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L’ultimazione lavori non assume rilevanza probatoria in ordine all’asserita coincidenza del fabbricato realizzato in origine con quello rappresentato nel progetto approvato

La catena dei vari titoli edilizi/abilitativo riguardando un immobile ha preso il nome di Stato Legittimo con l’entrata in vigore del D.L. 76/2020, andando a inserire una corposa definizione nell’articolo 9-bis comma 1-bis DPR 380/01.

Sappiamo bene quali siano gli elementi e titoli edilizi che possono assumere una valenza probante in caso di insussistenza (es. smarrimento) o in epoca e zone in cui non vi era obbligo di titolo edilizio al momento dell’esecuzione.

Tra uno stadio di rappresentazione/autorizzazione immobiliare e l’altro passa del tempo, e dovrebbero essere collegati tra congruentemente tra di loro.

Per dirla meglio, dovrebbe essere una rispondenza tra stato effettivo e stato legittimo dell’immobile del titolo precedente: ogni anello della catena deve combaciare con quello precedente.

Insomma, la fine lavori della pratica edilizia precedente deve (o dovrebbe) combaciare con lo stato attuale della successiva pratica.

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Tra una pratica edilizia e l’altra di mezzo si inserisce (quasi sempre) una comunicazione di fine lavori, cioè una dichiarazione in cui il proprietario/committente indica l’avvenuta conclusione del cantiere rispetto a quanto già assentito (e relative varianti).

Generalmente nelle pratiche edilizie questa comunicazione di ultimazione opere viene accompagnata anche da attestazione asseverata dal Tecnico abilitato o Direttore Lavori, con cui viene confermata l’esecuzione dell’opera in conformità al progetto approvato (alcune regioni hanno dettagliato la procedura), obbligatoriamente prevista soprattutto nelle procedure riguardanti la Certificazione di Abitabilità/Agibilità (oggi Segnalazione certificata Agibilità).

Tralasciando i vari riferimenti normativi sparsi nel vigente DPR 380/01 e per quelle procedure edilizie soppresse, la fine lavori è tassativamente prevista per Permesso di Costruire e SCIA, mentre per le CILA l’obbligo sussiste ma risulta espresso in termini più “bonari” tutt’altro da sottovalutare.

Quale valore probante può assumere la Fine lavori verso le opere compiute difformi?

A seguito delle varie Riforme Madia, anche la Comunicazione di Fine Lavori è stata revisionata e sostituita con una modulistica unificata a livello nazionale.

La Comunicazione di fine lavori generalmente consiste in una semplice dichiarazione resa e attestata dal committente, magari contro firmata anche dal Direttore Lavori, a cui dobbiamo aggiungere le varie prassi previste dai regolamenti locali nonchè dalle norme regionali.

Ciò che è certo è che pure la Fine Lavori richiede la firma anche dei vari soggetti coinvolti, ovvero le imprese e lavoratori autonomi coinvolti.

La semplice natura dichiarativa della Comunicazione Fine Lavori non consente di essere utilizzata in alcun modo per attestare o meno un certo stato effettivo dei luoghi ad una certa data; infatti tale adempimento non consente di giudicare con la dovuta esattezza se l’opera realizzata alla data indicata sia realmente consistente a quanto assentito/legittimato coi vari titoli edilizi.

La dichiarazione di ultimazione dei lavori non assume rilevanza probatoria in ordine all’asserita coincidenza del fabbricato realizzato in origine con quello rappresentato nel progetto approvato. La giurisprudenza ha più volte ribadito che grava sull’appellante l’onere della prova dell’originaria consistenza dell’immobile, senza possibilità alcuna di inversione (Cons. di Stato n. 7644/2023, n. 2363/2014).

Ecco perchè la dichiarazione di fine lavori non è idonea per dimostrare l’esatta consistenza e datazione di opere difformi anteriormente o dopo il suo deposito.

A tal proposito, deve essere esclusa l’efficacia probatoria delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o delle semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (cfr. Cons. di Stato n. 7644/2023, n. 3676/2023). Ciò trova applicazione anche per le dichiarazione di fine lavori, rese appunto come dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà.

Si è infatti osservato che la mera “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non è applicabile nell’ambito del processo amministrativo, in quanto la stessa, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può, al più, costituire soltanto un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l’attività istruttoria dell’Amministrazione” (ex multis Cons. Stato, sez. VI, n. 3853/2021). Si è inoltre osservato che “in presenza di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull’epoca dell’abuso (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696).

Quindi l’attestazione di fine lavori va presa con le molle. Se hai bisogno di consigli su come presentare la Comunicazione di fine lavori, qui trovi tutti i miei articoli.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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