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La ristrutturazione ricostruttiva può avere invarianze tali da non comportare aumento di carico urbanistico

Torniamo a parlare di Ristrutturazione edilizia “pesante” in relazione al versamento del contributo di costruzione

In altri articoli si è affrontata la distinzione delle diverse tipologie di ristrutturazioni edilizie, e il principale spartiacque (mantenuto anche dal Decreto ‘Scia 2’) riguarda l’assoggettamento di alcune tipologie a Permesso di Costruire piuttosto che al regime minore della SCIA (minore un corno, aggiungerei).

Il Permesso di Costruire comporta di default la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonchè al costo di costruzione, secondo le modalità indicate dall’art. 16 del TUE, salvo i casi di esenzione previsti dal successivo art. 17.

L’art. 10 comma 1 del TUE prevede che il permesso di costruire è necessario per gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, espressamente indicando, tra questi gli interventi di:

  • nuova costruzione (lett. a);
  • ristrutturazione urbanistica (lett. b);
  • ristrutturazione edilizia (lett. c);

Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a SCIA (una volta era DIA)”.

In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”; 

  • in primo luogo: qualifica come tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia;
  • in secondo luogo: demanda alle Regioni la facoltà di individuare gli interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), che richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico (Consiglio di Stato IV n. 2567/2017).

In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico – edilizio, o anche su uno solo dei due.

In sostanza, il rilascio del PdC per “Ristrutturazione edilizia pesante” spesso comporta il pagamento della c.d. “Bucalossi”, ma non è così automaticamente.

Senza riprendere per intero quanto detto nei precedenti post e attingendo a piene mani dalla sentenza del Consiglio di Stato IV n. 2567/2017.

In particolare l’attuale DPR 380/01 (post ‘Scia 2’) in tema di ristrutturazione edilizia ricomprende differenti tipologie, e solo per alcune di esse il legislatore le assoggetta all’ottenimento del permesso di costruire.

  • da un lato esiste la definizione generale di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. D del TUE);
  • dall’altro, gli specifici casi di ristrutturazione edilizia necessitante permesso di costruire (art. 10, co. 1, lett. D del TUE );

In particolare si condivide quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sua unanime giurisprudenza, ovvero che “Per effetto della modifica introdotta dall’art. 30, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 (Decreto ‘Del Fare’) adesso sono vigenti tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”:

  1. la prima, non comportante demolizione del preesistente fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
  2. la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione, per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più richiesta l’identità di sagoma);
  3. la terza, rappresentata dagli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi sopraindicate riguardino immobili sottoposti a vincoli del D.Lgs. 42/2004 (Paesaggio + Beni culturali), potrà parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell’immobile ricostruito, della identità di sagoma dell’edificio preesistente.

Negli ultimi anni si è esteso molto l’ambito applicativo della ristrutturazione edilizia

Per effetto del Decreto del Fare (poi L. 98/2013) anche l’art. 10, co. 1, lett. c) del DPR n. 380/2001 è stato modificato, di modo che è necessario il permesso di costruire per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

video dal canale YouTube:

Il colpo finale viene infine dallo “Sblocca Italia”  con art. 17 c.1 lett. D della L. 164/2014, col quale sostituisce e riduce la necessità di permesso di costruire per ristrutturazioni edilizie comportante anche “aumento di unità immobiliari” e “modifica del volume”, con la più limitata ipotesi di “modifiche della volumetria complessiva degli edifici” (eliminando, dunque, il caso dell’aumento delle unità immobiliari).

Prima di proseguire, si osserva che il legislatore, nell’elencare le ipotesi di ristrutturazione edilizia necessitante il permesso di costruire, ha ricompreso anche quella comportante modifiche di sagoma di edifici vincolati dal Codice dei Beni culturali D.Lgs. n. 42/2004, ipotesi da riferirsi ai soli casi in cui la ristrutturazione riguardi tali edifici non comporti abbattimento; in caso contrario ai sensi del precedente art. 3, co. 1, lett. d) del TUE, si fuoriesce dalla definizione di “ristrutturazione edilizia” e si va in “nuova costruzione”.

Non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli “pesanti” specificamente indicati dall’art. 10, co. 1, lett. C del TUE

In particolare si tratta di quelli che “portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”, oltre alle ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di destinazione d’uso di immobili in zona A, interventi che modificano la sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d. Lgs. n. 42/2004).

Su questo punto si rinvia anche a precedenti approfondimenti (clicca qui).

A livello nazionale, e quindi fatto salvo diverse disposizioni regionali (su cui esprimo ampia riserva), il contributo commisurato all’incidenza di oneri e costo di costruzione deve fare riferimento al carico urbanistico.

In particolare, l’intervento di ristrutturazione edilizia deve essere rapportato all’incremento del carico urbanistico che ingenera sul territorio.

[YouTube] Parliamo di ristrutturazione edilizia

In caso di demolizione e ricostruzione il pagamento del contributo è anch’esso commisurato all’incidenza di oneri e costo di costruzione.

Il rilascio del permesso di costruire è necessario in presenza di una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”. (Consiglio di Stato IV n. 2567/2017).

Invece nell’ipotesi di “ristrutturazione ricostruttiva” con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione (Consiglio di Stato IV n. 2567/2017,  n. 1763 del 7 aprile 2015; n. 2384 del 9 maggio 2014; n. 3970 del 6 luglio 2012).

Mi sento di aggiungere nel filone della suddetta “invarianza” anche il mutamento di destinazione d’uso, perchè in caso contrario possono verificarsi ipotesi in cui il cambio d’uso avvenga tra categorie urbanisticamente rilevanti e impattanti sul territorio.

La demolizione con fedele ricostruzione “invariante” non comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione

In sostanza, in presenza di interventi che non comportano “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, nei sensi e limiti normativamente considerati ed innanzi esposti, non è dovuto il contributo di cui all’art. 16, c. 1, DPR n. 380/2001.

Chiaramente, aggiungo il solito “fatto salvo lo zampino delle regioni”.

Infine, giova osservare che, del tutto coerentemente, il legislatore, all’art. 22, co. 1, lett. c) DPR n. 380/2001, prevede, tra gli interventi sottoposti a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), anche i casi di ristrutturazione edilizia per i quali non è necessario il permesso di costruire, fermo restando la possibilità per l’interessato (co. 7) di richiedere comunque il permesso di costruire “senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 16” (con esclusione dei casi in cui, ai sensi dell’art. 23, la SCIA è sostitutiva del permesso di costruire, ovvero la c.d. Super-Scia).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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