Regolamento Edilizio Tipo stabilisce che sporti inferiori a 1,50 metri non rientrano in sagoma dell'edificio
La disciplina che impone i dieci metri pareti finestrate si applica in molti interventi edilizi e modifiche volumetriche
La disciplina delle distanze minime tra costruzioni viene applicata sia in ambito urbanistico amministrativo, ma spesso usata anche in ambiti civilistico tra confinanti.
Premetto subito che non affronterò l’intero ambito delle distanze legali, ma si affronterà solo una parte delle distanze minime tra edifici in ambito urbanistico edilizio, tralasciando quelle eventualmente previste da altre norme di speciali e di settore (paesaggistica, antisismica, vincoli, ecc).
INDICE
- Definizione generale e norme della distanza minima 10 metri
- Lo scopo della distanza minima di 10 metri la tutela igienico sanitaria collettiva
- Pochissime possibilità di deroga alla distanza di 10 metri
- Nuove costruzioni, ampliamenti, sopraelevazioni, modifiche di sagoma soggette al DM 1444/68
- Il rispetto della disciplina e delle distanze minime tra edifici si applica a livello planivolumetrico e in altezza.
- Concetto di pareti finestrate, dotate di luci o pareti “cieche”.
- La demolizione e ricostruzione di edifici esistenti: adeguare o derogare distanza minima 10 metri?
- Tolleranze edilizie su distanze tra edifici
- Consigli e suggerimenti
Definizione generale e norme della distanza minima 10 metri
Partiamo dalla definizione di distanza in generale, indicata nell’Allegato A voce n. 30 del Regolamento Edilizio Tipo nazionale (DPCP 20 ottobre 2016):
Lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento (di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico, ecc.), in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta.
Molto spesso viene fatto riferimento alla più conosciuta delle distanze minime tra costruzioni, cioè quella di 10 metri prescritta dall’art. 9 del D.M. 1444/68, di cui riporto un estratto:
Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.
Lo scopo della distanza minima di 10 metri la tutela igienico sanitaria collettiva
La costante giurisprudenza ha confermato che la prescritta distanza minima di dieci metri (nell’art. 9 D.M. 1444/1968) tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile e trattasi di norma imperativa che predetermina in via generale le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza (Cons. Stato n. 7029/2021, n. 3093/2017, n. 2086/2017, n. 856/2016; Cass., Civ. n. 23136/2016).
Le prescrizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 integrano il regime delle distanze nelle costruzioni con efficacia precettiva, sicché l’inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici (Cons. di Stato n. 7029/2021).
Tali distanze perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva, e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
Un Piano Regolatore Comunale o un Regolamento Edilizio comunale non può contenere disposizioni in contrasto con l’art. 9 D.M. 1444/1968, perché esse sono illegittime; in caso di contenzioso il giudice ha l’obbligo di applicare la norma di livello superiore.
E aggiungo: le eventuali disposizioni presenti in questi regolamenti e piani regolatori comunali vanno disapplicate, proprio perchè in contrasto con norma di rango superiore e inderogabile.
Pochissime possibilità di deroga alla distanza di 10 metri
Tale distanza minima è imposta per qualsiasi forma di nuova costruzione da effettuarsi in tutto il territorio comunale, e fanno eccezione:
- gli interventi di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni di edifici situati nelle Zone Omogenee A (centri e nuclei storici), dove le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
- gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con specifiche previsioni planovolumetriche.
- La speciale deroga introdotta col D.L. 76/2020 solamente per particolari demolizioni e ricostruzioni di edifici (oggi art- 2-bis c.1-ter DPR 380/01).
- Deroga speciale per risparmio energetico, vedasi cappotto termico;
Essendo disposizioni di natura urbanistica, finalizzate a tutelare la salubrità collettiva e un ordinato assetto del territorio, le convenzioni e patti stipulati tra persone confinanti non possono derogarle.
I privati non possono neppure fare usucapione di quelle distanza inderogabili dal PRG, tanto per fare un esempio.
Incremento distanza minima 10 metri.
La distanza minima può essere ulteriormente aumentata (e mai diminuita), in funzione di:
- Altezza del fabbricato più alto nelle Zone Omogenee C (Art. 9 c.1 lettera 3 DM 1444/68);
- Diverse previsioni del Regolamento Edilizio e Strumenti urbanistici comunali;
- Eventuali diverse disposizioni regionali;
- Eventuali diverse norme di settore o speciali;
Nuove costruzioni, ampliamenti, sopraelevazioni, modifiche di sagoma soggette al DM 1444/68
Il D.M. 1444/68 è un decreto attuativo della più complessa legge ponte n. 765/1967, e i suoi effetti hanno avuto inizio con la sua entrata in vigore.
Da quel momento, le nuove disposizioni trovano applicazione ai sensi dell’articolo 1 medesima legge, nei confronti di:
- nuovi Piani regolatori generali (comunali);
- Piani Particolareggiati e lottizzazioni convenzionate;
- Regolamenti Edilizi con annessi Programmi di Fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate;
- Revisione strumenti urbanistici esistenti (Piani regolatori, Programmi di fabbricazione, strumenti attuativi, ecc);
Le nuove disposizioni di distanze minime tra edifici, compreso quella dei 10 metri, si applicano a qualsiasi tipo di nuova costruzione intesa nel senso più ampio per queste due categorie:
- Regime di nuova costruzione:
- nuovi edifici e manufatti;
- ampliamenti (edifici o manufatti, es. porticati, logge, ecc).
