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Il TAR Piemonte conferma un principio condivisibile sull’inapplicabilità del contributo per cambi d’uso per edifici colonici rurali preesistenti

Se oggi andiamo a intervenire con qualsiasi intervento di manutenzione straordinaria o superiore verso immobili situati in zona agricola bisogna porsi da subito il problema della destinazione d’uso legittima. Infatti molte regioni sono dotate di norme sul governo del territorio contenenti la disciplina del mutamento di destinazione d’uso, e in particolare quello sugli immobili già rurali o ex rurali.

E molto spesso si pone il problema del cambio d’uso da abitazione rurale ad abitazione civile (deruralizzazione), configurante mutamento di destinazione urbanisticamente rilevante e soggetto al pagamento di oneri assai notevoli, in certi casi perfino pari a quelli di nuova costruzione. Su questo argomento mi ero ripromesso di entrarci in merito, e non ho potuto resistere al suggerimento avuto dal Geom. F. Viola relativo a recente sentenza TAR Piemonte, al quale va ampio ringraziamento.

Stiamo parlando degli immobili che per vari motivi hanno già perso le caratteristiche oggettive e/o soggettive di ruralità sotto il profilo urbanistico edilizio, e premetto fin d’ora che tralasciamo la questione della ruralità ai fini catastali.

Rimanendo infatti nel profilo urbanistico edilizio, ogni pratica edilizia è sottoposta all’attestazione dello Stato Legittimo (art. 9-bis c.1-bis TUE) e del rispetto delle tolleranze costruttive (art. 34-bis TUE). Ciò significa che CILA, SCIA, Super-SCIA e Permesso di Costruire devono essere precedute da approfondite analisi e ricerche immobiliari indietro nel tempo.

Da questa configurazione normativa del DPR 380/01 il proprietario dell’immobile si potrebbe trovare davanti un immobile ex-rurale o che abbia perso i requisiti di ruralità, originariamente costruito:

  • Prima della L. 10/1977 “Bucalossi”, cioè in epoca risalente;
  • Dopo l’entrata in vigore della L. 10/1977 “Bucalossi”, che ha riservato l’eccezionale gratuità ed esenzione dagli oneri concessori per le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’art. 12 L. 9 maggio 1975, n. 153”.

In pratica si sono succeduti due regimi di edificabilità dei suoli ben distinti per epoche e assoggettamento agli oneri di urbanizzazione.

Ho trovato molto interessanti i ragionamenti e principi emanati negli ultimi anni dal TAR Piemonte, i quali sono inquadrati nell’ambito della cornice regionale competente, tuttavia ritengo siano condivisibili ed applicabili a livello nazionale.

Perché si dovrebbero pagare gli oneri di deruralizzazione per edifici agricoli costruiti prima della L. 10/1977?

Prendendo spunto a piene mani dalle sentenze TAR Piemonte n. 583/2022, n. 447/2021, n. 687/2019, si deve ricostruire brevemente il passaggio dal regime edificatorio licenziato (L. 1150/42) a quello concessorio (L. 10/1977), e relative conseguenze sulla debenza o meno degli oneri di urbanizzazione in caso di deruralizzazione.

Trovo interessante e condivisibile la conclusione della predetta sentenza TAR Piemonte n. 583/2022, la quale confermando la tesi del ricorrente, riconosce che il contributo richiesto dal Comune non sia dovuto giacché, trattandosi di immobile preesistente l’entrata in vigore della L. n. 10/1977, il semplice passaggio di destinazione da residenza rurale a residenza civile non costituisce mutamento di destinazione d’uso rilevante ai sensi della Legge Regionale Piemonte n. 19/1999 e che, trattandosi di interventi di sostituzione della copertura per la parte abitativa dell’immobile, non è riscontrabile alcun aumento del carico urbanistico (ai sensi dell’art. 17, comma 4 del D.P.R. n. 380/2001).

