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demolizione edificio

Confine incerto tra categorie di intervento edilizie più rilevanti, l’indicazione del TAR Lombardia

La sentenza n. 1133/2025 del TAR Lombardia, Milano, aiuta molto a comprendere la linea di confine tra le due più alte categorie di intervento edilizie contenute nel testo unico edilizia DPR 380/01, in particolare tra:

  • nuova costruzione (articolo 3 c.1 lettera e)
  • ristrutturazione edilizia (articolo 3 c.1 lettera d)

Il vero nodo irrisolto si configura quando l’intervento avviene con demolizione integrale dell’edificio, e contestuale ricostruzione in maniera non perfettamente fedele, facendo superare la classificazione di ristrutturazione edilizia. Un criterio “cardine” stabilisce che la Ristrutturazione edilizia deve mantenere la continuità con organismo preesistente per evitare nuova costruzione (vedi anche Cassazione Penale n. 1669/2023).

L’amministrazione comunale è tenuta a pronunciarsi in relazione alla specifica richiesta di titolo edilizio presentata dal privato, sulla base della natura giuridica che il medesimo attribuisce all’intervento, non avendo la possibilità di riqualificare in termini autonomi la domanda e rilasciare un titolo diverso da quello richiesto ovvero relativo a un’attività edilizia diversamente qualificata. Peraltro, l’individuazione di una precisa e specifica categoria di intervento edilizio non rappresenta un’operazione teorica sganciata dalla realtà dell’attività costruttiva e dal suo impatto sul territorio, ma è un’operazione preliminare sostanziale su cui si poggiano le valutazioni del privato in ordine all’ammissibilità della trasformazione proposta, alle caratteristiche che la stessa può legittimamente assumere e ai suoi limiti, oltre che ai costi (in termini di contributi e oneri) dell’attività edilizia. L’individuazione dell’intervento costruttivo che il privato intende realizzare, anche attraverso la corretta qualificazione giuridica del medesimo, non è dunque una questione nominalistica o correlata a valutazioni meramente formali, ma attiene alla sostanza dell’esercizio dello ius aedificandi e alle modalità consentite dalla legge e dagli strumenti urbanistici locali per procedere alla modifica del territorio.

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Ristrutturazione ricostruttiva o sostituzione edilizia

Occorre riprendere l’evoluzione normativa della cosiddetta “ristrutturazione ricostruttiva“, integrata dalla giurisprudenza nell’interpretazione dell’istituto in parola (cfr. Cons. di Stato n. 4005/2024), con cui la ristrutturazione demo-ricostruttiva è stata inizialmente limitata nella versione originaria dell’art. 3, comma 1, lett. d) ai soli interventi di ristrutturazione edilizia “consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quella preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. Successivamente, con l’art. 1 del D.Lgs. n. 301/2002, il Legislatore ha modificato il tenore della disposizione, eliminando il riferimento all’identità del fabbricato e facendo semplicemente riferimento a interventi consistenti nella “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”. Si trattava di una demo-ricostruzione “fedelissima”, finalizzata a ricostruzione il manufatto praticamente “dove era, come era”; è anche vero che si trattava di una operazione teorica, perchè in ricostruzione il fabbricato richiede normalmente più volume per le maggiori caratteristiche prestazionali della struttura antisismica e di involucro isolante.

Un’ulteriore novella si è avuta con l’entrata in vigore dell’art. 30, comma 1, lett. c) del D.L. n. 69/2013 (Decreto “del fare”), convertito dalla Legge n. 98/2013, che ha inserito nella categoria della ristrutturazione edilizia anche gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria del manufatto preesistente, senza la necessità di mantenere identica la sagoma, così ampliando la portata dell’istituto e la sua applicabilità sul piano pratico.

Con l’art. 10 del D.L. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla Legge n. 120/2020, la disposizione di che trattasi è stata nuovamente oggetto di modifica e stabilisce adesso che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”. Oggi tale quadro è completato dall’art. 10 del DPR n. 380/2001 che assoggetta a permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici”.

