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Spetta al richiedente comprovare i requisiti per regolarizzare illeciti, e non alla PA nel ricercare l’esistenza di titoli o elementi di supporto.

Quando un proprietario intende chiedere una sanatoria edilizia, deve avvalersi di un tecnico professionista con cui valutare assieme la situazione.

Dopo opportune indagini, sopralluoghi e verifiche, il professionista dovrà aver qualificato l’entità e la tipologia di illecito.

E infine, dovrà valutare se quanto risultante realizzato in maniera illegittima possa ottenere o meno la regolarizzazione.

Questo è la linea teorica da seguire: al netto di zone grigie, un professionista dovrebbe possedere strumenti e nozioni tali da capire se l’opera possa giungere alla regolarizzazione o meno.

E per sanatoria edilizia, non si deve intendere il condono. C’è una netta differenza (ne parlo in questo video).

La sanatoria edilizia costituisce la regola, il Condono invece è l’eccezione ad essa.

Quando si parla di sanatoria edilizia, più correttamente si deve parlare di procedura di Accertamento di Conformità (in sanatoria), secondo quanto previsto dall’art. 36 de D.P.R. 380/01.

E’ l’unica procedura ordinaria, cioè sempre a regime, prevista dall’attuale ordinamento. Salve naturalmente alcune procedure introdotte da norme regionali, per le quali comunque le Regioni non possono sconfinare da certi paletti, pena impugnazione per incostituzionalità.

Detto questo, per regolarizzare con la procedura di Accertamento di conformità, il legislatore pone la ferrea condizione di rispettare doppiamente la conformità dell’illecito nei confronti della:

  • disciplina edilizia, urbanistica e di settore vigente ad oggi e all’epoca dell’illecito;
  • strumenti urbanistici e regolamenti edilizi, vigenti e/o adottati ad oggi e all’epoca dell’illecito;

Questo intreccio di doppio rispetto si traduce in una complessa verifica da compiere da parte del professionista tecnico.

La verifica di conformità per opere risalenti nel tempo può essere un rompicapo

Per esperienza, quando devono essere svolte verifiche per opere compiute in tempo remoto, può diventare pesante quanto una tesi di laurea (non scherzo).

In questo senso non aiuta l’impostazione che scaturisce dalla sentenza del TAR Lazio I n.79 del 5 febbraio 2019. Con essa emerge una netta distinzione dei ruoli tra proprietario e Pubblica Amministrazione.

Da una parte la PA non può onerare, genericamente, il proprietario di dimostrare il requisito della doppia conformità delle opere oggetto di regolarizzazione, senza che la stessa, in seguito all’idonea istruttoria che le compete, abbia previamente segnalato le specifiche criticità dell’intervento sotto tali profili .

Di converso, alla PA non è richiesto di svolgere indagini per ricercare i possibili presupposti per la sanabilità, ma di verificare quelli che il committente vorrà esibire nella stessa istanza.

In definitiva, la ricorrenza del presupposto di doppia conformità è un onere posto a carico del soggetto richiedente, mentre alla PA spetta il ruolo di riscontrare la correttezza di questi presupposti nell’istruttoria.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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