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Nell’ipotesi di difformità non può essere chiesto il ripristino con rimozione totale del manufatto

Le variazioni abusive effettuate in corso d’opera rispetto al titolo abilitativo rilasciato non possono comportare la demolizione della parte legittima.

Un interessante caso trattato nella sentenza n. 1939/2016 dalla sesta sezione del Consiglio di Stato riguarda la realizzazione di difformità, consistenti in maggior volumi e superfici rispetto a quanto legittimamente autorizzato con preventivo rilascio di permesso di costruire, per la realizzazione di un annesso agricolo in zona rurale e soggetta a vincolo paesaggistico.

Le difformità compiute rispetto alle previsioni de titoli edilizi riguardavano aumento di volume fuori terra ed entro terra, realizzazione di una copertura con altezze e forme diverse da quelle approvate, realizzazione pavimentazione esterna non prevista e deruralizzazione in civile abitazione.

In sostanza l’insieme di difformità superavano il campo della semplice “parziale difformità dal titolo“, piuttosto l’ente comunale ne contesta l’avvenuta esecuzione di variazioni essenziali, una tipologia di reato edilizio abbastanza rilevante.

L’ordinanza di demolizione totale non può ledere le parti legittimate da permessi edilizi efficaci

Dopo l’accertamento effettuato dal Comune sull’opera, è scattata la conseguente ordinanza di rimessa in pristino, concedendo novanta giorni per ottemperare ed entro i quali è possibile presentare eventuale domanda di accertamento di conformità in sanatoria.

In questo lasso temporale il soggetto interessato ha presentato la domanda di sanatoria, respinta dal Comune sulla base che l’intervento abusivo, in quanto comportante aumento di volume e di superficie utile, non può ottenere l’autorizzazione paesaggistica “postuma“, presupposto per il rilascio del titolo edilizio subordinato ad essa.

Dal punto di vista paesaggistico, le suddette opere abusive non sono sanabili in quanto comportano aumento di volumetria e di superfici utili, presupposto che l’articolo 167, comma 4, del Codice, considera assolutamente preclusivo del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex post, senza che vi sia bisogno di alcun’ulteriore valutazione al riguardo.

L’autorizzazione paesaggistica postuma è ottenibile in pochi casi di abusi edilizi minori

Per autorizzazione paesaggistica “postuma” si intende l’unica procedura per ottenere il rilascio della compatibilità paesaggistica prevista ancora oggi dall’art. 167 c.4 del Codice dei Beni culturale D.Lgs. 42/2004.

Oltre al diniego, il comune emette contestuale ordine di demolizione integrale del fabbricato, senza interpellare la sovrintendenza competente sul vincolo paesaggistico.

Proprietario ed ente comunale si contestano rispettivamente:

  • eccesso di potere repressivo rispetto alla parte costruita legittimata coi titoli abilitativi;
  • mancata interpellanza della Soprintendenza;

Sul primo punto il Consiglio di Stato riconosce l’eccessiva misura esercitata, non esistendo alcuna previsione normativaa che sanzioni in tal modo un abuso parziale, pur importante rispetto all’intervento edilizio complessivo. Sotto quest’ultimo profilo, vale a dire nella misura in cui ordina anche contestuale demolizione di parti ulteriori rispetto a quelle edificate in coerenza coi titoli legittimati, il provvedimento risulta illegittimo.
Sul secondo punto invece è rimarcata la piena potestà comunale di valutare discrezionalmente la necessità o meno di coinvolgere l’amministrazione dei beni culturali se in presenza di un abuso ictu oculi non sanabile come da normativa (Cons. di Stato VI n. 1939/2016).

In sostanza nel caso di specie si dovrà procedere alla rimessa in pristino dello stato legittimato dai permessi edilizi rilasciati, ed attenersi ad essi rimuovendo le parti difformi.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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