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La rimessa in pristino dello Stato Legittimo presuppone il rispetto di norme costruttive, come muoversi

A seguito di verifiche sulla consistenza legittima dell’immobile richieste dal proprietario, possono emergere irregolarità, abusi e illeciti edilizi di vario, per le quali egli può decidere la loro rimozione spontanea e tempestiva, ottemperando spontaneamente all’obbligo normativo anche senza ordinanza emanata dall’Amministrazione. Sul punto si è formato un dilemma circa la corretta procedura da effettuare per demolire abusi e ripristinare lo Stato Legittimo, che giunge a paradossi opposti, nel rispetto comunque di tutte le norme di settore quali sicurezza cantieri, smaltimenti materiali di resulta, antincendio e così via, procedendo con:

  1. demolizione spontanea senza alcun tipo di titolo abilitativo e senza ordinanza demolitoria, col rischio di sospensione cantiere su segnalazione o controlli ordinari;
  2. ottemperando all’ordinanza di demolizione emanata dal Comune, magari ottenuta con autodenuncia volontaria;
  3. una CILA di ripristino quale procedura edilizia residuale in base al T.U.E;

Vediamo allora i vari scenari.

Demolizione volontaria degli illeciti edilizi senza ordinanza e permessi

Questo scenario non prevede la necessità di ottenere il rilascio di titoli abilitativi per demolizioni e ripristino conseguenti o meno a provvedimenti repressivi di abusi. Potrebbe essere contraddittorio se il responsabile dell’abuso edilizio dovesse chiedere un titolo per rimuoverlo. Si è già anticipato che l’esecuzione di un cantiere di ripristino potrebbe richiedere il coinvolgimento di varie imprese e lavoratori autonomi, e interessare molte fasi lavorative delicate per aspetti strutturali antisismici, di sicurezza, antincendio, impiantistici, gestione rifiuti e di qualità costruttiva. Si tratta di un cantiere complesso e pertanto richiede adeguata progettazione e pianificazione, non è affatto consigliato al proprietario o responsabile dell’abuso agire direttamente o in economia. Tuttavia l’imprevisto è dietro l’angolo: per vari motivi il Comune e ASL vengono avvisati che c’è un cantiere di una certa rilevanza per i quali non sussiste alcun cartello di avviso, e pertanto avviano i dovuti controlli e la conseguente sospensione, al fine di emettere comunque l’ordinanza demolitoria.

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Demolizione per ottemperare all’ordinanza di rimessa in pristino

Nel caso in cui l’ordinanza è stata emanata e notificata ai soggetti interessati – cioè proprietario e responsabile dell’abuso – è obbligatorio adempiere all’ordinanza stessa rispettando i termini prescritti, pena acquisizione gratuita dell’immobile e relative sanzioni pecuniarie. Non trova alcun fondamento nell’ordinamento vigente la necessità di dotarsi di alcun tipo di autorizzazione edilizia (Cass. Pen. n. 35077/2016). Il principio è costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa in riferimento alla demolizione disposta con ordinanza (sanzione amministrativa), valido anche per la demolizione disposta dal giudice, secondo cui non occorre acquisire il parere della Commissione integrata per l’Edilizia o della Commissione comunale per l’Edilizia nel caso in cui l’ordine di ripristino discenda direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia. In tali ipotesi, infatti, l’ordine di demolizione si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di carattere giuridico, svincolata dalla violazione di specifiche disposizioni a tutela del paesaggio, per l’accertamento delle quali sarebbe stato necessario operare valutazioni implicanti l’esercizio di discrezionalità tecnica attribuite alla Commissione Edilizia (T.A.R. Campania, Napoli n. 5317/2013, n. 4037/2013).

Immobili sottoposti a vincolo paesaggistico. La questione si pone solo sul versante della disciplina “puramente” edilizia, ma riguarda anche la disciplina paesaggistica, assai severa sotto il profilo penale. In tal senso, anche la recente modifica normativa del DPR 31/2017 (voce A.30 Allegato A) in materia di semplificazione paesaggistica ha confermato che le demolizioni e ripristini dello stato dei luoghi conseguenti a provvedimenti repressivi di abusi sono esentate dalla richiesta di autorizzazione paesaggistica ordinaria o semplificata: «A.30. demolizioni e rimessioni in pristino dello stato dei luoghi conseguenti a provvedimenti repressivi di abusi;».

Cila di ripristino Stato Legittimo

Si rileva anche uno scenario opposto, che ammette la possibilità di presentare la pratica edilizia CILA “ripristinatoria” per comunicare l’avvio di opere di ripristino, e per coordinare anche gli adempimenti collaterali (sicurezza, rifiuti, sismica, impianti, eccetera). In tal senso il TAR Napoli, con sentenza n. 3985/2024, si è espresso a favore della CILA di ripristino presentata spontaneamente dal proprietario, a cui non può disconoscersi che sia legittimo diritto eseguire interventi per addivenire/ripristinare lo stato legittimo dell’immobile; e che la eliminazione delle difformità da detto stato legittimo rientri nell’attività edilizia “libera” e che possa essere correttamente eseguita mediante la preventiva presentazione di una CILA ex art 6 del DPR n. 380/2001. La CILA riveste ruolo di pratica edilizia residuale e pertanto assorbente quelle opere non riconducibili alla SCIA, Permesso di Costruire e all’attività edilizia libera. In definitiva la CILA rivestirebbe in questo ambito una comunicazione edilizia che cristallizza al suo interno una situazione di “Stato Non Legittimo”, per ripristinare invece lo Stato Legittimo. Dall’anzidetta sentenza del TAR traspare implicitamente che la CILA ripristinatoria possa essere basata su una attestazione di Stato Legittimo raffigurante anche parti illegittime oggetto di ripristino: si perviene quindi che sia ammissibile presentare una CILA senza la piena rispondenza allo Stato Legittimo e al di fuori delle tolleranze costruttive ed esecutive (art. 34-bis T.U.E.).

Quando invece il Consiglio di Stato non ammette la CILA di ripristino

Con sentenza n. 3674/2023 il Consiglio di Stato si è espresso negativamente verso la possibilità di depositare una CILA per comunicare preventivamente opere illecite da demolire, ritenendo che la CILA non costituisca un titolo abilitativo alla demolizione di opere abusive. Tale comunicazione mira a soddisfare l’interesse della parte procedente ad eseguire un intervento edilizio non imposto, ma programmato ed eseguito spontaneamente, nell’esercizio dello ius aedificandi, per la realizzazione di proprie esigenze.

Nella fattispecie l’illecito edilizio era già stato accertato e interessato da ordinanza di rimessa in pristino: il Consiglio di Stato non ha ritenuto corretto presentare la CILA allo scopo di fissare nuovi termini di ottemperanza o definire diverse modalità di demolizione, risultando l’attività ripristinatoria interamente regolata da disposizioni imperative e da titoli amministrativi, che definiscono il dies ad quem per la tempestiva demolizione e le opere all’uopo da rimuovere.

Tale comunicazione è stata considerata inefficace perché impiegata in relazione ad un’attività edilizia (demolizione imposta da un pregresso ordine di demolizione) non rientrante nell’ambito applicativo tipico del relativo istituto, per come delineato dall’art. 6-bis DPR n. 380/01: sicché, emergendo una fattispecie concreta non sussumibile sotto la portata applicativa della CILA e, dunque difettando i relativi presupposti di operatività, la comunicazione comunque inoltrata non avrebbe potuto produrre i relativi effetti tipici.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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