Infatti occorre rammentare i due principali periodi sull’argomento:

  • periodo compreso tra L. 1150/42 e L. 10/77;
  • Successivo alla L. 10/1977 “Bucalossi”;

Sotto il vigore della legge urbanistica n. 1150/1942, e prima dell’entrata in vigore della L. 10/1977, il rilascio della concessione edilizia per la realizzazione nel territorio comunale di nuove costruzioni, o l’ampliamento, la modificazione o la demolizione di quelle esistenti, non era soggetto al pagamento di oneri di sorta; il rilascio della concessione edilizia era subordinato all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione della loro attuazione da parte dei comuni nel successivo triennio, ovvero all’impegno dei privati alla loro attuazione contestualmente alla realizzazione dell’intervento edilizio; ma, in ogni caso, il rilascio del titolo edilizio non era subordinato al pagamento di oneri di natura economica (art. 31 L. 1150/1942).

Pertanto, chi otteneva, ad esempio, la concessione edilizia per l’edificazione di una abitazione in area agricola, non era soggetto al pagamento di oneri di sorta; e ciò, non in forza di una particolare normativa di favore per le attività agricole, ma perché questo era il regime ordinario applicabile a tutte le concessioni edilizie.

Nel contempo, la stessa L. 10/1977 aveva previsto all’art. 9 alcune deroghe al principio della generale onerosità della concessione edilizia, stabilendo che il contributo di concessione non è dovuto, tra l’altro:
“a) per le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’art. 12 L. 9 maggio 1975, n. 153”.

In sostanza, nell’impostazione della L. 10/1977, l’esenzione dal contributo di concessione per la realizzazione di residenze rurali da parte di imprenditori agricoli si configura come un beneficio di carattere soggettivo e oggettivo correlato, per un verso alla qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale dell’avente diritto, e per altro verso alla destinazione funzionale dell’immobile a soddisfare le esigenze abitative del medesimo in prossimità o all’interno della propria azienda agricola.

Il principio della esenzione dal contributo di concessione per l’edificazione di residenze “rurali” da parte di imprenditori agricoli a titolo principale è stato ribadito, prima ancora che dall’art. 17 comma 3 lettera a) del D.P.R. 380/2001, anche da diverse legislazioni regionali (in Toscana LR 10/79 e LR 64/1995, oppure Piemonte dalla L.R. n. 56/1977). Esse hanno rafforzato e vincolato l’accesso all’esenzione del pagamento oneri concessori introducendo vari tipi di atti con effetti obbligatori dell’avente diritto di presentare al Comune, con cui veniva stipulato un “atto di impegno” al “mantenimento della destinazione dell’immobile a servizio dell’attività agricola”, e subordinando a tale atto di impegno l’efficacia del titolo abilitativo.

In sostanza, dal momento che ai fini dell’esenzione dal contributo di concessione è essenziale che la residenza rurale sia edificata per soddisfare le esigenze abitative dell’imprenditore agricolo a titolo principale, il legislatore regionale ha preteso che, all’atto di beneficiare di tale esenzione, l’avente diritto si impegnasse formalmente a non modificare successivamente la destinazione d’uso della residenza, mantenendola a servizio dell’attività agricola. Qui vorrei sollevare anche un profilo giuridico su cui non intendo avventurarmi, cioè la durata “infinita” di un vincolo di destinazione reale, cioè che colpisce l’immobile a tempo indeterminato tramite apposita trascrizione nei registri immobiliari.

Le varie legislazioni regionali hanno contestualmente previsto alcune disposizioni di “uscita” dal predetto obbligo di mantenimento della finalità e requisiti rurali, sia per perdita dei requisiti soggettivi (successione o compravendita a favore di soggetto privo dei requisiti di imprenditore agricolo a titolo principale), sia oggettivi (cambio d’uso e ristrutturazioni sostanziali, eccetera).

Le rispettive norme regionali infatti hanno previsto la possibilità di effettuare la deruralizzazione quando si perdono i requisiti di ruralità oggettivi e/o soggettivi, sotto il profilo urbanistico.

