stato affermato in questo ambito civilistico una sorta di regime di doppia conformità anche all’epoca (tipo sanatoria edilizia), o con singolo riferimento normativo riferito al momento in cui è stato compiuto l’edificio oggetto di conflittualità.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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