Regolamento Edilizio Tipo stabilisce che sporti inferiori a 1,50 metri non rientrano in sagoma dell'edificio

Consiglio di Stato conferma obbligo rispetto distanze tra costruzioni, tranne quando sono aderenti
La materia delle distanze legali è complessa e a volte si è rilevata ondivaga a causa di variazioni giurisprudenziali, tuttavia nell’ultimo decennio si è consolidata verso alcuni fermi principi su come misurarle tra edifici fronteggianti. Le pareti finestrate contrapposte ad altri edifici possono infatti presentarsi nelle più svariate configurazioni parallele, inclinate e curve, e lo stesso dicasi anche in altezza, e occorre conoscere i relativi criteri di misurazione, sopratutto quando si intende realizzare volumetrie aggiuntive in senso orizzontale (ampliamento) o verticale (sopraelevazione) perchè, a prescindere dalla categoria di intervento e procedura amministrativa, ai fini delle distanze ogni porzione aggiuntiva si configura come nuovo volume “distanziale”.
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Distanze 10 m tra fabbricati e criterio di antistanza tra pareti
Recentemente il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7768/2024, è tornato ad affermare i seguenti principi in materia di distanze tra edifici e sui relativi criteri da applicare proprio sulla più conosciuta tra le distanze tra costruzioni, ovvero i 10 metri, prevista dall’articolo 9 del D.M. 1444/1968.
Per applicare tale distanza è sufficiente l’esistenza di una sola parete finestrata fronteggiante un altro edificio, a prescindere che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all’altro (vedi anche Consiglio di Stato n. 7029/2021, che richiama Cassazione Civile n. 24471/2019).
La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, così come la distanza prevista ex art 873 Codice Civile, deve essere misurata secondo il c.d. criterio lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici e non radiale (Consiglio di Stato n. 4465/2020), e va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale (Cons. di Stato n. 7004/2023, n. 7731/2010, n. 6909/2005), ciò a prescindere dalla specifica conformazione dell’edificio (pareti lineari o ricurve), sicché la norma trova applicazione anche tra immobili di altezza differente e a prescindere dall’andamento parallelo delle loro pareti (Consiglio di Stato n. 1056/2022).
È pacifico che la distanza di dieci metri regolata dall’art. 9 comma 2 del D.M. sia applicabile anche alle sopraelevazioni (vedi anche Consiglio di Stato n. 5759/2011). A tal proposito è stato chiarito che:
- laddove vi sia una modifica anche solo dell’altezza dell’edificio (come nel caso di specie) sono ravvisabili gli estremi della nuova costruzione, da considerare tale anche ai fini del computo delle distanze, rispetto agli edifici contigui;
- la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’art. 9 cit. è applicabile anche alle sopraelevazioni;
Tale distanza minima va rispettata anche in caso di recupero dei sottotetti (cfr. Cons. Stato n. 7029/2021; nello stesso senso, ex multis, Cons. di Stato 25/10/2019, n. 7289/2019, n. 3883/2021).
Non è dunque corretto il criterio di raffronto che esclude l’antistanza con criterio lineare “per piani” e non rispetto alle intere facciate fronteggiantisi, che indubbiamente si “incontrano” su entrambi i lati. Invece il corretto criterio lineare si applica anche in caso di immobili con altezza differente, rendendo irrilevante la circostanza per cui il fronte del piano sopraelevato affacci sopra un tetto, con o senza luci, poiché rispetto al piano sopraelevato, anche se privo di finestre, rileva piuttosto l’esistenza di una parete finestrata antistante, su entrambi i lati, anche se posta a quota inferiore della parte sopraelevata. In sintesi, la verifica di proiezione delle distanze legali tra costruzioni va effettuata anche proiettando virtualmente in altezza l’intercapedine al piano inferiore: ipotizzando due edifici distanziati otto metri tra loro, e aventi medesima altezza, come regola generale chi intende sopraelevare dovrà comunque rispettare la distanza minima di dieci metri, non potendo giustificare l’assenza di frontistante corpo di fabbrica allo stesso livello (e pertanto l’assenza di intercapedone insalubre).