Ad esempio, il comma 10 dell’articolo 25 L.R. Piemonte n. 56/77 prevede che, in caso di cessazione dell’attività agricola per morte o per invalidità dell’imprenditore o per altre cause di forza maggiore (accertate nelle forme ivi previste), “è consentito il mutamento di destinazione d’uso, previa domanda e con il pagamento degli oneri relativi”; in altre parole, laddove cessi per fatti oggettivi il presupposto che aveva giustificato l’esenzione dal contributo di costruzione, e cioè la destinazione della residenza rurale al soddisfacimento delle esigenze abitative dell’imprenditore agricolo connesse alla conduzione del fondo, il legislatore regionale consente che l’immobile possa essere destinato ad un uso diverso da quello assentito, ad esempio come normale abitazione “civile” da parte di soggetti privi della qualifica di imprenditori agricoli, ma in tal caso, verificandosi la decadenza dal beneficio dell’esenzione dal contributo di concessione, l’avente diritto è tenuto a corrispondere, ora per allora, il contributo originariamente non corrisposto.

La possibilità di effettuare il cambio d’uso di deruralizzazione da edificio colonico a civile abitazione va poi riscontrata negli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi comunali, i quali possono prevedere ulteriori regole, condizioni e requisiti.

Inoltre devo rammentare che i documenti e atti catastali in questo ambito diventano elementi probanti utili a dimostrare e datare questi passaggi temporali nell’ambito della dimostrazione dello Stato Legittimo dell’immobile.

Residenze rurali edificate ante e post L. 10/1977: come deruralizzare

Abbiamo ricostruito la presenza di due distinti regimi di edificabilità dei suoli, anteriore e posteriore alla L. 10/1977. Inoltre devo rammentare che ancora oggi il DPR 380/01 persegue lo stesso regime “concessorio” in continuità con la L. 10/77.

Pertanto le residenze rurali edificate sotto il vigore della L. 1150/1942, si possono ritenere esenti dal contributo di concessione sia che fossero destinate a soddisfare le esigenze abitative dell’imprenditore agricolo connesse alla conduzione dell’azienda, sia che fossero destinate ad usi “civili” da parte di soggetti privi della qualifica di imprenditore agricolo, e ciò alla luce del regime di generalizzata gratuità dei titoli edilizi di cui all’art. 31 della L. 1150/42. Le residenze rurali edificate dopo l’entrata in vigore della L. n. 10/1977 vanno invece ritenute esenti dal contributo di costruzione soltanto se e nella misura in cui siano effettivamente destinate ed utilizzate a servizio della conduzione del fondo da parte dell’imprenditore agricolo; in questo modo se dovesse venire meno, per fatti oggettivi, l’attività imprenditoriale agricola, la residenza può continuare ad essere utilizzata come abitazione civile, ma previo assenso dell’amministrazione comunale e previo pagamento, ora per allora, del contributo di costruzione; e ciò in quanto la cessazione dell’attività agricola determina la decadenza ex lege dal beneficio dell’esenzione di cui aveva goduto il titolo abilitativo originario.

In via estremamente sintetica, possiamo arrivare a concludere che:

  • residenze rurali realizzate dopo l’entrata in vigore della L. 10/1977, il passaggio dall’utilizzo “rurale” (da parte dell’imprenditore agricolo a servizio della conduzione dell’azienda agricola) all’utilizzo “civile” (da parte di soggetti privi della qualifica di imprenditore agricolo e per esigenze abitative svincolate dalla conduzione del fondo) configura una modificazione della destinazione d’uso giuridicamente rilevante, in quanto determina la decadenza dal beneficio dell’esenzione dal contributo di concessione di cui aveva beneficiato il titolo originario;
  • residenze rurali edificate prima dell’entrata in vigore della L. 10/1977 il passaggio dall’uno all’altro utilizzo non configura alcuna modifica della destinazione d’uso giuridicamente rilevante, dal momento che in tal caso il titolo abilitativo autorizzava entrambi gli utilizzi, e ad entrambi concedeva il beneficio della gratuità previsto, in modo generalizzato, per il rilascio di qualsivoglia titolo edilizio.

Quanto sopra va considerata una conclusione teorica: infatti molte legislazioni regionali non prevedano meccanismi simili di “esclusione retrodatata”, e tanto meno i Comuni saranno proprio contenti di rinunciare ad una considerevole voce di entrata utile per i bilanci.

Questo articolo intende sollevare la problematica e sensibilizzare il legislatore nazionale e quelli regionali sul problema, per evitare un crescente problema di contenzioso amministrativo riguardante importi e oneri concessori di una certa rilevanza.

Sperando di aver dato un utile chiarimento e ricostruzione normativa.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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