- sopraelevazioni
- addizioni volumetriche o di superficie (es. balconi)
2. Regime ricostruttivo:
- Demolizione e ricostruzione, integrale o parziale di edifici/manufatti;
- Traslazione volumi e area di sedime;
- Modifiche di sagoma, anche a parità di volume;
- Modifiche planivolumetriche;
Il rispetto della disciplina e delle distanze minime tra edifici si applica a livello planivolumetrico e in altezza.
L’applicazione delle distanze minime tra edifici (chiamate anche distacchi) si applica sia in senso planimetrico (cioè in pianta), ma anche in senso altimetrico o elevazione.
In altre parole anche la differenza di altezze o di quote tra edifici non consente di derogare la distanza minima prescritta; infatti essa non è la distanza della sopraelevazione dalla veduta/finestra del vicino, bensì una distanza minima tra edificio e parere finestrata antistante (Cons. di Stato n. 7029/2021).
La disposizione di cui all’art. 9, comma 1, lettera n. 2, D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, è tassativa ed inderogabile, pertanto impone al proprietario dell’area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti (Cons. di Stato n. 4992/2017).
Per assurdo, anche se ci fosse un dislivello di cento metri tra due edifici frontistanti (es. una scogliera), la verifica della distanza deve tornare anche in senso planimetrico.
Concetto di pareti finestrate, dotate di luci o pareti “cieche”.
Sui requisiti che qualificano una parete finestrata rinvio ad apposito approfondimento pubblicato, dove sono distinti i casi di pareti antistanti dove almeno una sia dotata di finestre o aperture qualificate come vedute.
Discorso più interessante invece quando configurano “luci”, come ad esempio i lucernari o finestre a tetto.
Invece risulta più lineare la casistica di due pareti cieche fronteggianti tra loro, cioè sprovviste di qualsivoglia tipo di aperture; spesso sono configurazioni di edifici costruiti, o da costruire, in aderenza tra loro oppure a schiera.
La demolizione e ricostruzione di edifici esistenti: adeguare o derogare distanza minima 10 metri?
Negli ultimi anni è notevolmente aumentata la richiesta di interventi per demolizione e ricostruzione di edifici esistenti. Questa nuova esigenza ha messo in luce alcune contraddizioni della normativa di pianificazione urbanistica, appunto l’art. 9 D.M. 1444/68. Infatti la giurisprudenza amministrativa ha maturato la consapevolezza che l’interpretazione rigida avrebbe impedito la ricostruzione integrale del patrimonio edilizio esistente, realizzato in buona parte prima dell’entrata in vigore della norma e degli strumenti urbanistici revisionati con essa.
In particolare si è consolidata la giurisprudenza amministrativa che ritiene ammissibile il mantenimento delle distanze tra edifici preesistenti e legittimate da titoli abilitativi edilizi (ovviamente ante D.M. 1444/68), in caso di ricostruzione di essi. Tale mantenimento trova giustificazione a certe condizioni.
Tale orientamento è stato praticamente convertito in norma di legge, e lo troviamo inserito nell’art. 2-bis comma 1-ter D.P.R. 380/01, introdotto ad opera del D.L. 76/2020.
A titolo di consiglio, se il lotto dell’edificio dovesse avere caratteristiche tali da consentire lo spostamento della volumetria legittimata in posizione tale da rispettare la disciplina vigente, direi che sarebbe la migliore strada da prendere.
Tolleranze edilizie su distanze tra edifici
Altro argomento delicato meritevole di approfondimenti: sia nella vigente versione delle tolleranze edilizie (art. 34-bis DPR 380/01), sia nella previgente versione (art. 34 c.2-ter DPR 380/01), si può evincere la famosa tolleranza del 2% applicabile al parametro urbanistico dei “distacchi”.
Non ci sono dubbi che questo termine “distacco” equivalga alla distanza tra costruzioni, dove appunto è riconosciuta la possibilità di tollerare una differenza in aumento o diminuzione pari al 2%, ad esempio:
in aumento: 15,00 m + 2% = 15,30 m
in riduzione: 15,00 m – 2% = 14,70 m
Giustamente la norma sulle tolleranze edilizie intende tollerare una sottocategoria di difformità dell’opera rispetto al progetto autorizzato dal titolo abilitativo, dichiarando che essa non costituisce violazione edilizia (ai soli fini urbanistico edilizi, cioè fatte salve le diverse norme di settore come paesaggistica, beni culturali, eccetera).
Tuttavia la tolleranza edilizia non può derogare l’entità minima di 10 metri, tassativa e rigida: infatti la tolleranza non può avere effetto verso i parametri, indici e prescrizioni tassative.
Pertanto devo ritenere che la tolleranza edilizia art. 34-bis TUE non possa derogare comunque la distanza minima di 10 metri, perchè finalizzata solo nell’ambito edilizio del manufatto; essa per non può trovare applicazione verso una norma urbanistica e pianificatoria, di interesse e rilevanza superiore a quella “puramente” edilizia.
Consigli e suggerimenti
In questo ambito delicato e di difficile applicazione posso soltanto suggerire di usare la dovuta prudenza. L’errata valutazione di questo tipo di parametro espone il manufatto o l’intervento edilizio a rischio di inefficacia per contrasto alla normativa.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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