In generale va ribadito che trova applicazione il principio di diritto affermato da Cass. Civ. n. 2847/2022 secondo cui «L’obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, previsto dall’art. 9 d.m. 1444/1968, vale anche quando la finestra di una parete non fronteggi l’altra parete (per essere quest’ultima di altezza minore dell’altra), tranne che le due pareti aderiscano in basso l’una all’altra su tutto il fronte e per tutta l’altezza corrispondente, senza interstizi o intercapedini residui». In tale sentenza la Corte di Cassazione ha chiarito infatti che «laddove la giurisprudenza di questa Corte applica l’art. 9 d.m. 1444/1968 e pretende il rispetto della distanza minima di 10 metri, pur in presenza di una parete con una finestra che si apre su uno spazio libero alla sua altezza (id est, che non fronteggia l’altra parete), al di sotto vi è una intercapedine, non già una costruzione in aderenza sul confine, come accade nel presente caso di specie. Vi sono ottime ragioni funzionali che così sia, giacché la disposizione non esige il rispetto di tale distanza minima in sé e per sé, bensì in funzione della salubrità di affaccio sugli spazi intercorrenti tra fabbricati antistanti».
È dunque la presenza di una intercapedine o comunque di uno spazio aperto tra gli edifici che giustifica la necessità di tutela della salubrità di affaccio, e il rispetto della predetta distanza minima tra fabbricati. Diverso invece è il caso “limite” di due fabbricati comunque aderenti per un’altezza di cinque metri e che, solo nel successivo sviluppo in verticale, si discostavano l’uno proseguendo in verticale l’altro con parete inclinata: in quella circostanza evidentemente non è stato ritenuto che sussistesse una intercapedine tale da giustificare la necessità di tutela della salubrità di affaccio sugli spazi intercorrenti tra i due edifici (sentenza di Consiglio di Stato n. 8527/2019).
Deroghe speciali e riservate per mantenere distanze legali legittimamente preesistenti
Formano eccezione alcune casistiche di deroga alle distanze tra costruzioni riservate alla demolizione e ricostruzione integrale, per le quali il legislatore pochi anni fa col D.L. 76/2020 ha inserito il seguente comma 1-ter nell’articolo 2-bis del Testo Unico Edilizia DPR 380/01:
Articolo 2-bis comma 1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela.
La deroga prevista dal comma 1-ter ha portata limitata e in sintesi ammette:
- mantenimento delle distanze legali legittimate per la sagoma del fabbricato, praticamente si ricostruisce l’edificio dov’era e com’era, ma a condizione che le distanze siano legittimamente preesistenti (quest’ultima condizione pregiudica invece le porzioni illegittime, a quanto si deduce). Ma allora, adesso gli abusi edilizi contano nel calcolo delle distanze legittimamente preesistenti?;
- la possibilità di fuoriuscire dalla preesistente sagoma legittimata esclusivamente per incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento (da legislazione nazionale o regionale, e regolamentazione comunale), realizzandoli anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti.
- per le Zone Omogenee A, solitamente centri storici e nuclei storici, si deve procedere con strumenti urbanistici attuativi quali piani particolareggiato di recupero.
Occorre rammentare che tale deroga inserita col D.L. 76/2020 non è da intendersi innovativa, bensì ha provveduto a recepire gli orientamenti giurisprudenziali formatisi nella stessa direzione, finalizzati a riconoscere il diritto di ricostruire l’edificio o relative parti nelle medesime posizioni e sagome legittimamente preesistenti; in caso contrario infatti si sarebbe prodotta l’impossibilità di effettuare ristrutturazioni edilizie sostanziali di edifici anche datati, cosa che per decenni è stata costantemente aggirata con interventi parzialmente ricostruttivi effettuati con “scuci e cuci” sulle pareti.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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