Infine, vi sono state ulteriori modifiche apportate alle categorie di ristrutturazione edilizia generale e pesante (vedasi D.L. 17/2022 e DL 50/2022), rispettivamente previste dagli articoli 3 e 10 del TUE, concedendo contestuali incrementi volumetrici (senza limiti?) per le sole demo-ricostruzioni di edifici sottoposti a determinati vincoli paesaggistici.

Il percorso evolutivo della disposizione in parola riflette il progressivo superamento dei confini originariamente propri dell’istituto della ristrutturazione demoricostruttiva, che ha portato all’eliminazione del requisito della ricostruzione con “identità” tra il fabbricato precedente e quello risultante all’esito dei lavori, rendendo così possibile ricondurre a tale categoria edilizia anche interventi comportanti una ricostruzione con modifica dei parametri costruttivi, con l’obiettivo di favorire il contenimento del consumo di nuovo suolo e l’utilizzazione di aree già urbanizzate.

Fattispecie demo-ricostruttiva TAR Milano 1133/2025

Per quanto riguarda le caratteristiche tipologiche e planovolumetriche dell’intervento, in luogo dell’edificio unico preesistente sono state previste due distinte unità immobiliari costituite da separati corpi di fabbrica a destinazione residenziale, di altezza inferiore di quella originaria, che si presentano completamenti differenti anche dal punto di vista estetico e architettonico rispetto all’immobile oggetto dell’intervento demo-ricostruttivo, oltre che collocati su diversa area di sedime.

Nella fattispecie, il TAR non ha ritenuto sussistente alcuna continuità tra il precedente edificio oggetto di demolizione e i due nuovi fabbricati in progetto, che sono sensibilmente diversi sotto ogni profilo – cioè quanto a numero di corpi di fabbrica, volume, sagoma, superficie e diversa area di sedime occupata, caratteristiche planovolumetriche e tipologiche – così da escludere che gli immobili in progetto, quali dovrebbero risultare all’esito dei lavori, siano in qualche misura riconducibili all’edificio precedente. Tale opera di radicale trasformazione del territorio, pertanto, rappresenta un nuovum oggettivo e si colloca nella categoria della nuova costruzione, come correttamente rilevato dall’amministrazione procedente. In questa sentenza ha inciso anche l’incremento di superficie accessoria, che ha compartecipato alla sostanziale diversità dell’organismi edilizi da realizzare; correttamente il TAR ha respinto la tesi difensiva per cui la superficie accessoria sia ininfluente nella qualificazione dell’intervento.

L’attuale versione dell’art. 3, comma 1, lett. d), difatti, sebbene animata dall’obiettivo di rendere più utilizzabile lo strumento della ristrutturazione demoricostruttiva anche nella prospettiva di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente e evitare consumo di nuovo suolo, non può legittimare un concetto di ristrutturazione completamente sganciato dalla conservazione della precedente identità dell’edificio oggetto di trasformazione, né un’interpretazione che avvalori l’idea per cui l’edificio preesistente rappresenterebbe soltanto “l’occasione” per un intervento che, di fatto, si risolve nella creazione di un novum sul piano edilizio, non riconducibile sotto alcun profilo alla costruzione esistente se non sul piano meramente nominalistico.

Com’è stato sottolineato dalla più recente giurisprudenza, il criterio della “continuità” costruttiva e la riconducibilità all’organismo preesistente – che si sostituisce a quello, più restrittivo, dell’identità dei fabbricanti ante e post intervento – assume ancora maggior pregio interpretativo a seguito dell’ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione, “in quanto proprio perché non vi è più il limite della “fedele ricostruzione” si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi” (cfr. Cons. di Stato n. 10307/2024).

Pertanto, il TAR Milano ha ritenuto ancora valido – anche alla luce delle evoluzioni normative sopra tratteggiate – la posizione espressa più volte dalla giurisprudenza secondo cui “per qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente (cfr. Cons. di Stato n. 328/2016, n. 5775/2023).

Lo stesso orientamento è riscontrabile anche in giurisprudenza penale, consulta pure questo precedente post.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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