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Al privato spetta il compito di provare l’ultimazione dell’opera ad una certa epoca per mantenere manufatti o regolarizzarli. 

Casistica ricorrente quella di dover dimostrare la presenza di certi manufatti a certe epoche per ottenere benefici di sanatoria o mantenimento volumetrie.

Trovo particolarmente interessante la sentenza del Consiglio di Stato n. 5988 del 19 ottobre 2018, relativa ad un manufatto realizzato in ampliamento in epoca remota, poi assoggettata a vincolo paesaggistico nel 1987.

Nella fattispecie un manufatto, risultato poi documentato da un rogito notarile del 1940, è stato oggetto di contestazione da parte del Comune circa la sua legittimità.

Il Comune infatti aveva provveduto ad avviare procedura repressiva con emissione di ordinanza di demolizione su tale manufatto, verso la quale il proprietario si oppone con ricorso al TAR. Il Tribunale amministrativo regionale respinge l’istanza perchè non ritiene sufficienti le dichiarazioni sostitutive prodotte.

Questo contenzioso prosegue con ricorso al Consiglio di Stato, il quale ribalta l’esito sulla base di ulteriori documentazioni versate in atti. Tra queste vi risultano atti notarili di compravendita del 1940 e aerofotogrammetrie prodotte nel 1962.

La dichiarazione ante 1967 è quella più conosciuta in ambito urbanistico e contrattuale

L’onere di provare l’ultimazione lavori e l’esistenza di un’opera edilizia ad una certa data per ottenere sanatorie o mantenimento di essa spetta al privato cittadino.

In quanto proprietario interessato, incombe su lui il compito di dimostrare i presupposti e la sussistenza dei requisiti: soltanto lui è il soggetto privilegiato e in in grado di dimostrare con ragionevole certezza quanto ciò, avendo disponibilità di documento e di risalire agli elementi probatori (Cons. di Stato n. 1391/2018).

Predomina la giurisprudenza che pone in capo al proprietario (o responsabile dell’abuso) l’onere di dimostrare risalenza ed epoca del manufatto. In particolare il riferimento va subito alla data di edificazione in epoca precedente alla Legge ponte n. 765/1967, spesso indicata come riferimento nella dichiarazione sostitutiva dei proprietari negli atti di compravendite (ne parlo in questo video)

Si sta parlando della soglia temporale e normativa che vide estendere l’obbligo di licenza edilizia per tutte le costruzioni realizzate anche fuori dal perimetro dei centri abitati e zone di espansione dei PRG.

La Pubblica Amministrazione deve valutare la documentazione secondo ragionevolezza

In questa ottica il Comune non deve assumere una posizione passiva, in quanto la giurisprudenza ammette un temperamento di equilibrio e ragionevolezza nel rapporto col cittadino (Cons. di Stato n. 3177/2016).

In particolare può verificarsi la situazione in cui il privato fornisca elementi certi come aerofotogrammetrie, mappe catastali, dichiarazioni sostitutive e similari, dall’altra la PA controdeduce elementi incerti sulla presumibile epoca di costruzione senza titolo o con variazioni essenziali.

Infatti il ragionamento si estende alla probabile evoluzione e trasformazioni dei manufatti che possono aver assunto nel corso del tempo in certi periodi, ancorché anteriori a certe soglie ed epoche di obbligo di titolo abilitativo.

Si tratta di un impostazione applicabile anche alle zone assoggettate a vincolo, e pure sopravvenute in epoche successive.

Le dichiarazioni sostitutive emesse dai soggetti privati, anche in atti di compravendite notarili, da sole non rilevano inconfutabilmente l’esistenza del manufatto ante 1967; di converso assumono valore se comprovate e supportate con coerenza da altri elementi probatori.

Certamente la PA deve fare uno sforzo di valutazione documentale in sede di istruttoria, prima di procedere all’emanazione di ordinanze e azioni repressive di presunti abusi.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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