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Consiglio di Stato specifica il concetto di nuovo edificio per le distanze legali

La sentenza n. 4337/2017 della sez. IV del Consiglio di Stato ha esaminato il problema fornendo spunti davvero chiarificatori.

La fattispecie riguarda un permesso di costruire rilasciato per la demolizione di un fabbricato esistente adibito a deposito, e conseguente ricostruzione di un immobile plurifamiliare per civili abitazioni, aventi pareti finestrate poste a distanza di soli tre metri da una frontistante palazzina, separati tra loro da uno spazio spazio adibito a viabilità pubblica, seppure pedonale e non veicolare.

Tra l’altro tale intervento risulta situato in una zona in cui lo strumento urbanistico comunale individua un piano particolareggiato relativo alla zona B di completamento, congruente all’art. 9 ultimo comma del D.M. n. 1444/1968.

Tale strumento attuativo rappresenta, in sostanza, una strumentazione urbanistica di attuazione del PRG relativamente alle maglie di completamento del sistema degli insediamenti residenziali, del tutto equivalenti sul piano formale e su quello sostanziale ad ordinari strumenti attuativi di secondo livello.

Si definisce Distacco la distanza minima tra edifici antistanti tra loro.

Come è noto, l’art. 9 D.M. n. 1444/1968 prevede, tra l’altro che tra “nuovi edifici ricadenti in altre zone” (diverse dalla Zone Omogenee A), “è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” (co. 1, n. 2). Inoltre, l’ultimo comma, secondo periodo, di detto articolo prevede che:

“sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.

Tale distanza minima di 10 metri ha natura inderogabile, come disposto dall’art. 9 D.M. n. 1444, e occorre analizzarne i principi fondamentali che confermano ciò:

La costante giurisprudenza ha affermato che la prescrizione sulla distanza minima di dieci metri tra edifici antistanti, ha natura inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto privatistico degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile (Cons. Stato IV n. 3093/2017, n. 2086/2017; n. 856/2016; Cass. Civ. II 23136/2016).

L’aspetto importante da sottolineare è che la disposizione dell’art. 9 c.2 del DM 1444/68 riporta la dizione “nuovi edifici”, tra i quali rientrano gli edifici o loro parti (es. ampliamenti o sopraelevazioni) costruiti per la prima volta, escludendo invece gli edifici preesistenti per i quali non vale questo principio in fase di demolizione e ricostruzione (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522).

Appare, dunque, evidente come la previsione del limite inderogabile di distanza riguarda immobili o parti di essi costruiti (anche in sopraelevazione) “per la prima volta” (con riferimento al volume e alla sagoma preesistente), ma non può riguardare immobili che costituiscono il prodotto della demolizione di immobili preesistenti con successiva ricostruzione (Cons. giust. amm. Sicilia, 3 marzo 2017 n. 74).

Il dilemma del rispetto della distanza di 10 ml emerge puntualmente nelle ristrutturazioni pesanti e ricostruttive, cioè quelle che comportano demolizione parziale o totale.

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Il concetto di “nuova costruzione” ai fini urbanistici non esplica effetti ai fini applicativi dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968.

Considerato che l’Italia ha un enorme patrimonio edilizio costruito prima dell’entrata in vigore del DM 1444/68, questa sentenza ha una discreta portata chiarificatrice.

Si tratta di una importante significazione sulla pianificazione territoriale e urbana, soprattutto in sede di approvazione/revisione degli strumenti urbanistici e piani regolatori comunali.

Infatti la deroga di cui all’art. 9, u.c. prevista per strumenti urbanistici attuativi conferma quanto sopra, e cioè che le norme sulle distanze di cui al D.M. n. 1444 si riferiscono alla nuova pianificazione del territorio e non già ad interventi specifici sull’esistente (Cons. di Stato IV n. 4337/2017).

Esiste quindi un deciso sparti acque, una specie di “diritto acquisito” al mantenere e ricostruire le previgenti sagome planivolumetriche, senza obbligo di adeguarsi alla sopravvenuta disciplina del DM 1444/68 art. 9.

