Cassazione chiarisce disciplina mutamento destinazione per appartamenti uso ricettivo turistico
Gli spazi pertinenziali dell’abitazione non sono computati negli indici edificatori, il loro mutamento d’uso incide sul carico urbanistico
La questione dei mutamenti di destinazione d’uso è assai delicata e incontra uno spartiacque nei casi che comportano un concreto incremento di carico urbanistico e insediativo. Per maggiori approfondimenti, oltre a consigliare il mio libro “Mutamento d’uso immobiliare“, segnalo da ultimo l’interessante ricostruzione normativa e giurisprudenziale evidenziata dalla sentenza di Consiglio di Stato n. 3645/2024.
Torno nuovamente sulle ipotesi di riconversione di spazi nati e legittimati come accessori di abitazioni, in spazi ad uso residenziale vero e proprio; parlo dei cambi di destinazione, con o senza opere, di spazi dotati di autonomia e non facenti parte dell’unità immobiliare propriamente abitabile, come i locali ad uso:
Dal ragionamento bisogna escludere gli spazi ad uso accessorio come ingressi, ripostigli e bagni situati all’interno dell’unità immobiliare abitabile.
Intanto non esiste una autonoma collocazione nella disciplina urbanistica e sul Governo del territorio per i mutamenti dei locali accessori come i garage o cantina, accessori ad abitazioni. Essi infatti, proprio in quanto privi di autonoma rilevanza (urbanistica), accedono alla categoria residenziale cui sono asserviti, costituendo effettivamente pertinenze nell’accezione civilistica (Cons. di Stato n. 3645/2024, n. 5948/2021, n. 309/2020, n. 5130/2019).
La rilevanza urbanistica del cambio d’uso e delle categorie funzionali
In passato e ancora oggi, l’individuazione degli indici della trasformazione urbanistica veniva basata dalla giurisprudenza sul criterio dell’incidenza incidenza e del pregiudizio in concreto agli standard urbanistici e alle dotazioni territoriali. Con l’introduzione delle categorie funzionali di destinazione urbanistica nell’articolo 23-ter nel Testo unico per l’edilizia (tramite D.L. 133/2014), sono state precostituite a monte le categorie di riferimento alle quali il carico urbanistico si presuppone omogeneo, indirettamente suggerendo anche una certa uniformità terminologica nella declinazione delle funzioni da parte degli Enti locali nei vari strumenti di governo del territorio.
Il D.L. 133/2014 (L. 164/2014) ha previsto cinque categorie funzionali urbanisticamente rilevanti, all’interno di ciascuna di esse, almeno in termini astratti e generali, il carico urbanistico si presume analogo, sicché assume rilevanza solo il passaggio dall’una all’altra, quand’anche non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie:
- residenziale
- turistico-ricettiva
- produttiva e direzionale
- commerciale
- rurale
La legislazione regionale e, ancor più in dettaglio, gli strumenti urbanistici comunali dettano indicazioni esplicative, che tuttavia, come precisato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 68/2018, non possono mai risolversi nella soppressione di talune categorie, riducendone il numero, ove si è ricordato che l’accorpamento delle categorie funzionali determina l’esclusione della “rilevanza urbanistica” dei mutamenti di destinazione d’uso interni alle stesse e, quindi, della loro assoggettabilità a titoli abilitativi, in contrasto con la normativa statale di principio e con conseguente incisione dell’ambito di applicazione delle sanzioni previste dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale», di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione).
L’introduzione delle categorie funzionali nell’articolo 23-ter DPR 380/01, e quindi urbanisticamente rilevanti, per la sua portata assorbente della valutata incidenza sul carico urbanistico, ha fatto perdere un po’ di significatività alla predetta distinzione, tradizionalmente consolidata in dottrina e giurisprudenza, tra modifiche di destinazione d’uso funzionali o senza opere e modifiche di destinazione d’uso realizzate tramite le stesse. Ciò che conta, infatti, è non tanto la modalità di realizzazione del cambio, ma gli effetti che produce sul territorio, in termini di standard urbanistici, urbanizzazioni e più in generale di pressione antropica.
L’attuale disciplina dei mutamenti d’uso non prevede la categoria pertinenziale e accessoria
Le volumetrie degli spazi ad uso accessorio come cantine, garage e similari non si conteggiano nel dimensionamento urbanistico e negli indici edificatori, perchè strutturalmente inidonee a consentire l’incremento della pressione antropica e insediamento della popolazione residenziale; la natura di questi spazi accessori è di migliorare la qualità della vita della singola unità immobiliare, di cui sono asservite.
Esse sono compatibili con la categoria generale a cui afferiscono e hanno una funzione “mirata” di servizio, ma non sono convertibili in nessun delle altre categorie funzionali tipizzate dal legislatore nell’articolo 23-ter D.P.R. 380/01, compresa quella principale a cui sono asservite. Esempio: il garage esterno di una abitazione, pur facendo parte di un’abitazione, non configura automaticamente destinazione d’uso residenziale vera e propria.
Da qui il condiviso orientamento giurisprudenziale che, non a caso senza soluzione di continuità rispetto all’introduzione della norma nel d.P.R. n. 380/2001, ha da sempre ricondotto il cambio di destinazione d’uso da cantina o garage a civile abitazione tra gli interventi edilizi per i quali è necessario il rilascio del permesso di costruire (vedi tra le tante Cons. di Stato n. 7835/2023, n. 551/2018). Diversamente opinando, si addiverrebbe alla paradossale conclusione che l’introduzione delle categorie urbanistiche omogenee, necessariamente espressa in termini di macro organizzazione sistemica e non di disciplina di dettaglio, si sarebbe risolta in una sostanziale liberalizzazione delle trasformazioni di tutti i locali lato sensu di servizio in residenziali (Cons. di Stato n 3645/2024).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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