In caso contrario, l’applicazione rigida dell’art. 9 del suddetto decreto porterebbe a conseguenze sia sul piano urbanistico che edilizio, quali ad esempio:

  • disallineamento con altri fabbricati preesistenti portando ad avere spazi chiusi, rientranze ed intercapedini sfavorevoli per salubrità, igiene, sicurezza e decoro, contrariamente allo scopo principe prefissato dall’art. 9;
  • impossibilità di ricostruire le volumetrie previgenti per conformarsi alle più restrittive distanze legali, tenuto conto che buona parte dei tessuti insediativi edificati non potrebbe consentirlo, con conseguente perdita di volume configurante una sorta di “effetto espropriativo” del D.M. 1444/1968.

Chiaramente, questa nuova sfumatura del principio di deroga non trova applicazione per gli organismi o corpi volumetrici aggiuntivi rispetto allo stato legittimato e previgente al decreto stesso.

La sentenza del Consiglio di Stato IV n. 4337/2017 ribadisce che:

ai sensi dell’art.41-quinquies l. 17 agosto 1942 n. 1150, “i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi” (quelli di cui al successivo D.M. n. 1444/1968), sono imposti “ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”. Ciò significa che essi sono previsti dalla norma primaria per la “nuova” pianificazione urbanistica e non già per intervenire sull’esistente, tanto meno se rappresentato da un singolo edificio (a meno che “l’esistente” non sia esso stesso complessivamente oggetto di pianificazione urbanistica). Ed infatti, in coerenza con quanto ora affermato, lo stesso art. 9, per le zone “A”, nel contemplare le distanze tra edifici già esistenti prevede che le distanze “non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti”.

Da qui emerge come lo spartiacque in materia di distanze e inderogabilità dei 10 m sui distacchi non si basa sulla differenziazione tra zone omogenee A ed altre, piuttosto tra il concetto di nuova costruzione “per la prima volta” post DM 1444/68 e le demo-ricostruzioni dei manufatti preesistenti al decreto.

Il Consiglio di Stato, infatti, rileva che in caso contrario si arriverebbe al paradosso di non avere differenze applicative tra zone omogenee A (centri e nuclei storici) e zone B di completamento.

Concetto di nuova costruzione differenziato tra DPR 380/01 e DM 1444/68

Resta il fatto che il concetto di nuova costruzione disciplinato dal Testo Unico per l’edilizia DPR 380/01, è utilizzato da quest’ultimo per verificare la compatibilità e conformità dell’intervento con la disciplina urbanistica sopravvenuta (nonchè norme settoriali) e nei confronti della strumentazione urbanistica comunale, rispetto al quale si rilascia il permesso di costruire; il concetto di nuova costruzione non è quindi applicabile allo stesso modo ai fini dell’art. 9 DM 1444/68, in particolare per le volumetrie e sagome legittimamente preesistenti al DM 1444/68 (Consiglio di Stato IV n. 4728/2017, 4337/2017).

La mia riserva, rispetto al contenute e indicazioni della sentenza, rimane nel caso in cui si arriva alla sostituzione edilizia, cioè a sostituire integralmente il vecchio manufatto con uno completamente diverso per volumi, sagome e connotazione: in questi casi il ragionamento da fare diviene più complesso ed esula dal presente articolo.

La trattazione merita anche di analizzare il frequente caso di manufatti realizzati in fregio a spazi, piazze e vie pubbliche, per i quali si deve considerare anche l’aspetto urbanistico degli allineamenti preesistenti, che assumono valore diverso (e superiore) dalle questioni meramente privatistiche tra semplici confinanti, dove invece emerge un interesse collettivo verso un’ordinati sviluppo e assetto della città e territorio.

L’aspetto porta subito ad analizzare il principio previsto dall’art. 879 comma 2 del Cod. Civile, in base al quale “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”.

Quindi, il rispetto delle distanze minime tra fabbricati nelle quali si interpongono spazi o vie pubbliche (ex art. 9 DM 1444/68), cede il passo alla legislazione (nazionale e regionali) e regolamentazione (regionale e comunale) che la possa interessare, che diviene prevalente per l’interesse collettivo (Consiglio di Stato IV n. 4337/2017, Cass. Civ. II, 27 dicembre 2011 n. 28938; Id, 24 giugno 2009 n. 14784, 16 aprile 2007 n. 9077).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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